domenica 6 novembre 2016

Gita alle Eolie - sesta parte - Alicudi e Filicudi

5 ottobre. Mattinata libera, pomeriggio rientro in Sicilia. 
Si doveva vedere Milazzo, poi Messina, ma per un disguido abbastanza pesante il pomeriggio ci ha visti vagare per strade montane, nel tentativo di raggiungere Noto, tappa per la notte. Approfitto quindi per dire due parole sulle ultime due isole, non in programma e viste più volte dalla motonave o dalle altre isole ma non visitate.


Filicudi, anticamente nota come Phoinicussa, dal sostantivo phoinix, che secondo Aristotele significa 'ricca di felci' per la diffusa presenza di una caratteristica palma nana sui promontori della Montagnola e della Fossa Felci,  è la quinta isola in ordine di grandezza dell'arcipelago e la seconda più occidentale dopo Alicudi.
È dominata dal monte Fossa Felci, un vulcano spento alto 773 m. Oltre a esso, ci sono bel altri sette vulcani, tutti spenti da molto tempo e di conseguenza fortemente segnati dall'erosione.
La popolazione, circa 200 abitanti (che diventano 3000 nella stagione estiva), è distribuita tra i centri di Filicudi Porto, Valdichiesa, Pecorini, Pecorini a mare, Canale e Rocca di Ciavoli, collegati tra loro dall'unica strada asfaltata dell'isola e da una fitta trama di mulattiere.

I primi nuclei di popolazioni erano presenti a Filicudi già dal neolitico superiore, verso il 3.000 a.C. Gli scavi effettuati nella località di Capo Graziano hanno messo in luce una ventina di capanne dalla forma ovale, alcune delle quali con struttura a “spina di pesce”, poste sull'altura della Montagnola nel versante occidentale, a circa 100 m sopra il livello del mare. 



I reperti ritrovati testimoniano anche la presenza, durante il Neolitico, di una fiorente industria e lavorazione dell'ossidiana. Oggi i principali prodotti agricoli dell'isola sono i capperi e i fichi. La più importante voce dell'economia locale è il turismo. La pesca non è praticata intensamente, mentre lo è quella amatoriale.


 

Gli appassionati di immersioni subacquee possono esplorare qui la più bella area archeologica sottomarina delle isole Eolie. I fondali di Filicudi custodiscono infatti un autentico tesoro archeologico, con nove navi di epoca greco-romana inabissate nella secca di Capo Graziano, a circa 75 metri di profondità, con i loro preziosi carichi integri o quasi. 



 
Da millenni, infatti, l'insidiosa secca, scoglio affiorante situato quasi all’imboccatura del porto antico, ha tradito le navi che cercavano rifugio dal maltempo, provocando diversi naufragi, tanto da essere etichettata come una 'mangiatrice di navi'. Nelle vicinanze l'affascinante grotta del bue marino




La luce elettrica è stata portata a Filicudi nel 1986, con un impianto di generazione a gasolio; ciò ha innescato un balzo nel futuro nella quotidianità degli isolani. Il turismo ha iniziato a svilupparsi in quel periodo, crescendo poi di anno in anno. Quanto all'acqua corrente, la si trasporta tramite navi cisterna, per poi distribuirla sulla rete idrica.



 
Due sono gli approdi principali, nessuno dei quali può definirsi «sicuro» per ogni condizione meteorologica: il Porto, quello dove approdano quasi tutte le navi, i traghetti e gli aliscafi, è la zona più frequentata e «commerciale» dell'isola. Pecorini Mare rappresenta l'alternativa di attracco, nelle giornate nelle quali i mezzi di collegamento non possono attraccare al Porto. 





Alicudi era nota come Ericussa, dal greco antico («ricca di erica»). E' l'isola più occidentale dell'arcipelago eoliano, dominata dal monte Filo dell'Arpa, il cui toponimo deriva dal termine dialettale arpa o arpazza, col quale si indica la poiana. La pianta dell'isola è quasi circolare, con superficie di circa 5 km², coste ripide e aspre, e costituisce la parte emersa, dai 1.500 m di profondità del fondo del mare fino ai 675 m s.l.m. del punto culminante, di un vulcano spento, sorto attorno a 150 milioni di anni fa e rimodellato da successive eruzioni e fenomeni quaternari.
L'isola è abitata solo sul versante meridionale, digradante verso il mare in lenze (stretti appezzamenti), sostenute da muri a secco. Questo versante, significativamente antropizzato a scopi abitativi e colturali, risulta meno scosceso di quello opposto, battuto dai venti e continuamente soggetto a fenomeni erosivi e conseguenti frane, dette sciare. L'Isola dell'erica era abitata nel dopoguerra da oltre 600 persone, in gran parte poi emigrate in Australia. Attualmente la popolazione conta meno di cento residenti che, però, diminuiscono notevolmente nel periodo invernale.

Alicudi fu abitata dal Neolitico, come attestato da tracce rinvenute presso l’attuale porto e sulla sommità dell’isola. Al IV secolo a.C. sono datate alcune sepolture a lastre di pietra lavica, rinvenute in località Fucile nel 1924, con corredo funerario di lucerne e vasi fittili. Frammenti di vasellame di età romana sono stati trovati sulla costa orientale dell'isola.


 
Alicudi porto è il centro principale, a livello del mare, posto tra il molo nuovo, dove attraccano aliscafi e traghetti, e il molo vecchio, da cui in passato faceva la spola una barca a remi, che trasportava i passeggeri verso le navi al largo. Al porto è possibile trovare solo due botteghe di generi alimentari e altri generi di prima necessità, oltre all'ufficio postale. 




Le case sono distribuite in sei agglomerati, raggiungibili in quota solamente con mulattiere. L'unico mezzo di trasporto sono infatti i muli, che hanno sostituito gli asinelli, meno robusti, soprattutto per chi deve trasportare oggetti pesanti, in quanto non esistono strade ma solo scale e viottoli in pietra lavica.





Conformazioni geologiche tipiche sono il Perciato, lo Scoglio della Palumba, con la prospiciente Praia della Palumba e lo Scoglio Galera, alta quinta naturale, che si inabissa e riemerge pericolosamente a pelo d'acqua sul lato occidentale. Gli scogli hanno colori dal grigio scuro al bruno-arancio, che sconfina anche nel rosso vinaceo, granulose o lisce al tatto, trabecolate o semplicemente solcate da fessure.

 
Risalendo le ripide mulattiere ci si immerge nella macchia mediterranea composta dall'erica, dal cappero, dalla ginestra, dall'ulivo, dal lentisco e dal carrubo. Nella zona del vecchio cratere e sui fianchi sommitali l'ambiente, più fresco, presenta felci, distese di asfodelo, pochi castagni residui, erica e altri arbusti.





Le spiagge dell'isola sono a ciottoli e scogli e le mareggiate invernali le fanno arretrare o avanzare, lasciando a volte pochi lembi di rena scura. Il giro dell'isola è possibile, ma presenta il rischio della caduta di pietre, smosse dal vento o dalle capre brade, e richiede l'aggiramento a nuoto di alcune formazioni rocciose.



 
In molte case, di architettura tipicamente eoliana, sono ancora sfruttati, per conservare gli alimenti, i rifriggiraturi, piccoli vani con una porticina, posti allo sbocco di cunicoli di comunicazione ipogea, da cui fuoriescono soffi d'aria alla temperatura costante di una decina di gradi. Poi ci sono case originali...




 
Lasciamo il paradiso delle sette sorelle alla volta della Sicilia. Il pullman che doveva caricarci a Milazzo per portarci a Messina e poi a Noto è rimasto bloccato da una frana. Ne arriva un altro, ma la strada è chiusa per cui siamo costretti a un giro lungo, montano, panoramico, ma è tardi. Vediamo in lontananza Tindari.


 
Stiamo salendo verso Basicò, vediamo querce da sughero e pini, castagni e fichidindia. La terra è fertile, ci stiamo avvicinando alle propaggini dell'Etna, cui gireremo attorno. Tocchiamo Santa Barbara e vediamo un'intera collina piena di pale eoliche;



 
passiamo per Montalbano Elicona, caratterizzato da un antico Castello che fu residenza estiva di re Federico II di Aragona. Montalbano Elicona è stato inserito nell'elenco dei 90 borghi medievali più belli d'Italia, piccoli centri italiani che si distinguono per grande interesse artistico, culturale e storico, per l'armonia del tessuto urbano, vivibilità e servizi ai cittadini.

 
Ci rallegra la vista della Rocca Novara (1.340 m s.l.m.): è una delle montagne più alte dei monti Peloritani, si trova al confine meridionale di questi monti ed è detta anche il Cervino di Sicilia, per la sua conformazione particolare. Sulla sua cima è situata una grande croce nera con Gesù crocefisso. 




Grazie alla deviazione imprevista abbiamo ammirato panorami fantastici,









 
visto le capre siciliane 










le querce da sughero










 
boschi da funghi









gli immancabili fichidindia













l'Etna e siamo finalmente arrivati alle 23 a Noto, dove abbiamo pernottato. 



La cronaca continua in altra pagina.


Nessun commento:

Posta un commento