giovedì 20 ottobre 2016

Gita alle Eolie - prima parte - la Sicilia


Dal 30 settembre al 6 ottobre 2015 sono stata in gita con la solita agenzia, Partiti e contenti, alle Isole Eolie.
30 settembre: partenza da Rivoli, imbarco a Linate con volo diretto a Catania, visita di Catania e pernottamento.
1 ottobre: Acireale, Aci Trezza, Aci Castello, Taormina, Milazzo, Arrivo a Lipari e pernottamento

La Sicilia, ufficialmente Regione Siciliana, è autonoma a statuto speciale, con capoluogo Palermo. Il territorio è costituito quasi interamente dall'isola omonima, la più grande isola dell'Italia e del Mediterraneo, nonché la 45ª isola più estesa nel mondo; la parte rimanente è costituita dagli arcipelaghi delle Eolie, delle Egadi e delle Pelagie, e dalle isole di Ustica e Pantelleria.





È la regione più estesa d'Italia e il suo territorio è ripartito in 390 comuni, a loro volta costituiti in nove province. È l'unica regione italiana ad annoverare due città fra le dieci più popolose del Paese: Palermo e Catania. È bagnata a nord dal Mar Tirreno, a ovest dal Canale (o stretto) di Sicilia, a sud dal Mar di Sicilia, a est dal Mar Ionio e a nord-est dallo stretto di Messina, che la separa dalla Calabria.



Tralascio la lunga e travagliata storia della Sicilia, che si trova facilmente in rete; dall'aeroporto Fontanarossa di Catania siamo andati direttamente a pranzo. Nel pomeriggio con la guida abbiamo visitato la città.



Il ristorante trattoria Giglio Rosso è situato in un ambiente storico tra i più belli di Catania. Quasi di fronte al locale c'è la casa di Giovanni Verga ed è a due passi dal Duomo, dalla Via dei Crociferi, dal Monastero dei Benedettini, dal Teatro Greco, dalle Terme Achilleane e dalla caratteristica pescheria.







Fondata nel 729 a.C. dai Calcidesi, Catania vanta una storia millenaria caratterizzata da svariate dominazioni. Sotto la dinastia aragonese fu capitale del Regno di Sicilia. Nel corso della sua storia è stata più volte interessata da eruzioni vulcaniche (la più imponente, in epoca storica, è quella del 1669) e da terremoti (i più catastrofici ricordati sono stati quelli del 1169 e del 1693).



Lo stemma della Città di Catania è costituito da uno scudo con lo sfondo azzurro, cimato dalla corona reale aragonese e, nella parte inferiore, la legenda che riporta la sigla “S.P.Q.C.” (Senatus Populusque Catanensium); al centro è presente un elefante posto di profilo di colore rosso porpora con le zanne rivolte a sinistra (destra araldica), sopra di esso è presente una lettera “A” maiuscola, anch'essa di colore rosso, che sta per Agata, il nome della santa patrona.
Lo stesso stemma, su una specie di scudo nel terreno, si trova in piazza dell'Università.





Per lo storico greco Plutarco il nome deriva da katane (grattugia), per le asperità del territorio lavico su cui sorge, o anche dal protolatino katina (catino, bacinella) per la conformazione a conca delle colline. Secondo altre interpretazioni, il nome deriverebbe dall'apposizione del prefisso greco katà (sotto) al nome del vulcano Etna (Aitnè, dal greco).




Nel corso dei secoli Catania ha subìto innumerevoli mutazioni geografiche e urbanistiche. Molti luoghi della Catania di un tempo non sono più visibili poiché cancellati dai frequenti terremoti verificatisi nel corso dei secoli o dalla furia dell’Etna che, con le sue eruzioni, ha da sempre ridisegnato l’intero paesaggio della costa ionica. Uno di questi fu il Lago di Nicito.




Il lago sorgeva in prossimità dell’attuale quartiere di Cibali e nacque intorno al 406 a.C. per un’eruzione che investì in pieno Catania, deviando il percorso del fiume Amenano. Lo specchio d’acqua che si formò ebbe una profondità di 15 metri ed una circonferenza di ben 6 chilometri, tutte condizioni che favorirono, nel corso dei secoli, anche regate navali. Sulle sponde del lago sorsero molteplici abitazioni nobiliari.



Il lago fu completamente ricoperto nel 1669, quando un’altra eruzione dell’Etna, certamente la più distruttiva che si ricordi, distrusse quasi completamente la città di Catania e i paesini dell’hinterland etneo. La lava si riversò con violenza sul lago, estinguendolo nel giro di sole quattro ore.




È stato soprattutto il terremoto del 1693 a impedire la sopravvivenza del tessuto urbanistico antico e medievale e a segnare profondamente anche l'assetto socio-economico della città, cancellando quasi la totalità della produzione artistica precedente. Scomparvero quasi del tutto le tracce della città greca, mentre una sorte migliore hanno avuto i monumenti di età romano-imperiale.

Dopo il terremoto la città venne ricostruita secondo il disegno urbano promosso dal Duca di Camastra, magistrato e rappresentante del regio governo spagnolo, e, nel secolo seguente, si sviluppò sino a occupare uno dei primi posti nel commercio italiano.

Alla sua intuizione (con la collaborazione del De Grunenbergh) si deve l'avveniristico (per l'epoca) disegno della nuova Catania, approvato dal Consiglio per la riedificazione di Catania - da lui istituito e presieduto - nella seduta del 28 giugno 1694, che stabilì in primo luogo che le strade da costruirsi fossero tutte a linea retta, larghe e spaziose, intersecate da altre di eguali caratteristiche. Le vie e le piazze del centro barocco di Catania ne sono ancora oggi viva testimonianza.

Catania è una delle poche città in Italia a offrire paesaggi tanto diversi concentrati in un solo sito. Sorge sulla costa orientale dell'isola, ai piedi del vulcano Etna (il vulcano attivo più alto d'Europa) e a metà strada tra le città di Messina e Siracusa. Il suo territorio comprende anche una vasta fetta della piana di Catania, una tra le più estese aree coltivate della Sicilia.




Il nucleo originario della città era situato su un colle, corrispondente all'odierna piazza Dante, dove sorge il Monastero di San Nicolò l'Arena (oggi sede universitaria). L'unico altro rilievo importante è la collina Santa Sofia, dove sorge la Cittadella Universitaria, al confine con Gravina, comune del vasto hinterland.




La città è attraversata da un fiume sotterraneo, l'Amenano. In passato, poco fuori le mura a ovest, si poteva trovare il lago di Nicito, come scritto sopra, collegato al fiume e coperto dalla colata lavica del 1669 (l'omonima via ne ricorda l'ubicazione). Attualmente, l'Amenano si rende visibile all'Acqua a linzolu, (acqua a lenzuolo), fontana in marmo bianco che sorge tra la cosiddetta "Pescheria" e la piazza del Duomo, e nei sotterranei del locale Ostello Agorà.

Tutto il territorio è cambiato profondamente in seguito a calamità naturali:





la costa a nord del porto è una scogliera sorta in seguito alle varie colate laviche, nel 1169, 1329 e 1381, anno in cui venne coperta anche parte dell'antico Porto Ulisse; questa costa è chiamata "La Scogliera", con la spiaggetta di San Giovanni li Cuti. La spiaggia è formata da sabbia nera vulcanica e l'accesso al mare avviene tramite scogli di pietra lavica.





L'area a sud del Castello Ursino, un tempo a picco sul mare, è invece il prodotto dell'enorme colata del 1669 che, accerchiatolo, si spinse per qualche chilometro verso il mare. La costa a sud del porto venne profondamente modificata, formando il litorale attuale (la cosiddetta "Plaia") che è, invece, sabbioso.


Il Teatro romano  è situato nel centro storico della città, tra piazza S. Francesco, via Vittorio Emanuele, via Timeo e via Teatro greco. Il suo aspetto attuale risale al II secolo ed è stato messo in luce a partire dalla fine del XIX secolo. A est confina con un teatro minore, detto odeon.





Di un teatro a Catania si fa riferimento nelle fonti classiche in merito alla consultazione delle polis siceliote da parte di Alcibiade, che tenne nel 415 a.C. un discorso all'assemblea civica riunita appunto nel teatro. Di questo teatro però non era chiara l'ubicazione e la tradizione tendeva a identificarlo con il teatro di età romana oggi visibile.




 
Ciò che ha dunque mosso gli studiosi dell'edificio sin dai primi lavori di sgombero delle strutture antiche è stato anche il quesito se il teatro delle fonti fosse il medesimo che si ammira oggi, ossia se su una preesistente struttura greca possa essere nata la struttura romana. A lato, mura greco - romane. 



Diverse le ipotesi a favore dell'identificazione del teatro romano con quello greco: la posizione alla base di una collina a differenza dell'usanza romana di edificare in pianura o la scena rivolta verso il mare, la presenza di un edificio teatrale costruito con grossi blocchi di pietra arenaria con lettere in greco in pianta rettangolare, planimetria più diffusamente ellenistica.



Il Palazzo Gravina Cruyllas è noto per avere dato i natali a Vincenzo Bellini e per ospitare il museo a lui dedicato. L'impianto attuale, poggiante in parte sulle mura del Teatro Romano presenta la forma tipica dei palazzi catanesi del tempo. 

Vicino al Teatro Romano si trovano i resti dell'Odeon. La costruzione semicircolare aveva una capacità di circa 1500 spettatori. Oltre che per spettacoli musicali e di danza è probabile fosse utilizzato per le prove degli spettacoli che si tenevano nel vicino teatro.



 
L’edificio termale detto la "Rotonda" è collocato a nord del teatro antico; l’ingresso attuale è sulla via che sale verso la parte alta della collina sulla quale era l'acropoli. L'edificio è sopravvissuto al terremoto del 1693, come numerosi altri monumenti antichi. Le terme sono inserite in un contesto urbano di grande complessità e oggi fanno parte del Parco Archeologico Greco-Romano di Catania. 


Piazza Mazzini, un tempo Piazza San Filippo, è nel centro storico. La sua progettazione risale al secolo XVIII. Dopo il disastroso terremoto del 1693 il nuovo impianto urbano, deciso dal Duca di Camastra, prevedeva l'uso di questa piazza come mercato e per tale motivo fu stabilita anche la conformazione degli edifici che dovevano affacciarvisi.

 
La piazza barocca è ubicata in mezzo a un incrocio; è formata da quattro identici loggiati, ciascuno composto da 8 colonne in marmo bianco, che formarono una cornice quadrangolare lungo i perimetri del luogo. Le colonne furono recuperate da rovine di epoca romana, forse dai resti di una basilica posta dove oggi sorge la chiesa di Sant'Agostino.

 
Sito Storico Monastero San Benedetto è la denominazione del Monastero delle Benedettine di via Crociferi, uno dei luoghi simbolo della Catania barocca. Il Monastero è stato fondato nel 1355 e poi ricostruito dopo il terremoto del 1693 che devastò l’intera Val di Noto, assumendo l’aspetto attuale. E' consacrato all’adorazione perpetua del Santissimo Sacramento.


 
Il Monastero delle Benedettine è riconoscibile dall’arco che si apre su via Crociferi, che si narra fu eretto in una sola notte, e che collega l’Abbazia alla badia piccola. La badia piccola è oggi la sede del MacS - Museo Arte Contemporanea Sicilia



Oggi, dopo secoli di assoluta e invalicabile clausura, è un sito storico-artistico che propone ai visitatori un tour culturale. Nel rispetto delle religiose di clausura che ancor oggi abitano il Monastero, si può accedere all’interno del complesso monastico percorrendo un itinerario prestabilito, che consente di ammirare i resti archeologici di una domus romana, rinvenuta nel sottosuolo del Monastero;



alcuni ambienti del Monastero di San Benedetto, in particolare l’antico parlatorio settecentesco, già set del film di Franco Zeffirelli “Storia di una capinera”, tratto dall’omonimo romanzo di Giovanni Verga;




la Chiesa di San Benedetto e la sua imponente scalinata d’ingresso, la Scalinata degli Angeli e il Museo di Arte Contemporanea Sicilia, ubicato nella badia piccola del Monastero.






La Chiesa di San Benedetto, sito Unesco, è una delle meraviglie del barocco settecentesco siciliano. Per tre secoli, questo trionfo di affreschi non è stato visitabile, essendo parte del Monastero di clausura. La scalinata è cinta da una bellissima cancellata in ferro battuto. La porta d'ingresso è in legno e sulle formelle sono riportate scene della vita di san Benedetto. 






L’edificio è stato restaurato nel 1948, pochi anni dopo che gli affreschi che ora decorano la volta e parte dei fianchi tornassero alla luce grazie all’esplosione di un ordigno che, durante la seconda guerra mondiale, colpì la chiesa, creando uno squarcio nella volta che ruppe quella patina di intonaco bianco che, durante tutto il XIX secolo, aveva nascosto gli affreschi agli occhi dei fedeli.




Trascuro alcune altre chiese che mi sono state indicate e cito solo il Palazzo Manganelli, per una sua caratteristica simpatica, trovata in tante altre abitazioni, cioè i balconi bombati, dotati di ringhiera appositamente studiata per non ostacolare i larghi vestiti delle dame di un tempo. Oggi si presenta come un'architettura in stile tardo barocco, con un notevole giardino pensile disposto su due livelli collegati da una scalinata, il tutto poggiante sulle antiche mura della città, avente due fontane e un ninfeo.




Il Monastero di San Nicolò l'Arena è situato nel centro storico di Catania ed è costituito da un importante edificio conventuale benedettino e da una monumentale chiesa settecentesca. Fu fondato da monaci che a metà del XVI secolo chiesero al senato cittadino l'autorizzazione a edificare entro le mura, poiché minacciati dalle eruzioni dell'Etna e dalla presenza di briganti.


 
Il terremoto del 1693 provocò anche il crollo del monastero benedettino e la morte della maggior parte dei monaci lasciandone solo tre in vita. Dopo alterne vicende e ricostruzioni, il convento fu espropriato dal demanio nel 1866, per le leggi di soppressione delle corporazioni religiose; i monaci furono costretti a lasciare l'edificio.


Danneggiato durante la Seconda guerra mondiale, l'intero complesso, esclusa la chiesa di San Nicolò restituita ai Benedettini, fu infine ceduto all'Università degli Studi di Catania e divenne sede delle Facoltà di Lettere e Filosofia e Lingue e Letterature Straniere. Per noi tappa d'obbligo, la nostra guida si è laureata proprio qui. 


La chiesa di San Nicolò l'Arena è uno dei più grandi edifici di culto cattolico della Sicilia, misurando 105 metri di lunghezza e di larghezza 48 metri le navate e circa 71 metri al transetto, con un'altezza massima di circa 66 metri alla cupola. La sua costruzione è posteriore all'eruzione dell'Etna del 1669 e sostituisce un tempio più antico rinascimentale.


 
Nel transetto si trova la grande meridiana che due famosi astronomi, il tedesco Wolfgang Sartorius von Waltershausen e il danese Christian Peters, tracciarono sulla pavimentazione a partire dal 1839. Grandi furono le lodi che ricevette quest'opera al suo completamento nel 1841: si disse infatti che essa spaccava il secondo. La luce penetra attraverso un foro praticato sulla volta del transetto situato a 23 metri, 91 centimetri e 7 millimetri di altezza; sulla fascia marmorea, il cui tracciato si estende per circa 40 metri tra le due cappelle di San Benedetto da Norcia e San Nicola di Bari alle due estremità del transetto, sono segnate le ore, i giorni e i mesi, nonché i segni zodiacali. 


Ci troviamo in Piazza dell'Università, che risale almeno al 1696 quando, sul lato ovest, venne edificato il Palazzo dell'Università dopo le distruzioni causate dall'evento sismico del 1693. Sul lato est, di fronte al palazzo dell'Università, si trova il Palazzo San Giuliano, a sud esistono il lato posteriore di Palazzo degli Elefanti, sede del municipio, e palazzo Cilestri risalente alla seconda metà del Settecento. Il lato nord, che conclude la piazza, ospita il Palazzo Gioieni d'Angiò a nord-est e il Palazzo La Piana a nord-ovest.
Nella piazza sono inseriti quattro candelabri artistici in bronzo, realizzati nel 1957 dagli scultori catanesi Mimì Maria Lazzaro e Domenico Tudisco, rappresentanti quattro antiche leggende catanesi: della giovine Gammazita, dei fratelli pii Anapia e Anfinomo, del paladino Uzeta e di Cola Pesce.

Il racconto popolare narra di una virtuosa ragazza catanese, Gammazita, che, verso il 1280 preferì gettarsi in un pozzo, piuttosto che cedere alle insidie di un soldato francese. Sembra che gli abitanti dell'isola individuassero gli stranieri attraverso l'utilizzo della parola "ciciri" ("ceci"): chiunque non era in grado di pronunciare correttamente il termine veniva ucciso. Il racconto fa riferimento alle angherie compiute dai dominatori francesi sugli oppressi siciliani, una delle cause dello scoppio dei Vespri siciliani del 30 marzo 1282.



I Pii fratres sono due fratelli di Catania, Anfinomo ed Anapia, sorpresi nei loro campi, insieme ai vecchi genitori, da un’eruzione dell’Etna. L’unica speranza è una fuga veloce, ma gli anziani genitori non possono farcela. I fratelli allora se li caricano sulle spalle, anche se quel peso probabilmente li perderà. Quando però sono raggiunti dalla lava, questa si divide miracolosamente in due per poi ricongiungersi, lasciando i fratelli e i genitori incolumi. L'episodio era ben noto nell'antichità come esempio di pietas, cioè la devozione filiale. Era considerato un vanto di Catania ed era spesso rappresentato in monete battute in questa città. Tale sentimento ispirò la figura di Enea che trae in salvo il padre Anchise dalle fiamme di Troia, nell'opera dedicatagli da Virgilio. 




Non ha alcuna consistenza storica la leggenda relativa al paladino catanese Uzeta, che è frutto della fantasia di un giornalista catanese dei primi del novecento, Giuseppe Malfa. Egli lo descrisse come figlio di povera gente, divenuto cavaliere sotto Federico II per il suo valore, per aver affrontato e ucciso i giganti saraceni detti Ursini.




Nicola, figlio di un pescatore, era soprannominato Colapesce per la sua abilità nel muoversi in acqua. La sua fama arrivò al re di Sicilia e imperatore Federico II di Svevia, che decise di metterlo alla prova: il re e la sua corte si recarono pertanto al largo e buttarono in acqua una coppa che venne subito recuperata da Colapesce. Il re gettò allora la sua corona in un luogo più profondo e Colapesce riuscì nuovamente nell'impresa. Il re gettò allora un anello in un posto ancora più profondo e Colaspesce non riemerse più. Secondo la versione catanese della leggenda Colapesce vide che la Sicilia posava su tre colonne delle quali una piena di vistose crepe e decise di restare sott'acqua, sorreggendo la colonna per evitare che l'isola sprofondasse. 





Piazza del Duomo è la principale piazza della città. In essa confluiscono tre strade, ovvero la via Etnea, la storica asse cittadina, la via Giuseppe Garibaldi e la via Vittorio Emanuele II, che la attraversa da est a ovest. Sul lato orientale della piazza c'è il Duomo, dedicato alla patrona santa Agata, festeggiata il 5 febbraio.

Al centro della piazza si trova quello che è il simbolo di Catania, ovvero "u Liotru", una statua in pietra lavica raffigurante un elefante, sormontata da un obelisco, posta al centro di una fontana in marmo più volte rimaneggiata. Il basamento è formato da un piedistallo di marmo bianco situato al centro di una vasca, anch'essa in marmo, in cui cadono dei getti d'acqua che fuoriescono dal basamento. Sul basamento due sculture riproducono i due fiumi di Catania, il Simeto e l'Amenano. 




Al di sopra si trova la statua dell'elefante, rivolto con la proboscide verso la cattedrale di Sant'Agata. Questa statua di epoca incerta era originariamente ricavata da un unico blocco di pietra lavica, ma a seguito del sisma del 1693 si frantumarono le zampe posteriori, restaurate dal Vaccarini in vista della sua collocazione nella piazza.




Ai lati dell'elefante cade una gualdrappa marmorea sulla quale sono incisi gli stemmi di sant'Agata, patrona di Catania. Sulla schiena dell'animale si trova un obelisco egittizzante, alto 3,66 metri, in granito, ipoteticamente di Syene; non ha geroglifici, ma è decorato da figure di stile egizio.
Il legame tra Catania e il liotru è molto antico. Un'antica leggenda narra di un elefante che avrebbe cacciato degli animali feroci durante la fondazione della città. Sotto la dominazione araba, la città era conosciuta con il nome di Balad-el-fil o Medinat-el-fil, cioè «città dell'elefante».



Il palazzo degli Elefanti è il municipio di Catania e sorge sul lato nord della scenografica piazza Duomo. Nell'androne del palazzo vengono conservate due carrozze del Settecento, di cui una berlina, che viene usata durante i festeggiamenti di sant'Agata per portare il sindaco alla chiesa di Sant'Agata alla Fornace per la processione del giorno 3 febbraio



La cattedrale di Sant'Agata è il principale luogo di culto cattolico di Catania; situata nel centro storico, costituisce il lato sud-est di piazza del Duomo. È dedicata alla vergine e martire patrona della città ed è stata più volte distrutta e riedificata dopo i terremoti che si sono susseguiti nel tempo; la prima edificazione è del 1078-1094 e venne realizzata sulle rovine delle Terme Achilliane romane.


 
Si accede al sagrato attraverso una breve scalinata in marmo, che culmina in una cancellata in ferro battuto ornata con 10 santi in bronzo. Il sagrato è diviso dalla piazza del Duomo da una balaustra in pietra bianca ornata con cinque grandi statue di santi in marmo di Carrara. 



In fondo alla navata destra è la cappella più cara a tutti i catanesi: un'elaborata cancellata in ferro battuto protegge la maestosa cappella dedicata a sant'Agata. Nella parete di sinistra si apre la porta dorata finemente decorata che dà accesso alla camera chiamata dai catanesi a cammaredda, dentro cui vengono custoditi il busto reliquiario di sant'Agata e lo scrigno con le sue reliquie.



Nella seconda campata, addossato a uno dei dodici pilastri che separano la navata da quella centrale, è collocato il monumento funebre del musicista catanese Vincenzo Bellini. Le sculture realizzate in marmo di Carrara e bronzo sono opera di Giovanni Battista Tassara. La tomba è sobria, porta il solo cognome Bellini, senza nome nè date, a indicare che la fama non conosce tempo. Vincenzo Bellini nacque a Catania il 3 novembre 1801 e morì in Francia, solo e senza assistenza, il 23 settembre 1835 stroncato da un'infezione intestinale. Fu sepolto nel cimitero Père Lachaise, dove rimase per oltre 40 anni, vicino a Chopin e a Cherubini. Nel 1876 la salma fu traslata nel Duomo di Catania. 

L'iscrizione sulla lapide della tomba è l'incipit dell'aria de La sonnambula: "Ah! non credea mirarti / Sì presto estinto, o fiore."


Una curiosità. Quando nel 1232 la città di Catania aderì a una rivolta anti-sveva che aveva unito diverse città siciliane, Federico II di Svevia, re di Sicilia, venne appositamente con un poderoso esercito per punire la città rivoltosa. Secondo la tradizione, re Federico, infuriato, ordinò di distruggere la città e di uccidere tutti i suoi abitanti, ma revocò l'ordine e si pentì del suo intento quando, assistendo all'ultima messa che i catanesi avevano richiesto di poter seguire in cattedrale, aprì il suo libro di preghiere e vide apparre su tutte le pagine la sigla n.o.p.a.q.u.i.e. che un frate benedettino presente interpretò come Noli offendere Patriam Agathae quia ultrix iniurarum est. (Non offendere il paese di Agata, perché è vendicatrice di ogni ingiustizia.)

Qui si chiude la nostra prima giornata. Sembra impossibile, ma abbiamo trascorso solo un pomeriggio a Catania. Chissà cosa verrà fuori dal resto della gita...
 
1 ottobre: cambio di programma causa diluvio quindi Acireale, Aci Trezza e Aci Castello. Taormina solo per pranzo, Milazzo solo per imbarco e arrivo a Lipari.


Alla storia si affianca spesso la leggenda, soprattutto nel mito della fondazione di Acireale. La bellissima ninfa Galatea era innamorata del pastorello Aci. Il loro amore era contrastato da Polifemo, terribile ciclope che, accecato dalla gelosia, scagliò contro il pastorello un macigno, provocandone la morte. La ninfa, disperata per la perdita di Aci, supplicò gli dèi affinché lo restituissero in vita ed essi, accogliendo le preghiere, trasformarono il pastorello in un fiume eterno, chiamato Aci. La ricchezza di sorgenti d’acqua dolce nella zona etnea venne dai Greci spiegata con il mito di Aci e Galatea.
Non lontano dalla costa, vicino alla località chiamata oggi "Capo Molini", in un luogo poco accessibile da terra e più facilmente dal mare, esiste una piccola sorgiva ferruginosa chiamata dalla gente locale "il sangue di Aci" per il suo colore rossastro. Lì esisteva un modesto villaggio chiamato, in memoria del pastorello del mito greco, Aci. Nell'undicesimo secolo d.C. un terremoto distrusse il villaggio, provocando l’esodo dei sopravvissuti, i quali fondarono altri centri nei dintorni. In memoria del nome della loro città d’origine, i profughi vollero chiamare i nuovi centri col nome di Aci, al quale fu aggiunto in seguito un appellativo per distinguere un villaggio dall’altro: così Aci Castello (per un castello costruito su un faraglione prodotto da un’eruzione sottomarina, che poi fu raggiunto da una colata lavica trasformandolo in un promontorio); Acitrezza (per la presenza di tre faraglioni antistanti il paese); Aci Bonaccorsi, Aci Catena, Aci S. Antonio, Aci Platani, Aci Sanfilippo.

Nel 1092 i territori che oggi sono i comuni di Aci Castello, Acireale, Aci Bonaccorsi, Aci Catena, Aci Sant'Antonio e Valverde (all'epoca Aci Belverde), facevano parte della “Universitas di Aci”, detta così per indicare l'unità territoriale, politica, morale ed economica della cosiddetta “Terra di Aci”. La “Terra di Aci” scelse come simbolo l'antico Castrum di Aci Castello, che rappresentava la regia demanialità di “Aci”, prima che fosse trasformata in feudo, i tre Faraglioni di Aci Trezza, caratteristica del territorio, e le iniziali A G con cui si rappresentava il mito del pastore Aci e della ninfa marina Galatea. Qui l'antico stemma di Acireale, ora leggermente modificato. 


Acireale è di origine incerta; oggi l'impianto urbanistico è quello tipico delle città tardo-medievali della Sicilia. Sorge a metà della costa Ionica a 15 km da Catania. E' nota per il suo carnevale, per il barocco e per le sue terme. E' situata sulla Riviera dei Ciclopi, sul mar Ionio, alle pendici meridionali dell'Etna.


 
Il comune è stato costruito in un altopiano su un terrazzo di origine lavica, chiamato la Timpa, che, con i suoi 161 metri di altezza, la pone quasi a strapiombo sul mare. La costa, con diverse borgate, è caratterizzata dalla scogliera di origine lavica. Vi è anche ricchezza di sorgenti d'acqua e di verde e la zona circostante è coltivata, soprattutto ad agrumi


Il centro di Acireale è la Piazza del Duomo, su cui si affacciano alcuni degli edifici più importanti della città, tra cui la Chiesa Cattedrale, la Basilica dei Santi Pietro e Paolo, il Palazzo del Comune, il Palazzo Modò.

 
La Piazza raccoglie perle architettoniche del XVII e XVIII secolo, valorizzate da recenti restauri. La pavimentazione di cemento è stata sostituita con arabeschi di pietra lavica alternata al chiarore di pietra bianca. Le bizzarre figure scolpite si stagliano in ogni angolo della piazza e le eleganti ringhiere in ferro battuto emergono dai terrazzi di Palazzo del Comune. 


Il Palazzo del Municipio, un tempo chiamato Loggia Giuratoria, venne iniziato nel 1659 e ricostruito dopo il terremoto del 1693. Il prospetto principale, sulla piazza del Duomo, è in stile tardo barocco. Al pian terreno vi è una lunga balaustra interrotta soltanto dal portale d'ingresso. Al primo piano i balconi, dalle righiere in ferro battuto, sono sorretti da mascheroni barocchi.

 
Nell’ampia Sala Costarelli del Palazzo Municipale è stata allestita la mostra delle uniformi. Sono conservati ed esposti al pubblico cimeli ed uniformi del periodo storico compreso tra il 1796 e il 1928. La raccolta è composta da 129 pezzi  unici provenienti da sette stati Europei: Francia, Prussia, Impero Austro-Ungarico, Russia, Stato Pontificio, Regno di Sardegna, Regno d’Italia. 


La cattedrale di Acireale è dedicata a Maria Santissima Annunziata, ma è anche il luogo del culto, introdotto nel 1651, di Santa Venera, patrona di Acireale, di cui conserva le reliquie in una fastosa cappella. La chiesa è a croce latina, a tre navate; i due campanili dalla cuspide maiolicata, ai lati della facciata, pur identici, non sono coevi; la parte centrale è arricchita da un bel portale del '600. Il campanile a destra, che richiama stilemi gotico-normanni, ebbe anche funzione di torre d'avvistamento. Il campanile del lato nord, a sinistra, il rosone, la loggia a colonnine e le restanti decorazioni del prospetto sono invece in stile neogotico.

Incastonata nel pavimento del transetto si trova una meridiana, ornata con i simboli dello zodiaco.  Fede e Scienza, Religione e Tecnologia sono da sempre unite in Sicilia. Cultori di scienze astronomiche, spesso appartenenti a ordini religiosi, raccolgono il frutto di meticolosi studi che pongono l'isola in primo piano per la presenza e il numero di meridiane in Italia. 

Il carnevale di Acireale è uno dei più antichi dell'isola. I carri allegorico-grotteschi in cartapesta utilizzano migliaia di lampadine e luci, movimenti spettacolari e scenografie in continua evoluzione. Sono gli unici carri al mondo che utilizzano simili luci e movimenti. I carri infiorati mostrano soggetti creati con fiori veri e sono anch'essi dotati di movimenti meccanici e luci.

 
Il teatro dell'Opera dei Pupi, fondato nel 1887 dal puparo acese don Mariano Pennisi, in via Tono, è stato poi trasferito nel 1928 nell'attuale sede di via Alessi. Nella rappresentazione dell'Opera dei Pupi, don Mariano seguì un gusto molto personale, introducendo tecniche e dimensioni dei pupi diverse rispetto a quelle delle scuole palermitana e catanese. Nel 1934 il testimone passò al figlio adottivo Emanuele Macrì, che fu salvato, ancora infante, dalle macerie del terremoto di Messina, dal puparo e amico di famiglia Pennisi, il quale accorse a Messina da Acireale proprio per andare a soccorrere i Macrì. Emanuele fu l'unico sopravvissuto della famiglia (aveva 13 mesi) e venne accudito come un figlio da Pennisi. In seguito ne apprese l'arte e diventò famoso in tutto il mondo per i suoi tour. Nel 1983 la Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Catania ha dichiarato che "il Teatro di via Alessi costituisce una testimonianza di rilevante interesse culturale in quanto unico esempio di Teatro Stabile la cui attività rimane legata alla tradizione Siciliana dell'Opera dei pupi". La Regione Siciliana ha acquisito e restaurato il teatro, restituendo alla città di Acireale questo edificio di grande importanza culturale, che si accinge a ospitare nuovamente le gesta dei paladini. I locali di Via Alessi ospitano in tutto il suo splendore la Mostra permanente della Raccolta del Teatro Pennisi-Macrì di Acireale, dei Pupi e delle antiche attrezzature di teatri siciliani. Tale raccolta comprende nel dettaglio pupi, teste di pupi, panche, cartelloni e attrezzature teatrali originali

Riprendiamo il viaggio parlando dell'Etna, di cui la nostra guida, come del resto tutti i Siciliani, è chiaramente innamorata, visto che "mamma Etna" dispensa terreno fertile - e non solo - ai suoi insulani.
L'Etna è un complesso vulcanico originatosi nel Quaternario e rappresenta il vulcano attivo terrestre più alto della Placca euroasiatica. Le sue frequenti eruzioni nel corso della storia hanno modificato, a volte anche profondamente, il paesaggio circostante, arrivando più volte a minacciare le popolazioni che nei millenni si sono insediate intorno ad esso. Il 21 giugno 2013 la XXXVII sessione del Comitato UNESCO, riunitasi a Phnom Penh in Cambogia, ha inserito il Monte Etna nell'elenco dei beni costituenti il Patrimonio dell'umanità. Viene chiamato spesso anche Mongibello, Mons Gibel letteralmente "monte monte" (dal latino mons "monte" e dall'arabo Jebel  "monte") proprio per indicarne la maestosità, da cui Mongibello.

Aci Trezza è una frazione del comune di Aci Castello. Centro peschereccio di antica e notevole tradizione, è famoso per il suo paesaggio. Si affaccia sul mar Jonio e dista circa 9 chilometri da Catania. Qui Giovanni Verga ambientò il famoso romanzo I Malavoglia (1881). 


Sempre in questo paese, nel 1948, venne girato il film La terra trema di Luchino Visconti e Antonio Pietrangeli, capolavoro del neorealismo realizzato con attori non professionisti abitanti del luogo. In base ad alcuni elementi descrittivi forniti dal Verga nei Malavoglia, è stata identificata la "casa del nespolo", (l'abitazione di Padron 'Ntoni) nella quale è stato allestito un piccolo museo contenente oggetti della tradizione marinara e una sezione fotografica dedicata al film di Luchino Visconti.



Il panorama di Aci Trezza è dominato dai faraglioni dei Ciclopi: otto scogli basaltici che, secondo la leggenda, furono lanciati da Polifemo verso Ulisse durante la sua fuga. Poco distante dalla costa è presente l'Isola Lachea, identificata con l'omerica Isola delle Capre e che attualmente ospita la sede di una stazione di studi di biologia dell'Università degli Studi di Catania. 



Curiosità. Francesco Procopio dei Coltelli, noto in Francia col nomignolo di Le Procope, è ritenuto il padre del gelato. Francesco nasce in Sicilia, tuttavia le fonti discordano sulla sua città natìa: se infatti una lunga tradizione lo vuole originario di Aci Trezza una più recente ipotesi lo pone nativo di Palermo. Una terza ipotesi, verosimile, propende per la nascita a Palermo e un periodo vissuto a Trezza, dove, proprio grazie al commercio della neve dell'Etna (attività storicamente rilevante), Procopio avrebbe ideato il gelato. Egli fondò il più antico caffè di Parigi, chiamato Le Procope, nel 1686. Nel XIX secolo soprattutto sarà molto in voga e preferito da molte personalità della politica e della cultura, fra cui Robespierre, Danton, Marat, Voltaire, Diderot, Balzac e Hugo.

Aci Castello è un centro della riviera dei Ciclopi che fu distrutto da un terremoto nel 1169; gli abitanti si rifugiarono nelle località vicine, riconoscibili dal prefisso Aci. Ricostruito e nuovamente distrutto dal terremoto del 1693 fu ricostruito dai superstiti indomiti nel 1718. 



E' oggi una stazione balneare ai piedi di un antico castello normanno, con spiaggia di lava e viuzze strette tra costruzioni settecentesche in pietra lavica. E' uno degli angoli di Sicilia più ritratti dagli artisti, col castello e il litorale punteggiato di limoni, agavi e palme.




 
Il castello di Aci, di incerta origine, fu il fulcro dello sviluppo del territorio delle Aci nel medioevo. Forse un primo castello fu edificato nel VII secolo d.C. (secondo altri nel VI secolo) dai bizantini su una preesistente fortificazione di periodo romano. In un primo tempo gli arabi e in seguito i normanni fortificarono il castello. 



Il castello sorge su un promontorio di roccia lavica, a picco sul mare blu cobalto e inaccessibile tranne che attraverso una scalinata in muratura. Un tempo era separato dalla terra ferma da un braccio di mare, colmato dall'eruzione del 1169.

 
Taormina è uno dei centri turistici internazionali di maggiore rilievo della regione siciliana, conosciuta per il suo paesaggio naturale, le bellezze marine e i monumenti storici. È situata a 206 m di altezza sul livello del mare, sospesa tra rocce e mare, su un terrazzo del monte Tauro, sulle pendici meridionali dei monti Peloritani della riviera ionica con l'Etna sullo sfondo. A causa del maltempo ci andiamo solo per pranzare. 


Ci rimettiamo in viaggio e ci fermiamo su un terrazzamento per ammirare lo stretto di Messina, chiamato nell'antichità stretto di Scilla e Cariddi, che collega il mar Tirreno con il mar Ionio e, separando le due città di Messina e Reggio con le rispettive aree urbane, divide la Sicilia dalla Calabria. Nel tratto più stretto (a nord) è largo circa 3,2 km.




Un noto esempio del costume di personificare le forze della natura in personaggi ideali, furono le figure di Scilla e Cariddi. Scilla, dal lato calabro, e Cariddi dal lato siculo, furono rappresentati dal mito greco come due mostri che terrorizzavano i naviganti al loro passaggio. Scilla (colei che dilania), e Cariddi (colei che risucchia), rappresentavano per i greci le forze distruttrici del mare.

Scilla, che a seconda dell'etimologia può significare pericolo o cane, fu punita con una pozione venefica, preparata dalla maga Circe e gettata da Glauco nella fonte in cui soleva bagnarsi. Il giovane figlio di Nettuno era follemente innamorato della bellissima Scilla, ma non essendo corrisposto volle vendicarsi con questo gesto. La povera Scilla, appena si bagnò, fu trasformata in un mostro con 12 artigli, 6 teste e una muta di cani ululanti (simbolo delle onde che si infrangono nelle grotte) vincolati alla sua cintura. Per l'orrore si buttò nelle acque dello stretto, dando il nome a quella località calabrese, e per vendetta si impegnò a terrorizzare i naviganti di passaggio, compreso Ulisse. Quando questi passò, Scilla riuscì a vendicarsi nei confronti di Circe catturando sei  marinai d'equipaggio, che divorò.

Cariddi, che significa vortice, fu punita per aver rubato dei buoi a Ercole mentre attraversava lo stretto. Giove la scagliò nello stretto e la trasformò in gorgo, destinato a inghiottire e rifluire i flutti tre volte al giorno. Questi movimenti imponenti di acqua trovano riscontro nei  gorghi, che nello stretto sono molto evidenti in prossimità di Capo Peloro con il flusso detto bastardo, e di Capo Faro e Punta Sottile con il reflusso detto garofalo.
In altri luoghi il mare spesso è in gran subbuglio, come nei pressi di San Raineri.

 


Queste due divinità, pur essendo state localizzate tra le due rive dello stretto di Messina, dove le coste sono più vicine, furono intese in senso lato a rappresentare i pericoli del mare dove questo è ristretto dalla presenza delle terre. Un altro fenomeno notato dagli antichi era quello che fu chiamato "Fata Morgana". L’evaporizzazione provocata dal surriscaldamento dell’acqua del mare, nelle calde giornate d’estate, (particolarmente quando l’acqua dello stretto appare calma), produce foschie, facili a creare immagini di ombre vaganti. Furono proprio queste foschie che facevano "vedere" ai Greci, dalla costa calabra, schiere di uomini erranti sulla costa sicula, a far nascere il mito della Fata Morgana.


Arriviamo finalmente al porto di Milazzo, dove ci imbarchiamo alla volta delle isole Eolie.

Apro una nuova pagina dedicata alle isole.

Per chi fosse interessato, c'è un bellissimo blog sulla Sicilia qui.


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