29 settembre: Parco Nazionale della Sila, Santa Severina, rientro a Rende.
Ci mettiamo in viaggio verso il Parco nazionale della Sila, percorrendo la strada statale che mette in comunicazione il mar Tirreno con il mar Ionio. La guida ci indica Rovito,
che è rimasto tra le pagine della storia che segnano l'Unità d'Italia. È
nel "Vallone di Rovito" che trovarono la morte nel 1844, i Fratelli
Bandiera e Nicola Ricciotti, patrioti italiani di ideali Mazziniani.
Passiamo vicini a Celico e Spezzano della Sila. La guida ci parla della lavorazione della ginestra, che è una delle protagoniste dell'Arte della Tessitura e a Longobucco, nella Sila Greca, in provincia di Cosenza, primeggia in quanto forma d'artigianato unica nel suo genere.
Qui un bel video sulla lavorazione della ginestra.
La ferrovia Cosenza – San Giovanni in Fiore è una linea ferroviaria a scartamento ridotto
che collega Cosenza al suo entroterra silano, raggiungendo località
montane tra cui Camigliatello Silano; il tratto fino a San Giovanni in
Fiore dal 1997 fu sospeso dal servizio regolare.
Nelle stagioni estive e invernali,
le Ferrovie della Calabria organizzavano un viaggio in treno da
Camigliatello Silano a San Nicola Silvana Mansio, sulla linea Cosenza -
San Giovanni in Fiore. Questa linea a scartamento ridotto, attualmente
limitata a Spezzano della Sila per quanto riguarda il servizio regolare,
ha trovato in questo breve tratto un grande e importante impiego turistico. Infatti il viaggio su carrozze storiche,
datate 1932, al traino di locomotive a vapore FCL del gruppo 350, 400 e
500, o, in caso di manutenzione delle stesse, locomotore diesel,
rappresentava una grande attrattiva per i turisti e per
gli appassionati di ferrovie, affascinati dai paesaggi che questa
ferrovia attraversa. Dall'inizio del 2014 il trenino è stato dismesso.
Nella foto, la stazione di Camigliatello Silano con il treno storico in sosta.
Il Parco nazionale della Sila è il terzo in ordine cronologico a essere stato aperto in Calabria dopo quello del Pollino e dell'Aspromonte. Situato nel cuore della Sila
si estende per 73.695 ha assumendo una forma allungata nord-sud. La
sede del parco si trova a Lorica, mentre il perimetro coinvolge tre
delle cinque province calabresi: Catanzaro, Cosenza e Crotone.
Il Parco è stato istituito nel 1997 ma l'istituzione definitiva è avvenuta per Decreto del presidente della Repubblica del 14 novembre del 2002,
dopo un iter politico iniziato nel 1923, quando in Italia si cominciò
seriamente a parlare di Aree naturali protette, istituendo i primi
parchi nazionali. Al suo interno il Parco custodisce uno dei più
significativi sistemi di biodiversità. Il simbolo del Parco è il lupo,
specie depredata per secoli e fortunatamente sopravvissuta fino al
1970, anno in cui venne istituita una legge a favore della sua salvaguardia.
Il Consiglio Internazionale di
Coordinamento del Programma MAB (Man and the Biosphere Programme), nel
corso della sua 26ª sessione a Jönköping in Svezia, ha approvato
l'iscrizione della Sila come 10° Riserva della Biosfera italiana nella Rete Mondiale dei siti di eccellenza dell'UNESCO.
All'interno del Parco si trovano 3 dei 6 bacini artificiali presenti sull'altopiano silano e la sua superficie boschiva
è molto ampia, tant'è che fra i Parchi nazionali italiani è quello con
la maggior percentuale di superficie boscata, circa l'80% del totale,
costituita principalmente da faggete e pinete del tipico pino silano, il Laricio. Ampie sono le vallate che si aprono lungo le dorsali del Parco ove è praticata la pastorizia, con forme di transumanza e alpeggio che resistono tutt'oggi, e l'agricoltura legata soprattutto alla coltivazione della patata.
Il lago Cecìta, detto anche Mucone, è il più grande lago artificiale della Sila e, nonostante sia stato creato per la produzione di energia elettrica,
appare integrarsi così bene nel paesaggio silano da sembrare quasi
fosse originario e connaturato alla Sila stessa, tale da costituirne una
forte attrattiva turistica. Il lago, pur non facente parte del Parco
Nazionale della Sila, in alcuni tratti del versante destro ne lambisce i
confini. In uno di questi, in località Cupone, nel comune di Spezzano della Sila, è situato uno dei due centri visitatori del Parco gestito dal Corpo Forestale dello Stato.
Le acque del lago sono utilizzate anche dagli agricoltori per agevolare
l'irrigazione dei numerosi campi adibiti alla coltivazione della patata tipica della Sila denominata "Patata Silana" che ha ricevuto la certificazione Igp dalla Commissione Europea nel febbraio 2010.
Il lago custodisce inoltre un importante patrimonio archeologico venuto alla luce pochi anni fa. L'attività di scavo è iniziata nel 2004 e sono stati scoperti importantissimi reperti in tutta la valle del Mucone. Antichissime testimonianze, sulle rive del lago, risalgono all'uomo di Neandertal. Tra la fine del neolitico e l'inizio dell'età del rame
(3800-3300 a.C.), tutta la Sila venne occupata da insediamenti di
agricoltori e pescatori che sfruttavano le antiche conche lacustri (Arvo
e Cecita) per un caratteristico metodo di pesca con la rete. Ulteriori testimonianze risalgono all'antica età del bronzo (Ampollino e Cecita). Il più importante insediamento di età greca,
in Sila, è costituito dal santuario scoperto - a breve distanza da
Camigliatello Silano - nel lago Cecita (VI-III secolo a.C.); altri scavi
hanno messo in luce un insediamento di età romana dedicato all'estrazione e lavorazione della pece, attivo tra il III secolo a.C. ed il III secolo d.C.
In località Cupone, a ridosso del lago Cecita, si trova il Centro Visite del parco dove ci siamo recati. Nato dall'adattamento degli spazi intorno a una segheria demaniale oggi è un centro di educazione ambientale di eccezionale rilevanza naturalistica e culturale: offre suggestivi itinerari con sentieri naturalistici, osservatori faunistici, un museo naturalistico, il giardino geologico che consente l’osservazione delle caratteristiche rocce del territorio silano
e l'orto botanico
accessibile ai disabili e ai non vedenti con pannelli esplicativi delle varie essenze. L'orto botanico
annovera la flora autoctona del territorio del parco; il percorso si compone di una zona umida e una acida, che mostrano la vegetazione nell'esposizione a sud con pino laricio e a nord con faggio e abete bianco. Sono presenti 116 punti di stazionamento dove sono descritte le varie specie.
Il museo naturalistico espone la fauna autoctona. Dispone di una sala interamente dedicata al tema "Albero" e al legno, una sala dedicata alla fauna, dove spicca la figura del lupo, una sala per i rettili e una per gli uccelli. Consente di apprezzare campioni di reperti e di manufatti sequestrati dal Corpo Forestale dello Stato, derivanti da specie in via d’estinzione e spesso trafugate o destinate al traffico illegale.
Il toponimo "Cupone" deriva presumibilmente da un antico albero “cupo” o meglio da un pino la cui base si presentava concava e scura perché, come la consuetudine dei boschi voleva, era stato “slupato”, ovvero scavato dai pastori che ricavavano fiaccole dalla resina estratta.
Salutiamo i due cagnolini mascotte
del Parco, di cui uno, cucciolo, sempre in movimento e quindi non
facilmente fotografabile a differenza di quello più grande e posato,
nero
e lo scoiattolo, nero pure lui, che ci ha accolti festosamente all'ingresso, correndoci appresso da un albero all'altro. Ci dirigiamo a Camigliatello per il pranzo.
San Giovanni in Fiore è il più antico, vasto e popolato centro abitato della Sila, posto a pochi chilometri dall'Alta Val di Neto
e dal comprensorio montuoso di Montenero, nonché il più popolato fra i
282 comuni italiani posti oltre i 1.000 metri s.l.m.; dista circa
70 km da Cosenza e circa 50 km da Crotone; è il comune più
esteso della regione Calabria.
Gran parte del territorio è protetto, facendo parte del Parco Nazionale della Sila. Il valore naturalistico del territorio è dato dalla presenza di grandi foreste e boschi, di laghi e numerosi corsi d'acqua.
La cittadina è legata alla figura dell'abate Gioacchino da Fiore, monaco esegeta del XII secolo, che qui fondò il monastero di San Giovanni in Fiore e la Congregazione florense.
Lasciamo la provincia di Cosenza per entrare in quella di Crotone,
(antica Kroton) che fu fondata da coloni greci provenienti dalla
regione dell'Acaia nel terzo quarto dell'VIII secolo a.C., nel luogo di
un preesistente insediamento indigeno e rappresentò uno dei centri più
importanti della Magna Grecia. Pitagora, nato a Samo nel 572 a.C. si trasferì - intorno al 530 a.C. - a Kroton presso l'amico Democède, creando una scuola di sapere di scienza, matematica, musica, la scuola pitagorica.
Curiosità: a Crotone è stato intitolato l'omonimo cratere sulla superficie di Marte. La nostra meta è però
Santa Severina, il cui territorio, durante le età del bronzo e del ferro, era abitato da popolazioni indigene forse del ceppo degli Enotri. Anticamente nota come Siberene, dopo essere stata presumibilmente un abitato greco-italico e poi romano, fino al 1076 appartenne ai Bizantini. Fu in seguito governata dai Normanni e poi dagli Svevi.
La cittadina sorge su una rupe al centro di una vasta vallata che la fa apparire come una grande nave di pietra. La bellezza del paesaggio e dei suoi monumenti fanno di Santa Severina una delle perle della Calabria, inserita ne “I Borghi più belli d’Italia”.
Piazza Campo, la piazza
principale, rappresenta il salotto buono del paese. Il progetto di
risistemazione della piazza ebbe numerosi riconoscimenti in campo
architettonico. Particolare è la pavimentazione della piazza dove
l'elemento strutturale è rappresentato da una grande ellisse orientata con l'asse maggiore nord-sud.
L'interno dell'ellisse è diviso in 12
quadrati dagli assi, mentre quattro radiali convergenti in un sistema
centrale formano una rosa dei venti. All'esterno
dell'ellisse sono tracciati due assi: il primo, con direzione nord-sud, è
il prolungamento dell'asse maggiore. Il secondo asse unisce il Castello e la Cattedrale.
La Cattedrale di Santa Anastasia forma un’unica struttura con il Palazzo Arcivescovile e il Battistero Bizantino. Costruita tra il 1274 e il 1295, della primitiva struttura bizantina-normanna rimane il solo portale centrale mentre con le modifiche apportate finì con l'assumere le caratteristiche di una basilica romana a tre navate con grande cupola policroma.
A lato, la cupola.
La facciata è caratterizzata dal portale ad arco a sesto acuto con il timpano spezzato, al centro del quale compare lo stemma vescovile. Anche la finestra monofora che lo sovrasta presenta un timpano con la medesima mancanza del vertice superiore. Affiancano il portale lesene di ordine dorico e corinzio, delle nicchie e la trabeazione, che suddivide in due livelli la facciata.
Sul lato sinistro si erge su quattro livelli l’imponente torre campanaria, con
un portale ogivale duecentesco sulla sinistra e a base quadrangolare,
tipicamente rinascimentale. Ospita quattro campane nella cella e due sul
tetto, presenta lo stesso stile della facciata fino alla base della cella campanaria, mentre la seconda parte ha uno stile diverso.
L'interno della Chiesa, a pianta basilicale, è abbellito con le arcate che delimitano le tre navate e gli affreschi sui pilastri che le sorreggono. Il soffitto è a cassettoni. L'Altare Maggiore marmoreo è di un barocco policromo del settecento.
Il presbiterio custodisce sulla destra un ambone marmoreo, voluto dal vescovo Caffarelli, una sorta di pulpito in marmi calabresi con colonne di granito, con bassorilievi ornamentali e un pannello centrale raffigurante Gesù fra i Dottori.
Sulla sinistra, invece, si erge il ligneo trono vescovile
commissionato da Carlo Berlingieri, come si evince dallo stemma,
realizzato nel XVIII secolo. Nella foto, vicino all'altare, si vede
anche se molto in piccolo. Alle spalle dell'altare il coro con stalli lignei addossato alle pareti affrescate.
Nella navata destra sono presenti tre cappelle dedicate rispettivamente al Crocifisso, a Santa Anastasia e alla Madonna degli Angeli. La cappella del Crocifisso custodisce, all'interno di un altare ligneo barocco decorato con motivi vegetali a rilievo, un crocifisso ligneo di singolare fattura ascrivibile al XV sec. molto particolare per la lunghezza delle braccia e il ventre del Cristo, prominente, a significare la vita che dona con il suo sacrificio.
Dalla cappella dedicata alla Santa Patrona proviene il dipinto che ritrae Santa Anastasìa
con i suoi tipici simboli iconografici attribuito all'artista
napoletano Fabrizio Santafede. L'opera è oggi custodita nel Museo
Diocesano di Arte Sacra, assieme al altri importanti pezzi provenienti
dalla Cattedrale, come la singolare statua processionale in argento di Santa Anastasìa (datata 1792), raffigurata con corona, palma e Bibbia; su quest'ultima poggia il modellino della città simbolicamente posta sotto la protezione della Santa.
In fondo alla navata sinistra è visibile un affresco ascrivibile al XVI secolo in cui appare la Madonna col Bambino tra San Francesco di Paola e un Santo vescovo
ritratto con pastorale e mitria adagiata a terra. Discordanti sono le
interpretazioni relative a quest'ultimo personaggio; secondo alcuni si
può riconoscere la figura di Papa Zaccaria, per altri invece si tratta Gioacchino da Fiore.
Alla sinistra della Cattedrale è ubicato il battistero bizantino edificato nel X secolo; di singolare pregio e bellezza per la sua unicità, si presenta a croce greca con pianta circolare impostata su otto colonne di spoglio in granito che sostengono la cupola con tamburo ottagonale e lanternino cieco. Al centro della struttura è collocato il fonte battesimale marmoreo.
Sulle pareti sono visibili resti di affreschi ascrivibili al X-XII secolo.
Quattro finestre, disposte lungo la direzione dei punti cardinali, illuminano la cupola. Al battistero si può accedere sia dalla chiesa
sia da un portale ogivale in pietra di epoca sveva.
Il museo diocesano d'arte sacra
si trova nel palazzo arcivescovile che fiancheggia la Cattedrale e
si affaccia su piazza Campo di fronte al castello. Inaugurato nel 1998,
raccoglie essenzialmente le testimonianze storico-artistiche della
Cattedrale e dell'Episcopio che cronologicamente si snodano dall'Alto
Medioevo al Novecento.
Il percorso espositivo si articola in diverse sezioni: la prima è un itinerario dedicato all'evoluzione storica, architettonica e urbana della città attraverso gli edifici di culto
che in essa ancora sussistono. Insieme a planimetrie e a pannelli
esplicativi sono esposti reperti marmorei provenienti da questi edifici,
recuperati nei recenti restauri.
La seconda sezione è dedicata alle testimonianze dell'arte argentaria e orafa
ed è costituito da una buona parte del cosiddetto “Tesoro della
Cattedrale”, uno dei più ricchi e preziosi dell'intera Calabria, quindi
uno dei percorsi più interessanti e forse il più importante del Museo
Diocesano.
Tra i reliquiari, il braccio di Sant'Anastasia,
manufatto d'argento che la tradizione vuole donata da Roberto il
Guiscardo e che è composto da una base, realizzata nell'ultimo decennio
del Seicento da un argentiere napoletano su commessa di Antonio Gruther,
feudatario della cittadina, e da un braccio finemente lavorato che
custodisce la reliquia.
La statua d'argento a figura intera di Sant'Anastasia, realizzata nel 1792 da un esponente della famiglia dei Baccaro, introduce nella sezione dedicata alla patrona della città, appunto santa Anastasia, nella quale sono esposte altre opere d'arte che la rappresentano.
La sezione dei dipinti raccoglie molte testimonianze seicentesche e settecentesche; tra le sculture, invece, emergono alcuni frammenti seicenteschi e le due statue raffiguranti entrambe San Michele Arcangelo. Singolare è poi la statua di san Giuseppe che tiene in braccio il Figlioletto.
Nel museo sono collocati anche l'Archivio storico interdiocesano, che custodisce documenti
di varie epoche, tra cui una bolla pontificia del 1184, e la Biblioteca
storica diocesana, che conserva numerosi volumi, tra cui incunaboli e
cinquecentine.
Prima di lasciare il museo abbiamo potuto anche osservare un frammento di una parete in canne, tipica della zona.
Il castello di Santa Severina risale all'epoca della dominazione normanna (XI secolo) su una fortificazione preesistente di epoca bizantina nota come oppidum beatae Severinae. Dopo il 1076, sulle sue rovine, Roberto il Guiscardo fece costruire un dongione le cui tracce sono state evidenziate durante i lavori di restauro. Nel corso dei secoli e dei passaggi dalle varie famiglie regnanti, ha subito varie modifiche.
Gli studiosi ritengono che l'aria del Castello rappresentasse l'acropoli dell'antica Siberene. Gli scavi condotti durante il restauro hanno fatto emergere materiali risalenti fino all'età greca, Di notevole interesse sono i resti di una chiesa bizantina (con pareti affrescate) e di una necropoli dello stesso periodo storico.
La residenza feudale nel piano nobile del Castello è particolarmente interessante per il fastoso decoro
che orna gli ambienti, commissionato dalla famiglia Grutter nel secolo
XVIII. E' opinione generale infatti che furono i Grutter a trasformare
il mastio, venute meno le necessità di difesa dalle incursioni dei
pirati, in dimora signorile. Leggi anche qui.
Molto belle alcune porte originali in legno, dipinte con le immagini di Arlecchino e Colombina, e i soffitti, riccamente affrescati in molte stanze.
Piccola ma interessante la cappelletta interna al castello.
Nel Castello ha sede il Museo Archeologico, dove sono esposti reperti
- di proprietà dello Stato - provenienti dal territorio o rinvenuti nel
corso degli scavi nella fortificazione. Sono visitabili alcune aree
archeologiche (grotte, necropoli, chiesa bizantina, fondazione torre
normanna e altro) messe in luce nel corso degli scavi.
Si chiude qui la nostra terza
giornata, che è anche il giorno del mio quarantatreesimo anniversario di
matrimonio. La cronaca continua in altra pagina.
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