giovedì 28 giugno 2018

Gita nel Cilento - seconda parte - Padula e Certosa

3 giugno: Padula, Certosa di San Lorenzo

Padula si trova a sud-est della provincia di Salerno, nel Vallo di Diano, su due colli a 699 m s.l.m. Il nome di Padula deriverebbe dal latino medievale Paludem, cioè palude, mediante la trasposizione delle lettere D e L.ː infatti in passato nella pianura sottostante si estendeva una palude
In località Civita diversi ritrovamenti fanno stimare che i primi insediamenti umani vi si siano stabiliti intorno al XII secolo a.C.: è quindi da datare in questo periodo la fondazione della città di Cosilinum, l'antica Padula. È solo nel VI secolo a.C. che si iniziò a popolare la zona dove sorge l'attuale Padula: in località Valle Pupina sono stati ritrovati bellissimi corredi tombali, formati da vasellame in bronzo e ceramiche di chiaro stampo greco, attualmente esposti nel museo archeologico, presso la Certosa di Padula. La storia della città è facilmente rintracciabile in rete.

La certosa di Padula, o di San Lorenzo, è situata a Padula, nel Vallo di Diano, in provincia di Salerno. Si tratta della prima certosa ad esser sorta in Campania, anticipando quella di San Martino a Napoli e di San Giacomo a Capri. Occupando una superficie di 51.500 m², contando su tre chiostri, un giardino, un cortile ed una chiesa, è uno dei più sontuosi complessi monumentali barocchi del sud Italia nonché la più grande certosa a livello nazionale e tra le maggiori d'Europa.

La costruzione della Certosa fu voluta e finanziata a partire dal 28 gennaio 1306 da Tommaso Sanseverino, conte di Marsico e signore del Vallo di Diano, sotto la supervisione organizzativa dei Priore della Certosa di Trisulti (Frosinone). Tommaso aveva acquistato, in precedenza, dall'Abbazia di Montevergine un'antica grància già dedicata a San Lorenzo, costituendo il nucleo originario su cui realizzare il cenobio. Diverse furono le ragioni che spinsero il Conte a una tale realizzazione: accanto alle motivazioni ufficiali di ordine religioso e devozionale, di sicuro ve ne furono altre di prestigio e di convenienza. Certamente determinante fu la comune origine francese dell'ordine monacale e degli Angioini, sicché i regnanti non poterono non gradire l’appoggio dato a quell'ordine, aristocratico e colto, tant'è che, dopo qualche tempo, Tommaso Sanseverino fu nominato connestabile dei Regno da Carlo II lo Zoppo. Altra ragione fu certamente dettata dalla necessità di bonificare dalle paludi le proprietà nel Vallo di Diano; d'altro canto, nel Medioevo, spesso furono proprio le grandi organizzazioni monastiche a occuparsi di questo servizio e un gruppo come quello certosino si prestava bene anche a questo scopo. Un intreccio di motivazioni diplomatiche e pratiche, quindi, portò la famiglia Sanseverino a interessarsi in particolare di questo ordine tanto da proteggerlo almeno fino all'inizio del sedicesimo secolo.

L'area in cui il Sanseverino decise di edificare era di sua proprietà, essendo egli un ricco e potente feudatario. Il punto risultò subito strategico, potendo contare sui grandi campi fertili circostanti dove venivano coltivati i frutti della terra (i monaci producevano vino, olio di oliva, frutta ed ortaggi) nonché per consentire di avere il controllo delle vie che portavano alle regioni meridionali del Regno di Napoli.


Dell'impianto più antico restano in Certosa pochi elementi: tra questi si ricordano lo splendido portone della chiesa datato al 1374 e le volte a crociera della chiesa stessa. Nei secoli successivi si aggiunse alla struttura trecentesca il chiostro della Foresteria e la facciata principale nel cortile interno.

Nel Cinquecento il complesso divenne meta di pellegrinaggi illustri: Carlo V, dopo aver sconfitto il 4 luglio 1535, a Tunisi, in una cruenta battaglia l’ammiraglio ottomano, Khayr al-Din (detto Barbarossa), sbarcò in Italia a Reggio. Fu acclamato dal popolo, e sulla strada del ritorno fece varie tappe, giungendo il 10 agosto 1535 a Padula dove decise di fermarsi alla certosa di San Lorenzo. L’accoglienza dei monaci fu tale che l’Imperatore vi sostò per due giorni, accompagnato dal suo intero esercito. Carlo V per rispetto alla regola dei certosini, impose ai suoi uomini di non mangiare carne ed egli stesso si adeguò alla severa regola claustrale. Inoltre l’Imperatore rifiutò ogni comodità offertagli dai monaci, volle adeguarsi alla vita monastica decidendo di dormire in una umile cella, concedendosi il solo agio di sostituire il pagliericcio con un materasso e le lenzuola di lana con quelle di lino. Durante questo soggiorno, i monaci si prodigarono per offrire agli ospiti una “pantagruelica imbandigione“, degna di un illustre sovrano. Tra le tante pietanze, fu preparata nella cucina del monastero una leggendaria “Frittata delle Mille uova”, per sfamare l’intero esercito. Carlo rimase lusingato dalla maestria del cuoco, e dall’ospitalità ricevuta ricambiando la comunità monastica di Padula assegnando loro ulteriori privilegi. 
Prendendo spunto da questo aneddoto, ogni anno viene rappresentata una rivisitazione storica dal titolo “Padula in festa per Carlo V”, organizzata dall’Associazione turistica Pro Loco. Tale manifestazione prevede, tra le varie attrazioni, la realizzazione, nella splendida cornice della corte esterna della Certosa di San Lorenzo, della megafrittata che viene poi offerta ai partecipanti ai festeggiamenti. Per poter realizzare questa impresa da Guinness dei primati, è stata realizzato un ingegnoso congegno meccanico, con contrappesi e tiranti secondo principi leonardeschi che può con facilità alzare, abbassare e girare l’enorme padella in acciaio.

Caduti i Sanseverino nella metà del Seicento con la congiura dei baroni, i loro possedimenti andarono ai monaci certosini di Padula, rendendoli così anche padroni dei terreni su cui si sviluppava il paese soprastante. Disponendo di proventi derivanti dalle tasse che i civili pagavano al priore, oltre che delle ricchezze che la certosa aveva accumulato nel corso dei secoli, tramite donazioni, profitti commerciali e quant'altro, si avviò per tutto il XVII e XVIII secolo il periodo di massimo splendore per il complesso di San Lorenzo. I rimaneggiamenti cinquecenteschi ripresero così nel corso del Seicento e per quasi tutto il Settecento. Essendo stati questi decisivi e numerosi, fecero sì che un sito nato in stile gotico assurse a diventare ben presto uno dei simboli della cultura barocca nel regno di Napoli. Il florido periodo artistico ebbe ripercussioni positive anche sotto il profilo commerciale oltre che spirituale-politico. I beni primari prodotti nella certosa furono per molti secoli fondamentali in quell'area, infatti essa fu l'unico centro di raccolta di manodopera specializzata e non; basti ricordare che nel 1771 in essa si registrava la presenza di ben 195 lavoratori, di cui un centinaio erano salariati.

Durante questi due secoli, il sito fu inoltre ancora una volta ampliato: risalgono a quest'epoca infatti il chiostro grande, il refettorio, le decorazioni a stucco di molti ambienti e lo scalone ellittico del retro che, datato 1779, è di fatto l'ultima opera architettonica della certosa, prima della soppressione dell'ordine per mano dei francesi.

Nel 1807, infatti, durante il decennio murattiano, l'ordine certosino fu soppresso e i monaci della certosa, così come tutti quelli del regno, furono costretti a lasciare lo stabile, che invece fu destinato a diventare una caserma. Seguirono all'evento furti di svariate opere d'arte: testi storici in biblioteca, ori, statue, argenti e pitture, in particolar modo dentro la chiesa, la quale fu spogliata del tutto dalle tele seicentesche che possedeva. Nel 1813, anno in cui avvenne l'ultimo trasferimento di opere della certosa al museo Reale di Napoli, si registra lo spostamento da un luogo all'altro di 172 dipinti.

Passato il periodo napoleonico i certosini rientrarono nel complesso. Spogliati di quasi ogni bene, furono commissionate in questo periodo alcune pitture in sostituzione di quelle rubate e collocate nel refettorio, l'unico ambiente artisticamente ripristinato. Nel 1866, dopo l'unità d'Italia, l'ordine fu nuovamente soppresso e dunque i monaci dovettero lasciare, per l'ultima volta, la certosa, poi dichiarata monumento nazionale nel 1882. 

Nel Novecento, la casa certosina, ormai abbandonata da circa un secolo, divenne campo di concentramento per disertori e prigionieri, tra il 1915 e il 1921, e un campo di lavoro inglese tra il 1943 e il 1945. Dal 1923 al 1959 la certosa fu sede anche di un orfanotrofio (foto) per i figli dei caduti in guerra, con breve interruzione dovuta agli eventi bellici della seconda guerra mondiale. L'orfanotrofio della certosa di Padula ne accolse quasi mille, tutti orfani di guerra. Ai tanti disperati bambini che in circa 40 anni di attività trovarono asilo nel monumento certosino, fu garantito un tetto, la sopravvivenza e soprattutto l’istruzione: cosa che cambiò le sorti della loro vita. Fu voluto e realizzato dal barnabita padre Giovanni Semeria, cappellano militare al fronte durante la prima Guerra Mondiale e da padre Giovanni Minozzi.

Dal 1957 alcune sale ospitano il museo archeologico provinciale della Lucania occidentale, che raccoglie una collezione di reperti provenienti dagli scavi delle necropoli di Sala Consilina e di Padula, dalla preistoria all'età ellenistica. Nel 1981 la certosa invece fu affidata alla soprintendenza dei beni architettonici di Salerno e l'anno dopo vide avviare i primi veri lavori di restauro che avevano lo scopo di far divenire la certosa un sito di accoglienza turistica-monumentale.


Fu dichiarata nel 1998 patrimonio dell'umanità dall'UNESCO assieme ai vicini siti archeologici di Velia, Paestum (foto), al Vallo di Diano e al parco nazionale del Cilento. Dal dicembre 2014 fa parte dei beni gestiti dal Polo museale della Campania. 


Per la sua bellezza, la Certosa è stata adoperata in numerose occasioni come set cinematografico. Tra i film qui realizzati, sono da citare C'era una volta (1967) di Francesco Rosi con Sophia Loren e Omar Sharif, ambientato nell'epoca della dominazione spagnola e in cui viene citata la famosa leggenda della frittata di mille uova, e Cavalli si nasce (1989) di Sergio Staino con David Riondino e Paolo Hendel ambientato in epoca borbonica.


La struttura della certosa, come per tutte le certose d'Italia, richiama l'immagine della graticola sulla quale san Lorenzo fu bruciato vivo. L'impianto costruttivo delle certose è sempre uguale poiché deriva dalla rigida applicazione della regola. Gli ambienti delle certose si dividono in "casa bassa" e "casa alta": nella prima rientrano i luoghi di lavoro (depositi, granai, stalle, lavanderie, la grande cucina, le grandi cantine con le enormi botti e i campi limitrofi dove venivano coltivati i frutti della terra per il sostentamento dei monaci oltre che per la commercializzazione con l'esterno), la seconda, invece, è la zona di residenza dei padri, il regno dei silenzio e della più stretta clausura. Questa netta divisione rispecchia in pieno le esigenze di un gruppo monastico composto sia da padri di clausura che da conversi, monaci questi ultimi a tutti gli effetti, ma che volontariamente non prendono il voto di clausura per occuparsi delle varie attività produttive e dei servizi. 

Gli ambienti della Certosa sono (citati nel testo che seguirà):
  1. Cortile
  2. Stalle, granai, fabbri, pescherie, lavanderie, spezierie.
  3. Foresteria antica
  4. Chiostro della Foresteria
  5. Chiesa
    a) Sala del Capitolo dei Conversi
    b) Cappelle laterali
    c) Sacrestia
  6. Sala delle campane
  7. Sala del Capitolo
  8. Sala del Tesoro
  9. Chiostro del Cimitero antico
  10. Cappella del fondatore
  11. Refettorio
    a) Chiostro del Refettorio
  12. Cucina
  13. Chiostro dei procuratori
  14. Scala elicoidale
  15. Quarto del Priore
    a) Museo archeologico provinciale della Lucania occidentale
    b) Cappella di San Giacomo
    c) Loggia
    d) Chiostro del Priore
  16. Chiostro grande
  17. Cimitero dei Padri
  18. Celle dei certosini
  19. Scalone ellittico
  20. Giardino all'italiana



L'ingresso alla certosa avviene dal lato orientale dove, varcata la porta d'ingresso preceduta da qualche gradino, sostituzione di un vecchio ponte, ci si immette nella corte esterna, 

un ampio cortile a forma rettangolare (1) chiuso da due corpi di fabbrica. Il cortile era un tempo il punto che più di ogni altro aveva contatto con l'esterno; su questo affacciavano infatti i siti di produzione del complesso: le speziere, le scuderie, le stalle, le lavanderie, i granai, la farmacia e le officine (2). A sinistra, gli alloggi dei monaci conversi, che qui svolgevano la maggior parte delle loro attività. Era questa la "casa bassa".
Tra il 1840 ed il 1881, le varie inondazioni del torrente Fabbricato, che scorreva proprio davanti alla Certosa, determinarono l'interramento della Corte; l'acciottolato originario è stato riportato alla luce solo negli ultimi anni, rimuovendo quasi due metri di terriccio di riporto, accumulatosi nell'arco di oltre un secolo. All'imbrunire, ogni giorno, la corte esterna veniva chiusa e gli Armigeri si disponevano a protezione dell'ingresso, in una torre ubicata lungo il muro di cinta del complesso.


Il cortile è caratterizzato lungo la parete destra da una fontana di ignoto autore del Seicento

mentre in prossimità della scala di accesso, ai due lati della facciata, ci sono gli accessi ai giardini. Fa infine parte delle aggiunte del XVIII secolo la torre degli Armigeri.
La facciata principale segnava il limite invalicabile per gli estranei. E' l'accesso all'intero, risale al Cinquecento, in pietra locale e con colonne doriche. Ci furono però rimaneggiamenti in stile barocco nel corso del Settecento.: risalgono infatti al 1718 le quattro sculture dentro le nicchie eseguite da Domenico Antonio Vaccaro e raffiguranti, da sinistra a destra: San Bruno, San Paolo, San Pietro e San Lorenzo. 

I busti presenti al secondo piano ritraggono invece i quattro evangelisti, la Madonna e Sant'Anna, mentre ancora più in alto, è la scultura della Madonna al centro, con ai lati due putti e poi i busti della Religione e Perseveranza. Probabilmente i lavori settecenteschi alla facciata terminarono nel 1723, data riportata sotto la scritta Felix coefi porta posta ai piedi della scultura della Vergine.

Entrati nell'edificio, si giunge a una sala interamente affrescata da Francesco De Martino, che anticipa l'accesso al chiostro della Foresteria (4). Il chiostro risale ai rifacimenti cinquecenteschi: sono databili al 1561 infatti la fontana marmorea centrale, il portico e la loggia. La foresteria (3), ubicata al piano superiore, era il luogo in cui venivano ospitati i pochi eletti – religiosi, politici, regnanti, rappresentanti di nobili famiglie – ammessi nel complesso conventuale. La regola certosina, infatti, esonerava i monaci dai ministeri pastorali e imponeva loro l'isolamento, la meditazione e la preghiera.
Il loggiato del piano superiore del chiostro è interamente affrescato con scene di paesaggio risalenti ai secoli XVII - XVIII, alla maniera del pittore napoletano Domenico Gargiulo detto Micco Spadaro. Tra i cicli di affreschi, una porta conduce alla cappella di Sant'Anna, caratterizzata da decorazioni in stucco settecentesco di gusto barocco siciliano.



Il piano inferiore è caratterizzato da sculture in gesso ottocentesche lungo il porticato raffiguranti: Madonna in gloria, San Giuseppe, San Bruno, San Lorenzo e San Michele Arcangelo. Risale ai primi del Cinquecento invece la scultura in pietra della Madonna col Bambino.



Si affaccia sul chiostro la torre dell'orologio, mentre altre porte al piano inferiore conducono ad altri ambienti della certosa, come la cappella dei Morti, le ex celle dei monaci e la chiesa.
 
Dal portico del chiostro si accede alla chiesa di S. Lorenzo, (5) che rappresentava la sede di uno dei rari momenti di vita comunitaria. Il portale d'ingresso, (come già scritto sopra), risalente al XVI secolo, incornicia una porta, datata 1374, in cedro del Libano, composta da formelle che raffigurano il Martirio di S. Lorenzo e l'Annunciazione. La chiesa, con volte a crociera di origine trecentesca ma arricchita da stucchi dorati nel XVIII secolo, è suddivisa da un muro in due zone che separavano i monaci conversi dai padri di clausura.
I Cori Lignei della Chiesa di San Lorenzo rappresentano una delle opere più belle dell’intera Certosa di Padula. I due cori erano destinati ai conversi e ai padri di clausura.

 
Quello dei conversi, realizzato nel 1507 da Giovanni Gallo, è caratterizzato dalla presenza di ventiquattro stalli sui cui dorsali si possono ammirare le figure di Santi, Vescovi, Martiri e dei quattro Evangelisti, ognuna sormontata da una frase, mentre in basso ci sono paesaggi ed architetture. Una curiosità: nascosti negli stalli si trovano dei cassetti, sputacchiere che servivano anche e soprattutto per chi soffriva di tubercolosi.


Il Coro dei Padri è datato 1503 anche se ha subito diversi interventi di rifacimento. Gli stalli sono trentasei, decorati con scene tratte dal Nuovo Testamento sui dorsali e storie di Martiri sui prospetti inferiori. Il settecentesco pavimento, in cotto e maiolica, proviene dalla bottega napoletana dei Massa che produsse i celebri rivestimenti del chiostro di Santa Chiara. La volta è affrescata con scene del Vecchio e del Nuovo Testamento, opera di Michele Ragolìa del 1686; le cornici in stucco sulle pareti riquadravano i dipinti su tela, dispersi con la confisca del periodo napoleonico.
(Vista verso la controfacciata).

L'imponente altare maggiore, ascrivibile al XVIII sec., fu realizzato da Giovan Domenico Vinaccia e Bartolomeo Ghetti, in scagliola impreziosita da pietre dure e madreperle. Il gesso, dopo essere stato bollito a temperature molto elevate, veniva fatto asciugare e quindi fissato su lastre di pietra per essere inciso e decorato.

Oggi le uniche tre tele si trovano sulle pareti del presbiterio. Sono lì perché opere tarde, ordinate dai padri nel 1860 una volta rientrati in Certosa. Sulla destra è raffigurato San Bruno, a sinistra il martirio di San Lorenzo, al centro San Lorenzo e San Bruno ai piedi della Vergine con Bambino.
(vedi sopra)

La Sacrestia (5c) si apre alle spalle dell'altare e in essa si possono ammirare l'armadio dove i padri riponevano i paramenti, realizzato da alcuni di loro e datato al 1684, e, sull'altare in scagliola con madreperle, il Ciborio probabilmente dello scultore siciliano Jacopo dei Duca, allievo e collaboratore di Michelangelo Buonarroti.

Da una porta alla sinistra dell'abside si giunge alla sala delle campane (6), nella quale vi sono tre fori nella volta, che un tempo vedevano il passaggio al loro interno delle funi delle campane. Fuori della porta una curiosità è rappresentata da un antico pannello, contenente i nomi di ciascun componente la compagnia con i relativi impegni da svolgere. Dalla sala tre porte (esclusa quella che conduce alla chiesa) danno accesso ad altrettanti ambienti: alla Sala del Capitolo (7), alla Sala del tesoro (8) e al chiostro del Cimitero antico (9).
 
Il Capitolo è una vasta sala rettangolare decorata da stucchi settecenteschi, in cui campeggia l'imponente altare in pietra di Padula, presumibilmente eseguito dallo scultore Andrea Carrara. Al Capitolo, presieduto dal Priore, non partecipavano tutti i monaci e comunque non tutti avevano diritto decisionale (il detto “Non avere voce in capitolo” deriva da questo fatto): qui si riunivano i Certosini per affrontare i problemi della comunità religiosa, dell'ammissione di nuovi membri, delle pene da infliggere ai trasgressori. Nella sala si conservano anche quattro statue recentemente attribuite a padre Domenico Lemnico, certosino, allievo di Lorenzo Vaccaro. Le fastose cornici in stucco sono ora prive di tele; l'unica rimasta si trova di fronte all'ingresso sopra l'altare: sono raffigurati San Bruno e San Lorenzo ai piedi della Vergine coi Bambino, attribuita ad Ippolito Borghese.


La Sala del Tesoro costituiva una sorta di cassaforte dove probabilmente veniva custodito e protetto il ricchissimo arredo della chiesa. Oggi l'enorme armadio che conteneva gli ori, gli argenti, gli avori è desolatamente vuoto. Resta da ammirare una sontuosa decorazione settecentesca sulla volta, all'interno della quale però l'affresco raffigurante La caduta degli angeli ribelli è molto deteriorato a causa della forte umidità e dell'incuria nella quale la Certosa è stata in passato lasciata.
Il Cimitero antico è piccolo perché la sepoltura avveniva senza bara, quindi i corpi si decomponevano piuttosto velocemente. Sulla fossa veniva messa una croce anonima di legno. Il Chiostro che lo delimita, con al centro una croce in pietra, ha diversi elementi riconducibili al periodo settecentesco: la balaustra traforata, i capitelli naturalistici, i doccioni a forma di mascheroni, gli stucchi. Cadde in disuso quando i padri decisero di farne costruire uno nuovo nel Chiostro grande.
Dal chiostro si ha accesso al refettorio (11) che risale alle aggiunte settecentesche della certosa, probabilmente edificato tra il 1438 e 1742, di forma rettangolare. Addossati alle pareti ci sono i sessantuno stalli in legno di noce intagliato, sui quali sedevano i monaci all'ora dei pasti, esclusivamente nei giorni festivi e in tempo di Quaresima e davanti ai quali erano collocati i lunghi tavoli su cui i monaci mangiavano. Oggi questi non ci sono più, così come spazi bianchi alle pareti comprovano l'assenza di alcune tele tele alloggiate all’interno di una decorazione a stucco di gusto tardobarocco, trafugate durante la soppressione del periodo francese.


Massimo era il silenzio, interrotto soltanto dal padre che da un pulpito sorretto da un'aquila con due bassorilievi raffiguranti il Martirio di san Lorenzo e la Morte di san Bruno leggeva una predica tratta dalle Scritture o da sermoni antichi degli stessi padri.
 

Sulla parete di fondo risalta il grande dipinto, olio su muro, raffigurante le Nozze di Cana, opera di Alessio D'Elia (1749). E’ una pittura ricca di personaggi in abiti settecenteschi, a riproporre l'atmosfera e l'ambiente dell'epoca in cui fu realizzata.

Il pavimento in marmi policromi fu posato da maestranze locali in circa sette mesi di paziente lavoro. Tre sono i portali di accesso alla sala, realizzati in "Pietra di Padula"; hanno una decorazione in marmi policromi con motivi piuttosto in voga in quegli anni.


Adiacente alla sala è il chiostro del Refettorio (11a), piccolo ma prezioso in quanto rappresenta un ulteriore lascito dell'originario impianto trecentesco del complesso. Lungo il porticato la pavimentazione in terracotta è caratterizzata da una "fetta" in maioliche raffiguranti la scena mitologica di Esculapio che nutre il serpente, molto probabilmente proveniente da altro luogo del monastero andato distrutto.
Sempre dal chiostro del Cimitero si giunge alla cucina (12) del monastero, dalla quale poi si sviluppano altri ambienti. Sulla parete di fondo della sala è stato rinvenuto, sotto una compatta scialbatura, (imbiancatura data con una mano di calce spenta), il grande affresco della Deposizione di Cristo datato 1650 e firmato "Anellus Maurus", probabilmente un monaco. Il tema poco idoneo dell'affresco, così come la forma architettonica rettangolare della sala con volte a botte, esclude con quasi assoluta certezza che in quell'ambiente, almeno prima del 1742, anno in cui finirono i lavori di restauro di quell'ala del monastero, ci fosse una cucina. La sala era invece destinata molto più probabilmente a Capitolo o Refettorio della certosa.


Affreschi un po' offuscati dal tempo e dai fumi della cucina decorano la volta a botte. L'elemento centrale che salta subito all'occhio è la grande cappa posta al centro, su una grande fornace centrale decorata alla base da mattonelle maiolicate. Si può ammirare anche l'antico bollitore.

La Regola invitava a pranzi frugali, senza carne, mentre permetteva largo consumo di verdure, uova, latte, formaggi e pesce nei periodi di maggiore benessere. I pasti venivano consumati in solitudine nelle celle, tranne che nei giorni festivi e in particolari occasioni. L'austero arredo costituito da tavolini in pietra è ravvivato lungo le pareti dalle squillanti mattonelle gialle e verdi recuperate dallo spoglio di qualche cupola.


Nei pressi della cappa si trova il passaggio alle sottostanti cantine, ambiente molto vasto ma interdetto al pubblico,


dove si conserva un torchio risalente al 1785. Qui erano custoditi, oltre alle derrate alimentari, bottiglie e barili poiché il consumo del vino era ammesso dalla Regola, in maniera moderata una volta al giorno.
Il Chiostro dei Procuratori (13) si trova lungo l’asse che dall’ingresso conduce al Chiostro Grande ed è composto da un portico al piano terra, dove si trovava anche il refettorio, e da un corridoio finestrato al piano superiore dove si trovavano gli alloggi dei procuratori; questi, scelti direttamente dal Priore, erano chiamati ad amministrare il patrimonio della Certosa, alla conta delle provvigioni e delle elemosine, inoltre visitavano i monaci malati e curavano l’educazione dei conversi.

Una fontana in pietra con delfino e animali marini si trova al centro dei chiostro. Una volta all'anno rendevano conto del proprio operato al padre priore col quale peraltro avevano contatti frequenti. Alcune certose, quelle più importanti, avevano più di un procuratore: è il caso del monastero di Padula che ai possedimenti a Brindisi, Taranto e Napoli aggiunse ben presto anche i feudi di Padula, Montesano e Buonabitacolo (1645).

Il Priore era una figura fondamentale per la Regola certosina: si occupava di tutte le questioni spirituali e pratiche connesse alla vita del Monastero. Alla "cella" dei priore (15) si giunge dopo aver superato un portone che separa la zona delle celle dei padri da tutti gli ambienti sinora descritti. Quel portone rimaneva sempre chiuso e l'unico a poterlo varcare con una certa libertà era proprio il priore. La sua non è in verità una cella bensì un appartamento di ben dieci ambienti - alcuni dei quali oggi ospitano il Museo Archeologico Provinciale - con in più vari locali di servizio, l'archivio, l'accesso diretto alla biblioteca e la cappella privata, dedicata al patrono di Padula, San Michele Arcangelo.


Accanto alla cappella si apre la loggia (15c) affrescata che conduce al giardino, che taglia trasversalmente le celle dei novizi permettendo l'accesso al priore e, quindi, il controllo sulla loro vita di preghiera. Le scene dipinte da Francesco De Martino da Buonabitacolo (in questo caso paesaggi marini) richiamano molto da vicino le pitture che decorano la loggia della Foresteria.

Dettaglio.



Giardino del Priore (15d).

 
L'ingresso della Biblioteca è collocato accanto alla cella dei priore; appena varcata la soglia, ci si trova di fronte ad una delle opere più belle dell'intero monumento: si tratta di una scala elicoidale (14) composta da trentotto gradini monolitici che, aprendosi a ventaglio, conducono all'antisala della biblioteca.





 
E’ una scala in pietra, raccordata unicamente da un cordolo ricavato negli stessi scalini, culminante in una balaustra anch'essa in pietra. Di autore ignoto, risalirebbe alla metà dei XV sec.
Purtroppo durante la nostra visita l'accesso alla scala era interdetto al pubblico.

Fotografia dal basso.


La Biblioteca, luogo riservato esclusivamente al Priore, ha preziosi armadi in noce che un tempo contenevano decine di migliaia di volumi e manoscritti. Parte del patrimonio librario, andato disperso a partire dall'inizio dell'Ottocento, si trova oggi nella Biblioteca Nazionale di Napoli.
Quando ci siamo stati noi la biblioteca non era visitabile.
Tra le opere monumentali di questa Certosa rientra sicuramente il Chiostro grande (16), che con i suoi quasi quindicimila metri quadrati di superficie, risulta essere tra i maggiori in Europa.
Misura infatti 104 metri di larghezza per 149 di lunghezza, conta due ordini di portici su un totale di 84 pilastri in pietra locale, con volte ad arco a tutto sesto,


sopra le quali sono i bassorilievi raffiguranti i Padri fondatori degli ordini religiosi, Santi ed Angeli.
La costruzione fu avviata nel 1583 rifacendo sostanzialmente un chiostro preesistente. I lavori andarono avanti per quasi due secoli, dal momento che subivano ogni tanto rallentamenti e interruzioni dovuti a difficoltà economiche e costruttive ma anche al disagio che i padri di clausura erano costretti a subire per la presenza di un cantiere aperto a maestranze esterne.
Poco si sa sugli autori di questa grandiosa realizzazione e, data la durata dei lavori, furono probabilmente diversi gli architetti che se ne occuparono. Uno fu sicuramente Gaetano Barba (1730-1806) che fu allievo dei Vanvitelli e che per la Certosa progettò la galleria superiore del chiostro e lo scalone ellittico. 


Il Chiostro si sviluppa su due livelli: in basso il portico con le celle dei padri (18), in alto la galleria finestrata utilizzata dai monaci per la passeggiata settimanale, il cosiddetto spaziamento, che di solito veniva fatto all'aperto nei giardini personali. Durante questa “uscita" la clausura veniva interrotta e i padri potevano incontrarsi, comunicare tra loro e pregare insieme.
 

Su di un lato corto dei chiostro fu costruito il nuovo cimitero (17) che sostituì quello posto tra cucina e refettorio; è racchiuso da una balaustra con alcuni teschi in pietra a ricordarne la funzione. Il cimitero è datato 1729 e fu eseguito su un progetto anteriore di Cosimo Fanzago.

Quattro vie tagliano a croce il giardino, al cui centro è collocata una fontana a forma di coppa, realizzata in pietra e datata 1640.






I monaci certosini vivevano la gran parte della propria giornata all'interno della propria cella dedicandosi alla preghiera, al raccoglimento, allo studio e alla meditazione nella continua ricerca di Dio. Le celle sono generalmente confortevoli e ospitali: un corridoio immediatamente dopo l'ingresso, due stanze di cui una con camino, una loggia coperta e un orticello alla cui cura dedicare le prime ore dei pomeriggio.

Accanto a ogni porta di ingresso, un piccolo vano ospitava la ruota della clausura, girando la quale si ritirava il pasto consegnato dai conversi. Nella Certosa di San Lorenzo si contano oggi ventiquattro celle, mentre originariamente erano ventisei, alcune delle quali costituite da più di due locali, collocate lungo tre lati dei chiostro stesso.

Inoltre sempre lungo le mura del porticato del chiostro sono collocate diverse decorazioni in stucco e una fontana in prossimità della porta che conduce alla biblioteca.

Sul lato opposto dell'ingresso principale al chiostro, infine, c'è il monumentale scalone ellittico.
Nella foto, il portale che conduce dal Chiostro grande allo scalone ellittico.





Il maestoso scalone ellittico a doppia rampa (19), eseguito intorno al 1779, collega i due piani del chiostro e si affaccia sul paesaggio circostante. Autore della galleria finestrata e di quest'opera, ispirata alle esperienze napoletane di Ferdinando Sanfelice, è Gaetano Barba (1730-1806), allievo del Vanvitelli. Si tratta dell'ultima opera che i padri riuscirono a ordinare e a vedere realizzata prima delle soppressioni francesi, un'opera di straordinaria grandiosità che, aldilà della funzione pratica cui era ed è tuttora destinata, si giustificava come un maestoso elemento scenografico illuminato dai suoi sette grandi finestroni.

Chiuso all'esterno da una torre ottagonale, lo scalone conduce al primo piano del chiostro grande, utilizzato dai monaci di clausura per la loro "passeggiata settimanale", nei cui quattro bracci sono attualmente allestiti gli spazi espositivi delle opere d'arte restaurate nei laboratori presenti in Certosa, opere provenienti principalmente dai paesi terremotati dei Salernitano e dell'Irpinia, che hanno trovato solo a Padula gli ambienti adatti agli interventi a cui devono essere sottoposti.
Il materiale usato per l'opera, secondo fonti dell'epoca costata ben 64.000 ducati, è la pietra di Padula. Al centro dello scalone è lo stemma della certosa di San Lorenzo: mitria vescovile (il priore era comunque un vescovo), la corona di marchese, il bastone pastorale vescovile, il simbolo di san lorenzo (la graticola) ed infine la fiaccola, che rivolta verso l'alto avrebbe significato anni di buon augurio, rivolta verso il basso, anni di miseria.


La torre ottagonale è caratterizzata da sette finestroni aperti verso il giardino all'italiana (20), di rifacimento settecentesco, che i monaci di clausura utilizzavano per le loro uscite durante le festività.
Da qui, infine, si sviluppa tutta l'area verde che circonda le mura esterne del complesso.

Quando siamo andati noi le celle dei padri erano chiuse. Ne ha aperta una per noi un certo Vito, a suo tempo orfano cresciuto nella struttura. Le celle ospitano opere di arte contemporanea, posto una foto della numero 5 a rappresentarle tutte.







Qui si conclude la mattinata. Dopo il pranzo in un agriturismo siamo andati a visitare le Grotte di Pertosa Auletta, ma ne parlo in altra pagina. La cronaca continua.