Pasquetta a Vigevano
Anche quest'anno siamo andati a festeggiare il lunedì di Pasqua, 28 marzo 2016, con la solita agenzia Partiti e contenti. La meta era Vigevano, il pranzo all'agriturismo di Vignarello, nel pomeriggio la visita all'azienda agricola Riseria Rizzotti di Vespolate.
Vigèvano è un comune
della provincia di Pavia, il secondo per numero di abitanti dopo il
capoluogo e il primo per superficie, compreso interamente nel Parco naturale della Valle del Ticino.
Nel 2014 il Consiglio Comunale ha adottato una delibera che richiede
che il comune lasci la provincia di Pavia per unirsi alla città di
Milano.
Si trova nella Lomellina
nord-orientale, sulla sponda destra del fiume Ticino, che lo separa
dalla provincia di Milano. Dista circa 38 km da Pavia, 36 km
dal centro di Milano, 27 km da Novara. Il paesaggio, trovandosi
Vigevano all'interno della Pianura Padana, è pianeggiante.
Le origini della città sono confuse,
sebbene se ne presuma un'origine molto antica; il primo documento che la
menziona, con il nome longobardo di "Vicogeboin" o "Vicus Gebuin",
risale al 963. L'abitato sorse in una posizione strategica ai margini
della valle del Ticino, nei pressi di un importante
guado sul fiume. Nel corso del XII secolo il borgo incastellato venne
fortificato lungo uno dei lati rivolti alla pianura e conquistò ampie
autonomie amministrative, ma a causa della sua posizione, pressappoco a ugual distanza da Pavia e Milano,
fu spesso al centro dei frequenti conflitti tra le due città per il
possesso della Lomellina, subendo guerre, assedi e distruzioni per oltre
150 anni.
In seguito, con l'avvento delle signorie, le condizioni migliorarono; tra il XIV ed il XV secolo il borgo divenne feudo
dapprima dei Della Torre, poi dei Visconti e infine, tra il 1450 e
1535, degli Sforza. Durante il periodo visconteo-sforzesco Vigevano
raggiunse il suo periodo di massimo splendore, divenendo residenza ducale e centro commerciale di notevole importanza.
Il Castello sorge nella
parte più alta della città e si innesta sulla struttura del preesistente
castello-ricetto di età comunale. La sua costruzione è caratterizzata
da due fasi determinanti successive: una viscontea ed una sforzesca.
La prima iniziò per volere di Luchino Visconti, podestà di Vigevano, che nel 1341 fece costruire la rocca vecchia, una fortezza a guardia della strada per Milano, e nel 1345 il castello vero e proprio, l'attuale Maschio, a forma quadrilatera con quattro torri angolari a merlatura ghibellina.
Due anni più tardi i due fortilizi furono collegati dalla Strada coperta, lunga 164 metri e larga 7. Essa collega in quota il maschio del castello, edificato su di un promontorio naturale interno alla città, e la rocca vecchia a valle. Si tratta di un vero e proprio ponte percorribile a due livelli sovrapposti che attraversa la città.
La fase sforzesca, importantissima per il contributo artistico di Donato Bramante,
diede al castello i caratteri di grandiosa residenza principesca e lo
splendore di una fra le più ricche corti rinascimentali d'Europa. In due
anni, dal 1492 al 1494, per volere del duca Ludovico Maria Sforza detto
il Moro, fu completata la costruzione delle Scuderie, capaci di contenere quasi mille cavalli e gli agili colonnati della Falconiera, dove i falconi venivano allevati e addestrati per la caccia.
Nella parte posteriore del Maschio fu aggiunta un'ala residenziale riservata alla duchessa Beatrice d'Este e fu costruita l'elegante Loggia delle Dame.
Con la caduta di Ludovico il Moro (1499) e la successiva dominazione
spagnola prima e austriaca poi, il castello conobbe un lungo periodo di declino e abbandono, durante il quale venne impropriamente adibito a caserma.
Tale abbandono si protrasse fino al 1967, anno in cui i militari si trasferirono definitivamente presso altre sedi. Dal 1978 sono iniziati i lavori di restauro che hanno parzialmente riportato il complesso al suo splendore.
Tale abbandono si protrasse fino al 1967, anno in cui i militari si trasferirono definitivamente presso altre sedi. Dal 1978 sono iniziati i lavori di restauro che hanno parzialmente riportato il complesso al suo splendore.
All’interno del cortile, antico ingresso d'onore al Castello, si eleva per 55,72 metri la Torre del Bramante,
edificata a più riprese, a partire dal 1198 sino alla fine del 17° sec.
La particolare struttura della torre è realizzata dalla sovrapposizione
di tre piani digradanti verso l'alto e ricorda la torre del Filarete del Castello Sforzesco di Milano.
Con la sua caratteristica sagoma, a corpi scalari, offre dalle sue
merlature una completa panoramica sulla piazza, sulle vie che da qui si
sviluppano, sul castello, e sull' intera città. Nelle giornate di cielo
sereno la torre permette infine al visitatore di ammirare le sagome
delle montagne che costituiscono l’arco alpino, tra cui è possibile
scorgere nitidamente quella del Monte Rosa.
Salendo a livello del primo terrazzo,
racchiuso dalla merlatura ghibellina, si apprezza infatti la vista di
Piazza Ducale, del Castello e della città. La sezione superiore accoglie
l'orologio, mentre l'ultima, inaccessibile al pubblico, contiene la
grande campana seicentesca. Un cupolino in bronzo è
posto al vertice, sopra il belvedere ottagonale di coronamento della
torre, in sostituzione dell'originaria guglia conica.
Piazza Ducale, ideata dal Bramante, venne costruita per volere di Ludovico il Moro in soli due anni, tra il 1492 ed il 1494 come anticamera del castello divenuto residenza ducale. E' uno dei primi modelli di piazza rinascimentale
e uno dei pochi esempi di piazza concepita come opera architettonica
unitaria: nel suo insieme costituisce una delle più compiute
realizzazioni urbanistiche di tutto il quattrocento lombardo.
La piazza è a pianta rettangolare di 138
metri per 46, racchiusa su tre lati da edifici porticati omogenei
sorretti da 84 colonne con capitelli lavorati e sul quarto lato dalla
facciata della cattedrale. I portici si interrompevano ai piedi della torre, in corrispondenza dell'attuale scalone di accesso al castello; una rampa, percorribile anche a cavallo, saliva dalla piazza fino al portone del castello, ingresso d'onore.
Dedicato a Sant'Ambrogio, il duomo
fu iniziato dal duca Francesco II nel 1532 e ultimato solo nel 1606.
L'interno, a croce latina e tre navate, conserva notevoli opere d'arte.
Il museo del tesoro del duomo è costituito in massima parte dai doni di Francesco II Sforza (1534).
Conserva tra le altre meraviglie la Pace, un preziosissimo reliquiario in argento cesellato in oro dal grande orafo Benvenuto Cellini.
Conserva tra le altre meraviglie la Pace, un preziosissimo reliquiario in argento cesellato in oro dal grande orafo Benvenuto Cellini.
La chiesa fu definitivamente terminata alla fine del seicento, allorché fu compiuta la grandiosa facciata barocca ideata dal grande poligrafo Juan Caramuel y Lobkowitz, che fu vescovo della città dal 1673 al 1682. Poiché gli assi del duomo e della piazza Ducale sono differenti
(la piazza era infatti scenografico ingresso al castello, e non alla
cattedrale), il Caramuel fece erigere la nuova facciata in forma concava
e fece eliminare l'originale rampa d'accesso al castello, completando
il porticato sotto la torre del Bramante. L'espediente architettonico
rendeva simmetrico il duomo rispetto alla piazza e mutava la "funzione politica" di quest'ultima: da "ingresso" del castello (potere civile) ad "anticamera nobile" del duomo (potere ecclesiastico).
Vigevano è stata a lungo la capitale italiana e in alcuni momenti anche mondiale della calzatura.
Il primato emerge in modo significativo a livello industriale nel corso
del ‘900, quando a Vigevano si era arrivati a produrre addirittura 20
milioni di paia di scarpe l’anno. Nel 1866 due fratelli, Luigi e Pietro
Bocca, diedero vita al primo calzaturificio modernamente inteso per
divisione e specializzazione delle fasi lavorative. Nel 1929 Vigevano fu
la prima città italiana ad avviare la produzione di calzature in gomma.
Il Museo Internazionale della Calzatura,
la prima e unica istituzione pubblica in Italia dedicata alla storia e
all’evoluzione della scarpa come indumento e come oggetto di design e
moda, fu inaugurato nel 1972 per volontà dello storico locale Luigi
Barni e dell’imprenditore Pietro Bertolini, cui é dedicato; a partire
dal 2003 si trova all’interno del Castello.
La risaia è una
sistemazione superficiale del terreno adatta alla coltivazione del riso.
In Italia è concentrata principalmente in bassa padana e nella stretta
fascia fino alle prealpi tra Lombardia e Piemonte; in particolare la Lomellina e la bassa provincia di Milano in Lombardia e il Novarese e il Vercellese in Piemonte.
Il riso cresce nell'acqua e i campi devono essere allagati,
perciò lungo il loro perimetro si costruiscono dei bassi argini
sufficienti a trattenere l'acqua che viene immessa. Poi si semina e la
risaia appare come uno stagno dalla superficie immobile.
A primavera, quando le piantine sono cresciute, l'acqua non si vede più. Tra settembre e ottobre le spighe del riso sono mature.
Allora la risaia viene prosciugata, il riso mietuto, trebbiato e
portato nelle riserie dove subisce una serie di lavorazioni prima di
essere messo in commercio.
Vigevano è anche la cittadina protagonista del film Il maestro di Vigevano, diretto da Elio Petri nel 1963 con Alberto Sordi.
Curiosità raccontate dalla guida. Mangiare a ufo.
Secondo una tradizione italiana, la dicitura in lingua latina Ad usum fabricae (ovvero: destinato ad essere utilizzato nella fabbrica) contrassegnava, nel Medioevo, i beni esentati da ogni dazio, perché, per esempio, destinati alla costruzione delle cattedrali.
L'espressione nacque nel periodo in cui si rifaceva la Basilica di San
Pietro, perché i materiali occorrenti godevano di particolari
franchigie. La dicitura veniva apposta sui carri, o sui barconi che
risalivano i fiumi; spesso i cartelli contenevano le sole iniziali
"A.U.F."
Secondo altri la scritta A.U.F. avrebbe
significato Ad urbis fabricam. A Milano, invece, la scritta sarebbe
stata Ad UFA con il significato di Ad Usum Fabricae Ambrosianae (con
riferimento alla fabbrica del Duomo di Milano, i cui blocchi,
provenienti dalla Val d'Ossola via fiume, recavano appunto tale
scritta).
Come al solito ti saluto, lettore fedele, e ci leggiamo alla prossima, che non tarderà.
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