domenica 16 ottobre 2016

Gita in Toscana - seconda parte - Firenze

24/4 Firenze

Firenze è il capoluogo della Toscana, l'ottavo comune italiano per popolazione e il primo della Toscana. Nel Medioevo è stato un importante centro culturale, commerciale, economico e finanziario. Ha ricoperto il ruolo di capitale del Granducato di Toscana, dal 1569 al 1859,  con i Medici e  i Lorena. E' stata capitale d'Italia dal 1865 al 1871.

Importante centro universitario e patrimonio dell'umanità UNESCO, è considerata il luogo d'origine del Rinascimento, riconosciuta come una delle culle dell'arte e dell'architettura, nonché come una delle più belle città del mondo, grazie ai suoi numerosi monumenti e musei, tra cui il Duomo, Santa Croce, gli Uffizi, Ponte Vecchio, Piazza della Signoria e Palazzo Pitti.

Firenze si trova in una posizione scenografica, al centro di un'ampia conca ad anfiteatro all'estremità sud-orientale della piana di Firenze-Prato-Pistoia, circondata su tre lati da incantevoli colline. La piana dove sorge la città è attraversata dall'Arno (la città stessa divide il suo corso fra Valdarno superiore e Valdarno inferiore) e da corsi d'acqua minori.

Firenze è ovunque caratterizzata da quello straordinario sviluppo letterario, artistico e scientifico che ebbe luogo nel XIV-XVI secolo; con i propri artisti, pensatori, letterati, scienziati di fama mondiale (basti pensare a Leonardo da Vinci che qui creò i suoi capolavori come per esempio la Gioconda, Michelangelo, Raffaello, Sandro Botticelli, Niccolò Machiavelli, Filippo Brunelleschi, Galileo tra i tanti) beneficiò sotto tutti gli aspetti, materialmente e spiritualmente, di questo grande cambiamento sociale e divenne uno dei luoghi catalizzatori di quella corrente di pensiero, costituendo uno dei più importanti centri di rinascita della cultura mondiale.

Il 4 novembre 1966 è ricordato dai fiorentini come il giorno dell'alluvione di Firenze. Gran parte del centro fu invasa dall'acqua del fiume Arno. La furia delle acque portò una grande devastazione e alcune decine di morti, invase le chiese, i palazzi e i musei distruggendo archivi ed opere d'arte, allagò i depositi della Biblioteca Nazionale Centrale danneggiando molti preziosi volumi. Mischiata alla nafta, per via della rottura delle cisterne di combustibile, l'acqua del fiume s'inerpicò velocemente nei vicoli del centro storico, nei fondi commerciali. Il prezioso Crocifisso di Santa Croce di Cimabue venne deturpato dalla fanghiglia, divenendo presto un simbolo della devastazione. Questo immenso dramma venne vissuto dal mondo con una partecipazione unica, dando ben presto l'avvio ad una incredibile gara di solidarietà che vide la nascita dei famosi angeli del fango, giovani provenienti da ogni dove che si adoperarono nella difficile opera del recupero dei tesori artistici danneggiati.
Il fiume Arno, che passa in mezzo alla città, occupa un posto nella storia fiorentina alla pari con la gente che ci vive. Storicamente, la popolazione locale ha una relazione di odio-amore con l'Arno, il quale ha portato alternativamente i vantaggi del commercio e i disastri delle alluvioni.

Tra i ponti che lo attraversano, il Ponte Vecchio è unico al mondo, con le caratteristiche botteghe di gioiellieri nelle casette costruite su di esso. Attraversato dal nobile Corridoio vasariano, è l'unico ponte della città ad essere passato indenne attraverso la seconda guerra mondiale.

Il cuore di Firenze è Piazza della Signoria, col maestoso Palazzo Vecchio, con la galleria di capolavori scultorei nella Loggia dei Lanzi e la vicina Galleria degli Uffizi, uno dei musei d'arte più rinomati al mondo. Poco lontano si trova il centro religioso della cattedrale di Santa Maria del Fiore, con la maestosa cupola (la più grande mai costruita) che, ai tempi del Granducato, si diceva che con la sua ombra arrivasse a coprire tutta la Toscana; l'enorme Duomo è magnificamente corredato dal Campanile di Giotto, uno dei più belli d'Italia, e dal Battistero di San Giovanni, con le celebri porte bronzee tra le quali spicca la dorata porta del Paradiso.

Oltre agli Uffizi, Firenze conta altri musei che sarebbero l'attrazione artistica principale di ogni altra grande città del mondo: la Galleria dell'Accademia, il Bargello o il Palazzo Pitti con i suoi otto musei tra cui la Galleria Palatina. I fiorentini si vantano di possedere il migliore esempio di bellezza nell'arte sia femminile (la Venere del Botticelli) sia maschile (il David di Michelangelo).

E' proprio dalla Galleria dell'Accademia che, sotto il diluvio universale, comincia la nostra visita della città.

Situato in via Ricasoli, il museo, secondo in Italia per numero di visitatori dopo gli Uffizi, espone il maggior numero di sculture di Michelangelo al mondo, fra cui il celeberrimo David. All'interno sono ospitate anche altre sezioni, fra cui la raccolta più vasta e importante al mondo di opere pittoriche a fondo oro e il Museo degli strumenti musicali, appartenenti alla collezione storica del Conservatorio Luigi Cherubini.

La Galleria accoglie i visitatori nella Sala del Colosso, completamente riallestita a Dicembre 2013 per accogliere un consistente nucleo di opere pittoriche quattrocentesche e di primo Cinquecento. Il nome della sala era originariamente riferito alla presenza di uno dei modelli in gesso dei Dioscuri di Montecavallo esposti in Galleria fino a inizio Novecento.

A destra dell’ingresso c'è la Tebaide di Paolo Uccello, opere giovanili di Sandro Botticelli e tavole a soggetto sacro. Il pannello dipinto in posizione centrale è il Cassone Adimari (1450) attribuito allo Scheggia (il fratello minore di Tommaso de’ Cassai, meglio noto a Firenze come Masaccio).

Il cassone riproduce, come in un’istantanea, un corteo nunziale che si svolge fra strade e monumenti del centro di Firenze, dove ben riconoscibile vi è il Battistero, presentando una vera parata di custumi alla moda della Firenze del Quattrocento. Una lunga tenda permette il passaggio coperto di una serie di coppie riccamente abbigliate, silhouettes allungate dal passo magicamente sospeso come nella raffinata tradizione del Gotico internazionale.

A sinistra del cassone un’opera di piccolo formato attribuita a Botticelli, la Madonna del Mare. L'opera deve il suo nome al soffuso paesaggio marino che si vede sullo sfondo attraverso una finestra. La Vergine tiene in grembo il Bambino con il tipico, per Botticelli, velo trasparente e indossa un manto azzurro con la stella cometa ricamata sulla spalla, al di sopra dell'usuale veste rossa. Il rapporto col mare inoltre è legato a uno degli appellativi di Maria, Stella maris.

Il nucleo originario della galleria comprendeva due grandiosi modelli in gesso originali del Giambologna (il Ratto delle Sabine, ancora nella Sala del Colosso, e l'Allegoria di Firenze che domina Pisa, oggi in Palazzo Vecchio), una serie di calchi in gesso moderni di opere classiche e una quadreria che nasceva dalle raccolte dell'Accademia del Disegno, con molte opere di ex-affiliati, tra cui i grandi maestri fiorentini del Manierismo. Il modello preparatorio in gesso del ratto delle Sabine presenta dimensioni notevoli e colpisce per la posa ricercata dei corpi nudi realizzati in movimento a spirale. Con questo modello Giambologna studiò nei minimi dettagli il gruppo da scolpire nel marmo di 4,10 metri di altezza, statua che ora si trova nella Loggia de Lanzi in piazza della Signoria.

Il 1872 segna la svolta definitiva nella storia del museo, quando venne deciso di trasferirvi il David di Michelangelo, sottraendolo ai pericoli della collocazione originaria all'aperto in piazza della Signoria. L'architetto Emilio De Fabris ricevette l'incarico di costruire una nuova Tribuna per la grande statua, scenograficamente posta al termine della Galleria dei Quadri antichi, con l'illuminazione propria garantita in alto da un lucernario. Il David è realizzato in marmo (altezza 410 cm esclusa la base) e databile tra il 1501 e l'inizio del 1504. Largamente considerato un capolavoro della scultura mondiale, è uno degli emblemi del Rinascimento, nonché simbolo di Firenze e dell'Italia all'estero; è da sempre considerato l'ideale perfetto di bellezza maschile nell'arte.

I Prigioni sono un gruppo di sei statue di Michelangelo eseguite per la tomba di Giulio II. Due di essi sono pressoché finiti, risalgono al 1513 circa e sono oggi al Louvre. Quattro, databili al 1525-1530 circa, sono vistosamente "non-finiti" e sono conservati nella Galleria, vicino al David. (Schiavo giovane, Schiavo barbuto, Atlante, Schiavo che si ridesta). Proprio dal loro stato non-finito traggono una straordinaria energia, come se fossero colti nell'atto primordiale di liberarsi dal carcere della pietra grezza, in un'epica lotta contro il caos. I Prigioni fiorentini, in diversi stati di finitura, permettono di approfondire la tecnica scultorea usata da Michelangelo, che avviava il blocco tirando innanzitutto fuori la veduta principale, e poi completava il resto scalpellando via il materiale circostante.

Per completare la visita del pian terreno si attraversano le sale che ospitano opere di pittura fiorentina del trecento; pale d’altare a fondo oro provenienti dalle più importanti chiese fiorentine e complessi conventuali commissionate a Giotto e seguaci come Bernardo Daddi e gli Orcagna.

La più grande tavola istoriata della sala raffigura un ricco e complesso Albero della Vita, un dipinto a tempera e oro su tavola (248x151 cm) di Pacino di Buonaguida, databile al 1305-1310 circa. L'opera, una grande tavola cuspidata, venne commissionata dalle Clarisse del convento di Monticelli a Firenze come testimonia la presenza di santa Chiara d'Assisi, sotto l'Albero, e di un'altra consorella, forse Agnese sorella di Chiara e badessa nel convento di Monticelli, in uno dei tondi cristologici. Al centro campeggia Cristo crocifisso, nella posizione realistica inaugurata pochi anni prima da Giotto nel Crocifisso di Santa Maria Novella. In basso si trovano poi storie della Genesi strettamente legate al tema dell'Albero proibito, divenuto poi Albero della vita e legno della Croce.

Usciamo e ci rechiamo a Palazzo Medici Riccardi, che è l'attuale sede del Consiglio metropolitano. Il palazzo è un'opera del Michelozzo, commissionata dal patriarca delle fortune dei Medici, Cosimo il Vecchio. In un primo momento Cosimo chiese un progetto a Brunelleschi, ma lo scartò per la sua troppa magnificenza che avrebbe senz'altro scatenato le invidie dei concittadini.

Michelozzo, un architetto altrettanto valido ma più discreto, realizzò un palazzo cubico dall'aspetto esterno imponente, ma sobrio e austero, intorno a un cortile centrale quadrato con colonne corinzie, ispirandosi in parte al recupero di elementi classici operato da Leon Battista Alberti. Fu proprio il Palazzo Medici a fissare uno dei modelli dell'architettura civile del Rinascimento.

La sua facciata è un capolavoro di sobrietà ed eleganza, sebbene presenti caratteri "eccezionali" come l'uso del bugnato, che nel medioevo era riservato normalmente ai palazzi pubblici dove aveva sede un governo cittadino. L'esterno è quindi diviso in tre registri, separati da cornici marcapiano con dentelli dalla sporgenza crescente verso i piani superiori.

Il bugnato è graduato in modo da essere molto sporgente al pian terreno, più appiattito al primo piano e caratterizzato da lastre lisce e appena listate al secondo, mettendo così in rilievo l'alleggerimento dei volumi verso l'alto. Le bifore scandiscono regolarmente la facciata, incorniciate da una ghiera a tutto sesto, con un medaglione al centro con l'arme dei Medici e rosoncini. Le finestre sono leggermente differenziate tra piano e piano, con cornici più larghe in alto in modo da bilanciare la minore altezza del piano. L'effetto è comunque quello di dare maggior risalto al piano nobile. 
Sopra, stemma dei Medici.

Lungo i lati est e sud corre una panca di via, un alto zoccolo in pietra, destinato alla seduta, collocato al piede della facciata principale e a volte di quelle secondarie, di palazzi storici. Il suo scopo, oltre quello pratico di seduta, era di proteggere la muratura da urti dovuti al passaggio di veicoli. La sua presenza sottolineava il prestigio della famiglia nobiliare che risiedeva nel palazzo, dimostrando la sua cortesia per i cittadini e assicurando ai clientes in attesa (i Medici erano banchieri) un sedile dove attendere.

La cattedrale di Santa Maria del Fiore, duomo di Firenze, è la principale chiesa fiorentina, simbolo della città e uno dei più famosi d'Italia nonché la terza chiesa al mondo per grandezza. Colpisce per il suo apparire come monumento unitario, soprattutto all'esterno, grazie all'uso degli stessi materiali: marmo bianco di Carrara, verde di Prato, rosso di Maremma e il cotto delle tegole.

La costruzione del Duomo, ordinata dalla Signoria fiorentina, inizia nel 1296 e termina dal punto di vista strutturale soltanto nel 1436, sul luogo dell'antica cattedrale di Santa Reparata, antica chiesa cristiana trasformazione di un tempio romano. Il progetto vincitore del concorso indetto per la costruzione fu quello di Arnolfo di Cambio, scultore e architetto, che negli ultimi anni della sua vita si dedicò alla supervisione dei lavori.

La chiesa, a tre navate, costituisce il punto di incontro tra romanico fiorentino, ordinato e geometrico, e gotico francese, più mosso, di cui Arnolfo era venuto a conoscenza tra i primi in Italia. Con la morte dell'autore del progetto i lavori della chiesa rallentarono, per riprendere con rinnovato vigore nel 1334, allorché Giotto venne nominato capomastro.

Il maggiore contributo di Giotto è costituito dal campanile, di poco discosto dalla facciata principale del Duomo, a base quadrata, decorato – come il resto della chiesa – con marmi policromi bianchi, rossi e verdi. La posizione inusuale del campanile, allineato con la facciata, riflette la volontà di conferirgli una grande importanza come segno di forte verticalità. Giotto fornì un progetto originale del campanile, con una terminazione a cuspide piramidale alta 50 braccia fiorentine (circa 30 metri), secondo cui l'elevazione totale sarebbe dovuta essere di 110-115 metri circa. Peculiare del campanile è la ricchissima decorazione scultorea, un complesso programma iconografico a cui parteciparono alcuni tra i migliori scultori presenti a Firenze.

Tutte queste opere, uno dei più completi cicli figurativi del Medioevo, sono oggi stati sostituite con copie (gli originali si conservano nel Museo dell'Opera del Duomo). L'attribuzione dei bassorilievi è tuttora oggetto di discussione, tuttavia si considera condivisa l'opinione che i disegni possono essere scaturiti da un'idea programmatica di Giotto, mentre l'esecuzione (1337-1341) fu affidata ad Andrea Pisano e alla sua bottega.

La pianta del Duomo è composta dal un corpo di basilica saldato a una enorme rotonda triconica che sorregge l'immensa cupola del Brunelleschi, la più grande cupola in muratura mai costruita. Al suo interno è visibile la più grande superficie mai decorata ad affresco: 3600 m², eseguiti tra il 1572-1579 da Giorgio Vasari e Federico Zuccari. Rappresentano il giudizio universale.

Nel 1365 erano terminati il coro e il transetto, nel 1378 la navata centrale era compiuta e coperta, nel 1380 furono ultimate le navate laterali, mentre nel 1421 vennero erette le tribune. Conclusi i lavori principali era rimasta nella cattedrale una grande cavità larga 43 metri e posta su un tamburo a un'altezza di circa 60 metri, della cui copertura nessuno, fino ad allora, si era ancora posto il problema di trovare una soluzione concreta, sebbene per tutta la seconda metà del Trecento si fosse sviluppato un appassionato dibattito.
Nel 1418 fu indetto un concorso pubblico per la progettazione della cupola, o anche solo di macchine atte al sollevamento di pesi alle altezze mai raggiunte prima da una costruzione a volta, cui parteciparono numerosi concorrenti. Il concorso, considerato come l'inizio dei lavori alla cupola, non ebbe alcun vincitore ufficiale: il cospicuo premio messo in palio non fu infatti assegnato. Si misero tuttavia in luce due artisti emergenti che si erano già scontrati nel concorso per la porta nord del battistero del 1401: Filippo Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti. Tracce d'archivio riportano come Brunelleschi predispose un modello e fece una prova generale per la costruzione della cupola senza centina nella chiesa di San Jacopo Soprarno. Si stabilì dunque che si cominciasse a costruire la cupola fino all'altezza di trenta braccia e poi si decidesse come continuare, in base al comportamento delle murature. L'altezza indicata non era casuale, ma era quella alla quale i mattoni avrebbero dovuto essere posati ad un angolo tale (rispetto all'orizzontale) da non poter essere trattenuti al loro posto dalle malte a lenta presa conosciute dai muratori dell'epoca (la tecnica romana della "pozzolana" non era più in uso) con conseguente rischio di crolli.

Brunelleschi adottò una soluzione altamente innovativa, predisponendo una doppia calotta autoportante durante la costruzione, senza ricorrere alla tradizionale centina. Dopo essersi liberato del rivale con uno stratagemma, Brunelleschi ebbe il campo libero per occuparsi del grandioso progetto, risolvendo via via tutte le difficoltà che questo comportava: dalla costruzione di gru e carrucole, alla predisposizione di rinforzi, dall'organizzazione del cantiere alla decorazione esterna. Realizzò quindi una cupola a base ottagonale, divisa in vele triangolari, inarcate su 8 costoloni di marmo bianco. Il disegno per l'elegante lanterna alla sommità della cupola, eseguito dallo stesso Brunelleschi, venne messo in opera nel 1462 da Giuliano da Maiano.
La cupola interna appare di spessore enorme (due metri e mezzo alla base), mentre quella esterna è più sottile (inferiore ad un metro), con l'unica funzione di proteggere la cupola interna dalla pioggia e farla apparire, secondo le parole dell'architetto, più magnifica e gonfiante all'esterno. La disposizione dei mattoni a spina di pesce serviva soprattutto a creare un appiglio per le file dei mattoni, in modo da impedirne lo scivolamento fino alla presa della malta. Per la complessità dell'impresa e lo straordinario risultato ottenuto, la costruzione della cupola è considerata la prima, grande affermazione dell'architettura rinascimentale.

La consacrazione della chiesa ebbe luogo da parte di papa Eugenio IV il 24 marzo del 1436. Tra i capolavori conservati al suo interno si ricordano le sculture di Donatello, i mosaici di Domenico e Davide Ghirlandaio, le vetrate di Lorenzo Ghiberti e gli affreschi con i monumenti equestri di Niccolò da Tolentino e di Giovanni Acuto, realizzati rispettivamente da Andrea del Castagno e Paolo Uccello.

Il battistero dedicato a San Giovanni Battista, patrono della città di Firenze, sorge di fronte al duomo, in piazza San Giovanni. Inizialmente era collocato all'esterno della cerchia delle mura, ma fu compreso, insieme al duomo, nelle mura realizzate da Matilde di Canossa. In origine era circondato da altri edifici, come il palazzo Arcivescovile, che però vennero abbattuti per creare l'attuale piazza.

Le origini del monumento costituiscono uno dei temi più oscuri e discussi di tutta la storia dell'arte. Fino al Cinquecento si seguiva l'antica tradizione fiorentina secondo cui esso sarebbe stato in origine un tempio di Marte. Questa idea fu gradualmente abbandonata, anche perché scavando sotto l'edificio apparvero i resti di domus romane, probabilmente del I secolo d.C.

Una delle maggiori peculiarità del battistero è la sua forma a 8 lati, con una base perimetrale ottagonale di 25,60 metri di diametro, e una cupola piramidale costituita da 8 “spicchi”; particolari sono anche le facciate esterne, interamente rivestite da marni bianchi e verdi, di Carrara e Prato. E' però soprattutto famoso per le sue 3 porte bronzee, d’immenso valore storico e artistico.

La più antica è la Porta Sud, realizzata tra il 1330 e il 1336 dallo scultore Andrea Pisano. Essa mostra nei venti scomparti superiori gli episodi della vita del Battista e, nei restanti otto, le Virtù cristiane.
Sopra un particolare, la formella rappresentante la speranza.

La Porta Nord, di Lorenzo Ghiberti, fu la seconda a essere realizzata tra il 1403 e il 1424. Sostanzialmente impostata come la prima, rappresenta nelle venti formelle superiori scene del Nuovo Testamento e nelle otto formelle inferiori i quattro Evangelisti e i quattro Padri della Chiesa. Il Ghiberti vinse la commissione per la porta Nord, battendo in concorso artisti come il Brunelleschi e Jacopo della Quercia.
Sopra la formella rappresentante san Marco.

Infine la Porta Est, il capolavoro del Ghiberti e dei suoi aiuti, tra cui Luca della Robbia, è quella di fronte al Duomo, denominata anche Porta del Paradiso da Michelangelo. Ghiberti e la sua bottega ottennero senza concorso la commissione della porta, che venne realizzata tra il 1425 e il 1452 in un formato diverso dalle altre due, con dieci formelle interamente rivestite d'oro, raffiguranti alcune scene dell’Antico Testamento
La porta fu danneggiata dall'alluvione del 1966 e i rilievi sono attualmente sostituiti da copie, mentre gli originali, restaurati, si trovano nel Museo dell'Opera del Duomo.

Particolare di una delle formelle della Porta del Paradiso.


L'Opificio delle Pietre Dure ha sede a Firenze in via degli Alfani ed è un Istituto Centrale dipendente dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, la cui attività operativa e di ricerca si esplica nel campo del restauro e della conservazione delle opere d'arte.
L'Opificio è, assieme all'Istituto superiore per la conservazione ed il restauro, uno degli istituti più importanti e rinomati nel campo del restauro, non solo a livello nazionale, ma anche internazionale. Grosso impulso all'attività di ricerca e restauro operativo si ebbe in seguito al tragico evento dell'alluvione di Firenze del 1966, quando molte opere d'arte ebbero necessità di importanti restauri.

Il Gabinetto Restauri venne trasferito in un edificio interno alla Fortezza da Basso per la necessità di ospitare un numero enorme di opere da restaurare, anche di grandissimo formato, come la Croce dipinta da Cimabue. Grazie anche a restauratori provenienti da tutte le parti del mondo, il laboratorio fiorentino divenne uno dei centri all'avanguardia nel mondo del restauro.

Il Museo della casa di Dante si trova in una delle parti più antiche del centro storico, in via Santa Margherita. Dante stesso scrisse di essere nato all'ombra della Badia Fiorentina sotto la parrocchia di San Martino, anche se non è certo che l'edificio sia esattamente quello dove oggi è ospitato il museo. Su un lato, sopra una mensoletta, è stato collocato un busto bronzeo di Dante, opera di Augusto Rivalta.

La vicinissima chiesa di Santa Margherita de' Cerchi è il luogo dove il poeta avrebbe incontrato per la prima volta Beatrice Portinari. E' considerata anche la "chiesa di Dante", che qui sposò Gemma Donati (secondo altre fonti il matrimonio avvenne nella vicina San Martino) e poté incontrarvi in segreto l'amata Beatrice, la cui famiglia aveva qui le proprie sepolture. È invece inverosimile l'ipotesi che qui sia sepolta la stessa Beatrice, perché essendo maritata Bardi il suo sepolcro dovrebbe trovarsi nella tomba della famiglia Bardi, nel chiostro Grande di Santa Croce. Nell'immaginario collettivo, però, la piccola chiesa resta la destinazione degli appassionati di Dante e degli ammiratori dell'angelica Beatrice.

Nella città di Firenze sono collocate trentaquattro lapidi della Divina Commedia lungo le facciate di alcuni palazzi. Le citazioni delle terzine sono tratte dalle tre cantiche: 9 dall'Inferno, 5 dal Purgatorio e 20 dal Paradiso e passano in rassegna i principali eventi della città e dei suoi illustri cittadini.

L'oratorio dei Buonomini di San Martino è un luogo di culto cattolico del centro di Firenze situata nell'omonima piccola piazza di San Martino, al termine di via de' Magazzini, angolo via Dante Alighieri. Vicino al grande monastero della Badia Fiorentina esisteva una chiesetta fondata probabilmente nel X secolo, chiamata San Martino al Vescovo. Patronata da importanti famiglie della zona come i Donati e gli Alighieri (la Casa di Dante sorge infatti ad appena un isolato), è tradizionalmente il luogo indicato per il matrimonio di Gemma Donati con Dante Alighieri.

La Compagnia dei Buonomini di San Martino fu fondata nel 1441, composta da dodici uomini e nata con lo scopo di soccorrere "i poveri vergognosi", ovvero le famiglie benestanti cadute in disgrazia per via delle lotte politiche, di rovesciamenti economici e altro, i quali, per pudore, non chiedevano elemosine pubblicamente. Quando la Congregazione, ancora attiva, non può disporre di risorse, è usanza che i Buonomini accendano una candela alla finestra della sede per avvertire i fiorentini della necessità di offerte. Da questo gesto nasce il modo di dire “ridursi al lumicino”, per indicare una forte difficoltà economica.
Sopra, buca per le offerte.

Il Museo nazionale del Bargello è dedicato alla scultura. La sua collezione di statue rinascimentali è considerata tra le più notevoli a livello mondiale: annovera infatti capolavori di Michelangelo, Donatello, Ghiberti, Cellini, Giambologna, Ammannati e altri importanti scultori, oltre a una grande raccolta di arti applicate, organizzate principalmente per tipologia. Il nome deriva dal palazzo del Bargello, detto anche palazzo del Popolo.
Il tempo è tiranno e dobbiamo proseguire senza visitarlo.

Vediamo anche la principale sinagoga, o tempio maggiore israelitico, che si trova nel centro storico. La sua cupola verde rame è un punto celebre del panorama cittadino. Nel 1868 David Levi, presidente dell'Università Israelitica, con legato testamentario destinava i suoi beni alla realizzazione di una nuova Sinagoga fiorentina e di un luogo di culto ebraico "degno della città". La prima pietra, spedita da Gerusalemme, fu posta il 30 giugno 1874 e l'inaugurazione ebbe luogo il 24 ottobre 1882.

Piazza della Signoria, cuore politico della città dal Medioevo ad oggi, comincia a prendere forma a partire dal 1268, quando il partito dei Guelfi riprende il controllo sulla città e decide di radere al suolo le case dei rivali Ghibellini. Alla fine le case abbattute saranno ben 36 e da questo deriva la sua particolare conformazione a forma di "L" e la posizione non allineata degli edifici che la delimitano.

Il nome le viene dal principale fra i monumenti che ospita, Palazzo della Signoria, progettato nel 1298-99 (terminato nel 1302, dopo soli tre anni) da Arnolfo di Cambio come sede del governo della Repubblica e destinato a ospitare il Gonfaloniere di Giustizia e i Priori delle Arti (il primo nome fu infatti Palazzo dei Priori). Questa funzione di rappresentanza politica della città sarà conservata dal palazzo anche sotto la Signoria medicea e poi sotto il duca Cosimo I, che vi abiterà fra il 1540 e il 1565, ordinando al suo architetto di fiducia Giorgio Vasari il raddoppio dell'edificio. Nel 1565, quando la famiglia del Granduca si trasferirà nella nuova reggia di piazza Pitti, Palazzo della Signoria finirà per essere conosciuto come Palazzo Vecchio.

Sede del potere civile, la piazza era anche sede delle pubbliche esecuzioni, di cui la più famosa è quella del 23 maggio 1498, quando Girolamo Savonarola fu impiccato e bruciato per eresia (una targa sulla piazza, di fronte alla Fontana del Nettuno, ricorda questo evento) nello stesso luogo in cui, con i suoi discepoli, aveva operato il cosiddetto Falò delle Vanità, dando alle fiamme molti libri, poesie, tavoli da gioco, vestiti.

Nella parte sinistra della gradinata di Palazzo Vecchio si trova la scultura raffigurante il Marzocco (una copia, l'originale di Donatello è custodita nel Museo del Bargello), un leone araldico con lo stemma di Firenze. Spostandosi verso destra ci sono delle copie in bronzo di Giuditta e Oloferne, il David di Michelangelo (l'originale come si è detto è conservato nella Galleria dell'Accademia) e il gruppo marmoreo di Ercole e Caco di Baccio Bandinelli.

A sinistra di Palazzo Vecchio si trova la statua equestre di Cosimo I de' Medici, voluta da Ferdinando I de' Medici per celebrare il padre. Fu commissionata nel 1587 al più importante scultore attivo a Firenze all'epoca, il Giambologna. Il grandioso progetto prevedeva una statua in bronzo ed era la prima grande scultura equestre che si realizzava a Firenze.

Nel 1559 Cosimo I de' Medici bandì un concorso per creare la prima fontana pubblica di Firenze, al quale parteciparono i più importanti scultori fiorentini dell'epoca: Benvenuto Cellini, Baccio Bandinelli, Vincenzo Danti, Bartolomeo Ammannati e il Giambologna. Venne scelto il Nettuno dell'Ammannati perché giudicato più significativo nell'esaltare i gloriosi traguardi marinari raggiunti in quei decenni dal Granducato di Toscana, con la presa di Siena (1559), la progettazione di Livorno e la fondazione dell'Ordine di Santo Stefano, deputato a combattere i turchi nel Mediterraneo per la sicurezza dei traffici di persone e merci.
La statua non fu particolarmente apprezzata: si racconta come i fiorentini, accorsi all'inaugurazione notturna della statua, allo scoprire dell'opera notassero più il candore della statua che la sua bellezza, da cui il nome di "Biancone" e coniarono il motto "Ammannato, Ammannato, quanto marmo t'hai sciupato!"

Tutt'intorno, una serie di abitazioni dei secoli XIV-XVI fra cui il Tribunale della Mercanzia (1359, antica corte di giustizia in materia commerciale), e il cinquecentesco Palazzo Uguccioni, la cui facciata fu forse disegnata da Raffaello.

Al numero 5 è invece il palazzo che contiene la Raccolta Alberto Della Ragione, dono del collezionista genovese al Comune (1970): in 21 sale sono esposti 250 dipinti italiani del periodo 1910-1950. Infine il grande palazzo delle Assicurazioni Generali, costruito nel 1871 in stile rinascimentale sul luogo dove sorgevano l'antica Loggia dei Pisani e la chiesa di Santa Cecilia.

Di molti edifici esistenti in antico sull'area della piazza si sono ritrovate tracce estese durante i lavori di ripavimentazione del 1980. La Soprintendenza archeologica potè in quell'occasione studiare a fondo reperti e stratificazioni urbanistiche, che confermarono il sito come primo luogo di insediamento umano nel punto di guado del fiume Arno, arrivando fino a reperti neolitici ben anteriori alla fondazione della città romana. Sotto le case medioevali vennero inoltre alla luce ampi resti della Firenze romana fra cui uno stabilimento termale e un'officina per la tintura dei panni.

A destra di Palazzo Vecchio si trova la Loggia della Signoria, chiamata anche Loggia de Lanzi, non tanto perché qui pare si accampassero i lanzichenecchi nel 1527 di passaggio verso Roma, ma perché il Corpo di Guardia del Granduca Cosimo I, che alloggiava sotto la Loggia, era in parte composto da lanzichenecchi, o Loggia dell'Orcagna, per via di un'errata attribuzione al fratello dell'architetto progettista.

Venne costruita tra il 1376 e il 1381 da Benci di Cione (fratello dell'Orcagna) e Simone Talenti con funzione di "arengario" coperto, ossia di balcone per arringare la folla durante le cerimonie ufficiali. Dal punto di vista architettonico la costruzione unisce elementi gotici, come i pilastri a fascio e il coronamento traforato, a elementi di matrice classica, come i grandi archi a tutto sesto. (a lato, circa 1900)

Ai fianchi della gradinata d'ingresso vigilano due leoni marmorei, uno di epoca romana (a destra)

e l'altro realizzato nel 1600 da Flaminio Vacca (a sinistra): tradizionalmente i leoni simboleggiano la guardia e la protezione dei luoghi da presenze negative, secondo una tradizione iconografica che risale addirittura alle civiltà mesopotamiche.

Caso quasi unico nel panorama mondiale, nella loggia sono ospitate sculture di eccezionale pregio risalenti all'età classica e al periodo del manierismo, veri capolavori da museo, tutti originali, e fruibili liberamente giorno e notte gratuitamente. Un servizio di sorveglianza continua delle opere, attivo 24 ore su 24, vigila sul rispetto di alcune minime restrizioni. Sotto le raffinate arcate vennero collocate, oltre che una serie di importanti statue classiche, due notevoli gruppi manieristi: il Ratto delle Sabine, del 1583 (come già detto c'è lo studio in gesso all'accademia) e l'Ercole in lotta col centauro Nesso, del 1599, entrambi del Giambologna.

Il capolavoro più importante è il Perseo di Benvenuto Cellini, una grande statua in bronzo alta 3,20 metri compreso il piedistallo istoriato da bassorilievi di tema mitologico. Rappresenta Perseo in piedi sul corpo di Medusa, appena decapitata con la spada impugnata nella mano destra, mentre la sinistra solleva trionfante la testa del mostro tenuta per i capelli. Fu sistemato nella loggia nel 1554 e, a parte il periodo del restauro nel 1999, è sempre rimasto qui collocato. Sulla nuca della statua, in posizione estremamente defilata, è presente un dolente autoritratto di Cellini.

La fusione del Perseo fu molto complessa e mise a dura prova il Cellini e i suoi assistenti. Così come viene raccontata nell'autobiografia dell'artista, fu un'operazione quasi "epica", con lo scultore preso da febbri e sudorazione, il fuoco della fornace che si era abbassato per via di un temporale, poi la insufficienza dello stagno, al quale il Cellini avrebbe rimediato gettando nella fusione tutte le stoviglie di casa, infine un principio di incendio della bottega.

Sono sculture di epoca romana Patroclo e Menelao, copia di epoca flavia di un originale greco del 230-240 a.C., e le sei figure di donna vicine alla parete di fondo. Si ritiene che possano provenire dal Foro di Traiano a Roma; furono trovate verso la metà del Cinquecento e, dopo aver decorato a lungo Villa Medici, arrivarono a Firenze nel 1789.

È invece un'opera ottocentesca il Ratto di Polissena di Pio Fedi, scolpita tra il 1855 e il 1865; è considerata il capolavoro dell'artista ed una delle più significative opere della scultura ottocentesca italiana, unica opera moderna tra capolavori antichi e rinascimentali. Il soggetto è Polissena, figlia minore di Priamo, rapita da Pirro per essere sacrificata in previsione della partenza delle navi greche per il ritorno dalla guerra di Troia. La violenza è sottolineata dall'uccisione del fratello di Polissena, Polidoro, caduto per difendere la sorella, e dal braccio alzato di Pirro, con la spada impugnata che sta per vibrare il colpo per uccidere anche la madre di Polissena, Ecuba, che cerca di trattenerlo.

Lasciamo il centro, passiamo sul ponte vecchio per arrivare a Palazzo Pitti e i giardini Boboli, opzione che non ho accolto per maltempo, stanchezza e fame. Dopo pranzo ci aspettavano gli Uffizi, era necessario fermarsi un po'.

Palazzo Pitti è stata la residenza del Granducato di Toscana, già abitata dai Medici, dai Lorena e dai Savoia. Si trova nella zona di Oltrarno. Al suo interno è ospitato un complesso museale composto da gallerie e musei di diversa natura. I giardini monumentali di Boboli sono uno dei migliori esempi nel mondo di giardino all'italiana.

Ci ritroviamo alle 15 per visitare la Galleria degli Uffizi, uno dei più importanti musei italiani e uno dei maggiori e conosciuti al mondo. L'edificio ospita una superba raccolta di opere d'arte inestimabili, derivanti, come nucleo fondamentale, dalle collezioni dei Medici, arricchite nei secoli da lasciti, scambi e donazioni, tra cui spicca un fondamentale gruppo di opere religiose derivate dalle soppressioni di monasteri e conventi tra il XVIII e il XIX secolo. Divisa in varie sale allestite per scuole e stili in ordine cronologico, l'esposizione mostra opere dal XII al XVIII secolo, con la migliore collezione al mondo di opere del Rinascimento. Al suo interno sono ospitati alcuni fra i più grandi capolavori dell'umanità, realizzati da artisti che vanno da Cimabue a Caravaggio, passando per Giotto, Leonardo da Vinci, Michelangelo, Raffaello, Mantegna, Tiziano, Parmigianino, Dürer, Rubens, Rembrandt, Canaletto e Sandro Botticelli. Di grande pregio sono anche la collezione di statuaria antica e soprattutto quella dei disegni e delle stampe che, conservata nel Gabinetto omonimo, è una delle più cospicue ed importanti al mondo.

E' impensabile trasferire qui le emozioni provate nelle due ore di visita, mi limito quindi a qualche accenno ad alcune tra le opere che ho visto.



La Maestà di Ognissanti è un dipinto a tempera e oro su tavola (325x204 cm) di Giotto, databile al 1310 circa e scenograficamente collocato a poca distanza da analoghe pale di Cimabue (Maestà di Santa Trinità) e Duccio di Buoninsegna (Madonna Rucellai).
Il confronto con le opere precedenti dà un valido metro di come l'arte di Giotto si muovesse ormai verso un radicale rinnovamento della pittura, anche se non mancano stilemi arcaici come il fondo oro e le proporzioni gerarchiche, queste ultime dovute forse alla necessità di mostrare il maggior numero possibile di fedeli attorno alla Vergine. Il tema della Maestà è reinterpretato con grande originalità, incentrato sul recupero della spazialità tridimensionale degli antichi e sul superamento della frontalità bizantina.
La Madonna e il Bambino hanno un volume solido, ben sviluppato in plasticità, dal netto contrasto tra ombre e lumeggiature, molto più che nella vicina opera di Cimabue di circa dieci anni anteriore. Il peso così terreno delle figure è evidenziato dalla gracilità delle strutture architettoniche del trono. Raffinati sono i colori, come il bianco madreperlaceo della veste, il blu di lapislazzuli del manto, il rosso intenso della fodera. Maria è una matrona che, in maniera del tutto originale, accenna quasi un sorriso, dischiudendo appena le labbra e mostrando da uno spiraglio i denti bianchi.
Le figure sono incorniciate da un raffinato trono cuspidato, creato secondo una prospettiva intuitiva ma efficace, che accentua la profondità spaziale, nonostante il fondo oro. Esso si ispira a Cimabue, ma ha anche una straordinaria somiglianza con quello della Giustizia della Cappella degli Scrovegni. Originalissima è poi la disposizione dei due santi nell'ultima fila, visibili solo attraverso il traforo del trono, che assomiglia a un trittico richiuso o a un ciborio ornato di incrostazioni marmoree.

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Il Tondo Doni è un dipinto a tempera grassa su tavola (diametro 120 cm) di Michelangelo Buonarroti, databile al 1503-1504 circa. Conservato nella cornice originale, probabilmente disegnata dallo stesso Michelangelo, è l'unica opera su supporto mobile, certa e compiuta, dell'artista. Il dipinto è anche di fondamentale importanza nella storia dell'arte, poiché pone le basi per quello che sarà il manierismo: sicuramente è uno dei dipinti più emblematici ed importanti del Cinquecento italiano.
La Sacra Famiglia è composta come un gruppo scultoreo al centro del tondo: la Madonna in primo piano, contrariamente a tutta l'iconografia antecedente, non ha il Bambino in primo piano, ma si volta per prenderlo da Giuseppe, che è inginocchiato dietro di lei. Essa, accoccolata a terra, ha appena smesso di leggere il libro che ora è chiuso e abbandonato sul suo manto fra le gambe. Gesù, rubicondo e ricciuto, sta acconciando i capelli della madre.
Il gesto di Maria le fa compiere una torsione che genera un moto a serpentina di grande originalità. Quest'ipotetica spirale di linee di forza, unita alla composizione piramidale che ha il vertice nella testa di Giuseppe, genera un forte effetto dinamico, che si adatta perfettamente alla forma del tondo, proiettandosi anche al di fuori verso lo spettatore.

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La Primavera è un dipinto a tempera su tavola (203x314 cm) di Sandro Botticelli, databile al 1482 circa. Si tratta del capolavoro dell'artista, nonché di una delle opere più famose del Rinascimento italiano.
In un boschetto di aranci carichi di frutti e arbusti di alloro, sullo sfondo di un cielo azzurrino, sono disposti nove personaggi, in una composizione bilanciata ritmicamente e fondamentalmente simmetrica attorno al perno centrale della donna col drappo rosso e verde sulla veste setosa. Il suolo è composto da un verde prato, disseminato da un ricchissimo campionario di fiori.
L'opera va letta da destra verso sinistra: Zefiro, vento di primavera che piega gli alberi, rapisce per amore la ninfa Clori, mettendola incinta; da questo atto ella rinasce trasformata in Flora, la personificazione della stessa primavera rappresentata come una donna dallo splendido abito fiorito, che sparge a terra le infiorescenze che tiene in grembo. A questa trasformazione allude anche il filo di fiori che già inizia a uscire dalla bocca di Clori durante il rapimento. Al centro campeggia Venere, inquadrata da una cornice simmetrica di arbusti, che sorveglia e dirige gli eventi, quale simbolo neoplatonico dell'amore più elevato. Sopra di lei vola il figlio Cupido, mentre a sinistra si trovano le sue tre tradizionali compagne vestite di veli leggerissimi, le Grazie, occupate in un'armoniosa danza in cui muovono ritmicamente le braccia e intrecciano le dita. Chiude il gruppo a sinistra Mercurio, coi tipici calzari alati, che col caduceo scaccia le nubi per preservare un'eterna primavera.

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La Nascita di Venere è un dipinto a tempera su tela di lino (172 cm × 278 cm) di Sandro Botticelli, databile al 1482-1485 circa. Il supporto della tela era estremamente insolito nella Firenze del Quattrocento: due teli di lino vennero cuciti tra loro e in seguito venne aggiunta un'imprimitura a base di gesso tinto con un po' di blu, in modo da dare il particolare tono azzurrato a tutto il dipinto. La pittura usa la tecnica della tempera magra, cioè dei colori sciolti in colle animali e vegetali come leganti, che diede una straordinaria luminosità avvicinandosi alla resa dell'affresco.
Venere avanza leggera fluttuando su una conchiglia lungo la superficie del mare increspata dalle onde, in tutta la sua grazia e ineguagliabile bellezza, nuda e distante come una splendida statua antica. Viene sospinta e riscaldata dal soffio di Zefiro, il vento fecondatore, abbracciato a un personaggio femminile con cui simboleggia la fisicità dell'atto d'amore, che muove Venere col vento della passione. Sulla riva una fanciulla, una delle Ore, che presiede al mutare delle stagioni, in particolare la Primavera, porge alla dea un magnifico manto rosa ricamato di fiori per proteggerla (mirti, primule e rose). Essa rappresenta la casta ancella di Venere e ha un vestito setoso riccamente decorato con fiori e ghirlande di rose e fiordalisi. La posa della dea, con l'equilibrato bilanciamento del "contrapposto", deriva dal modello classico della Venus pudica (cioè che si copre con le braccia il seno e il basso ventre). Il volto pare che si ispirasse alle fattezze di Simonetta Vespucci, la donna dalla breve esistenza (morì a soli 23 anni) e dalla bellezza "senza paragoni" cantata da artisti e da poeti fiorentini.

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La Madonna del Cardellino è un dipinto a olio su tavola (107x77 cm) di Raffaello Sanzio, databile al 1506 circa.
Immersi in un ampio paesaggio fluviale dall'orizzonte contornato da alberelli e da un ponte a sinistra, si trovano la Madonna seduta su una roccia, che regge tra le gambe Gesù Bambino, mentre san Giovannino, abbracciato dalla Vergine, è a sinistra. I due fanciulli giocano con un cardellino (Giovanni lo regge e Gesù lo accarezza), che simboleggia la Passione di Cristo. La composizione, sciolta e di forma piramidale, con i protagonisti legati dalla concatenazione di sguardi e gesti, deriva con evidenza da modelli leonardeschi, come la Sant'Anna, la Vergine e il Bambino con l'agnellino, ma se ne distacca, sostituendo al senso di mistero e all'inquietante carica di allusioni e suggestioni, sentimenti di serena dolcezza, calma spiritualità e spontanea familiarità, ben più affabile per chi osserva. Al posto dei "moti dell'animo" reconditi, Raffaello mise in atto una rappresentazione dell'affettuosità, dove è ormai sfumata anche la tradizionale malinconia della Vergine, che premonisce il destino tragico del figlio. In questo caso poi lo schema a piramide è particolarmente semplificato, con l'effetto di amplificare la massa volumetrica del gruppo, anche grazie al chiaroscuro più intenso.
Maria ha le gambe e il busto ruotate verso destra, mentre con la testa e lo sguardo osserva in basso a sinistra, verso il fulcro dell'azione tra i due fanciulli. Il suo busto emerge sul paesaggio, quasi a dominarlo con la grandezza delle sue delicate forme. Alla massa azzurra del manto si contrappone quella rossa della veste: il rosso rappresentava la Passione di Cristo e il blu la Chiesa, per cui nella Madonna era sottintesa l'unione della Madre Chiesa con il sacrificio di suo Figlio. Nella sinistra tiene un libro in mano (da cui proviene Sedes Sapientiae), in cui legge le profezie sul destino del figlio; il suo atteggiamento richiama quindi l'interruzione della lettura per rivolgere teneramente il suo sguardo verso i bambini. Gesù poggia il piedino su quello della Madonna, riparandosi tra le sue ginocchia, da alcuni letto come una citazione della Madonna di Bruges di Michelangelo.

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L'Annunciazione è un dipinto a olio e tempera su tavola (98x217 cm), attribuito a Leonardo da Vinci, databile tra il 1472 e il 1475 circa. Si hanno pochissime informazioni certe riguardo alle origini di quest'opera; forse si sarebbe trattato di una delle primissime committenze che Leonardo riuscì a guadagnarsi mentre era "a bottega" dal Verrocchio.

Leonardo si allontanò consapevolmente dall'iconografia tradizionale del tema dell'Annunciazione ambientando la scena in un giardino all'esterno della casa della Vergine, al posto della consueta loggia o della camera da letto di Maria. Secondo la tradizione medioevale l'ambientazione era sempre collocata in un luogo chiuso, almeno per quanto riguardava la Vergine, in modo da inserire elementi iconografici, quali il letto, mentre l'Angelo poteva essere posizionato all'esterno, ma in un hortus conclusus, ovvero un orto delimitato da alti muri che alludeva al ventre di Maria. Per mantenere la riservatezza dell'incontro Leonardo dipinse la Madonna in un angolo del palazzo, però facendo intravedere il letto dal portale; poi, un muretto delimita il giardinetto, ma con un passaggio. L'ampia parte della scena dedicata alla natura sembra voler sottolineare come il miracolo dell'Incarnazione divina coinvolga, oltre che un'umana come Maria, l'intero creato. Grande attenzione è riservata infatti alla descrizione dei fiori e delle altre specie vegetali sia nel prato che nello sfondo: si tratta di un omaggio alla varietà e ricchezza della creazione divina. I fiori del prato, in particolar modo, appaiono studiati dal vero, con una precisione lenticolare. Nello sfondo, oltre il muretto, si vedono un fiume con anse e barche, montagne punteggiate da torri e alberi. La luce è chiarissima, come mattutina, e ingentilisce i contorni delle figure, preannunciando lo "sfumato". L'impostazione spaziale, anziché essere data dalla prospettiva geometrica quattrocentesca (che pure è presente nell'ordinare i dettagli architettonici e le proporzioni dell'edificio, del pavimento e del leggio, con un punto di fuga al centro della tavola) è resa piuttosto dal digradare progressivo dei colori, soprattutto nello sfondo. Leonardo si servì infatti della prospettiva aerea, tecnica che prevedeva una colorazione più tenue e sfumata per i particolari più lontani, come se fossero avvolti in una foschia. L'angelo porge un giglio, emblema di purezza e castità, alla Vergine Maria.

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Infine una curiosità.
Sembra che il rapporto tra Dante e Firenze non sia riuscito a conciliarsi nemmeno dopo la morte del Sommo Poeta. Dante morì di malaria il 14 settembre 1321 in esilio a Ravenna dove fu sepolto e le cui spoglie ancora oggi riposano. Firenze nei secoli ha cercato tutte le vie diplomatiche e non con Ravenna per  riportare a casa i resti del poeta, senza mai riuscirvi. Una statua dedicata al poeta è posta nel piazzale degli Uffizi, nel loggiato. Dante è rappresentato in piedi, ma nella curiosa posa di avere un braccio alzato e un dito vicino al naso.


Mi fermo qui, anche perché chi fosse interessato a leggere altro trova tutto quello che vuole in rete. La giornata, intensa, sotto il diluvio e piena di meraviglie si conclude con una sorpresa del titolare della nostra agenzia, che ha prenotato una ricca cena per noi in un posto favoloso, in centro. L'enorme stanchezza accumulata non ci ha impedito di gustare ottimi piatti all'Osteria dei Baroncelli, vicinissima a Piazza della Signoria.

La cronaca prosegue in altra pagina con la terza tappa, Siena, e il rientro a casa.

 
 
 

 


















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