mercoledì 28 giugno 2017

Gita in Calabria - Sesta parte - Scilla e Reggio

2 ottobre: Costa Viola con Scilla, Reggio.


«Ogni cosa si tinge con le diverse tonalità del colore viola, dando vita ogni sera, con i suoi spettacolari riflessi, ad una visione sempre nuova.» (Platone, IV secolo a.C.) L'area deve il suo nome alla descrizione del filosofo Platone che, navigando lungo questo tratto di mare,  rimase colpito dalle varie tonalità che assumono al tramonto il mar Tirreno, la montagna dell'Aspromonte e tutto il paesaggio circostante.


La costa viola si estende per circa 35 km tra lo Stretto di Messina (confine sud) e il basso Tirreno (confine nord) e comprende cinque comuni i cui territori si affacciano sul mare con un vasto entroterra restrostante: Bagnara Calabra, Villa San Giovanni, Palmi, Scilla e Seminara. La linea di costa, stretta tra il mare e le montagne, è dominata da alte e frastagliate costiere oltre che da suggestivi anfratti come la "grotta dello Sparviero". Dal Monte Sant'Elia è possibile godere di un superbo panorama con sullo sfondo l'arcipelago delle Isole Eolie e i due vulcani attivi, l'Etna e lo Stromboli. La strada costiera attraversa le pendici ricoperte dalla macchia mediterranea. Tutto il territorio è, inoltre, caratterizzato da terrazzamenti coltivati a vigneti a strapiombo sul mare. Le spiagge e i litorali sono a tratti rocciosi, a tratti sabbiosi e a tratti ghiaiosi, dominati dai crinali dell'Aspromonte e del Monte Poro, che precipitano direttamente in mare. I fondali marini sono simili a quelli tropicali e presentano un ecosistema ancora integro. Recentemente sono state scoperte, in prossimità delle coste di Scilla, rare colonie di corallo nero mentre in quelle di Palmi, nei pressi di capo Barbi, altrettante colonie di corallo bianco.


Di fondamentale importanza è la tradizionale pesca del pesce spada, simbolo della costa reggina ma soprattutto della Costa Viola. Qui, infatti, da secoli si pratica la pesca con le tradizionali imbarcazioni costituite da alte torri per l'avvistamento e l'inseguimento dei grandi pesci e di lunghe passerelle che permettono di catturare il pesce spada.

Per arrivare a destinazione percorriamo un tratto  del nuovo tracciato dell'autostrada A3 Salerno - Reggio Calabria; passiamo sul viadotto Favazzina, che  è una struttura strallata di 440 metri con campata centrale di 220 metri e con due antenne di quasi 100 metri.

Scilla è situato sull'omonima punta, che sorge 22 km a nord di Reggio: il Promontorio Scillèo, proteso sullo Stretto di Messina, che anticamente veniva denominato Stretto di Scilla. Le origini sono antichissime, confuse tra mitologia, storia, leggenda.

Scilla veniva anticamente chiamato in greco antico Skylla o Skyllaion, in latino Scylla, dunque il nome di Scilla potrebbe probabilmente significare "scoglio".
Secondo la mitologia greca, Scilla era una ninfa marina che per gelosia fu trasformata da Circe in un mostro, come è raccontato nell'Odissea e nelle Metamorfosi di Ovidio.

Secondo Palifato, Polibio e Strabone il primo nucleo abitato di Scilla risalirebbe ai tempi della guerra di Troia. In questa epoca nella penisola italica ci furono migrazioni di popolazioni ibero-liguri provenienti dal mare e dirette verso sud. Trattandosi di popoli di pescatori, presumibilmente elessero come area d'insediamento il sito adiacente la rupe centrale di Scilla, dove la presenza dei numerosissimi scogli agevolava la pratica della pesca, consentendo al tempo stesso la costruzione delle rudimentali capanne.

In mancanza di precedenti testimonianze attendibili circa le epoche più remote, si è propensi a far risalire la prima fortificazione di Scilla agli inizi del V secolo a.C., allorquando durante la tirannide di Anassilao la città di Reggio raggiunse una notevole importanza, che le permise di ostacolare per oltre due secoli l'ascesa di potenze rivali.
Per i pirati Tirreni gli innumerevoli scogli e l'alta rocca caratterizzanti la costa scillese costituivano un rifugio naturale ideale, luogo inaccessibile da cui dirigere redditizie scorrerie lungo le coste, nascondiglio sicuro per il bottino e baluardo di difesa contro eventuali controffensive nemiche. Presumibilmente sorsero quindi contrasti e lotte tra i primi marinai e pescatori che avevano occupato la zona e i pirati Tirreni, alla cui bellicosità forse si deve attribuire la causa dell'arretramento dal mare dei pescatori, ostacolati dai pirati nella pratica su cui basavano il proprio sostentamento. Ciò spiegherebbe il trasferimento di residenza verso la zona alta di Scilla - l'attuale quartiere di San Giorgio - attuato da queste genti marinare, che si trasformano in agricoltori e cacciatori e mantengono poi attive le nuove pratiche fino all'età moderna.
Sulla lunga e travagliata storia di Scilla si possono trovare molte informazioni in rete.


Uno sperone di roccia a picco sul Tirreno divide Scilla in due grandi quartieri: Marina Grande è la parte turistica e Chianalea, adagiata sul mare, antico borgo di pescatori. In cima alla rupe duecentesca, che domina le insenature di Marina grande e Chianalea, si erge il Castello dei Ruffo, costruito nel XVI secolo dalla casata dei Ruffo,oggi nelle forme di palazzo baronale adibito ad ostello per la gioventù e a faro. 

Da fonti storiche risulta che il sito dove sorge il castello fu utilizzato come postazione strategica già dagli Etruschi (VII secolo a.C), per divenire poi oggetto di opere di fortificazione durante il periodo magnogreco quando, come riferisce Strabone, venne munito di strutture difensive da Anassila, tiranno di Reggio, in seguito ampliate nel periodo romano. Le prime strutture murarie rintracciate dagli scavi risalgono all’impianto del monastero di San Pancrazio, edificato intorno alla metà del IX secolo dai Padri Basiliani per difendersi dalle incursioni dei Saraceni provenienti dalla Sicilia.
Nel 1060, con l'assedio di Reggio da parte dei normanni Ruggero e Roberto il Guiscardo, anche il castello di Scilla resistette a lungo e si arrese solo per fame. Roberto il Guiscardo quindi attestò sulla rocca un presidio militare. Nel 1255, per ordine di Manfredi, Pietro Ruffo fortificò ulteriormente le rocca assegnandovi un presidio, mentre nel XIII secolo il castello fu ulteriormente fortificato da Carlo I d'Angiò.

Nel 1469 Re Ferdinando I di Napoli concesse il castello a Gutierre De Nava, un cavaliere castigliano vicino alla corte aragonese e originario della Germania, che fece eseguire nuovi interventi di ampliamento e di restauro. Nel 1533 il castello venne acquistato da Paolo Ruffo che decise di restaurarne il palazzo baronale poiché nel 1578 la famiglia Ruffo ottenne il titolo di principe.

Il forte terremoto del 1783, che danneggiò tutta l'area dello stretto e parte della Calabria meridionale, non risparmiò il castello di Scilla che però, divenuto proprietà demaniale dello Stato nel 1808, fu restaurato nel 1810.
Il terribile sisma del 1908 distrusse gran parte dell'antica struttura del castello.



Nel 1913 la parte più superiore venne chiusa per ospitare il faro, come riferimento alle navi che attraversavano lo stretto. Si tratta di una piccola torre cilindrica, alta 6 metri, dipinta di bianco con base nera. In cima si trova la lanterna circondata dalla "galleria", una balconata percorribile per la manutenzione; è tuttora attivo ed è gestito dalla Marina Militare.

L'ingresso è preceduto dal ponte che conduce all'edificio il cui ambiente principale è caratterizzato dal portale di pietra costruito con arco a sesto acuto, 




su cui campeggiano lo stemma nobiliare dei Ruffo e la lapide che celebra il restauro del castello eseguito nel XVI secolo.
Nell'ultimo trentennio il castello è stato utilizzato come ostello della gioventù, ma oggi, dopo un nuovo restauro, è stato destinato a diventare un centro culturale: ospita infatti il Centro regionale per il recupero dei centri storici calabresi ed è sede di mostre e convegni.




 
Superato l'androne a volta ribassata si apre un cortile, e da qui, percorrendo il grande scalone, si giunge all'ingresso della residenza. Questa è dotata di ampi saloni, essendo stata di proprietà di una delle più ricche e importanti casate del regno di Napoli. In una delle sale espositive abbiamo ammirato una tipica imbarcazione, il luntre, l'unico esemplare oggi rimasto, degli anni 40, per la cattura del pesce-spada, oltre a vari altri modellini.

Il pesce-spada, secondo la leggenda l’unica creatura incapace di provare orrore per la mostruosità di Scilla, durante la stagione degli amori raggiungeva in grossi branchi questo tratto di mare proprio per corteggiarla. Da qui l’abbondanza di pesce-spada lungo lo Stretto.

Il luntre era un’imbarcazione a remi con la quale il pesce veniva inseguito e, una volta catturato e issato a bordo, sottoposto a un rituale tuttora osservato. Accanto all’occhio destro del pesce il pescatore traccia 4 volte con le unghie una croce. Oggi nel porto di Chianalea è sostituito dalla più moderna “Passerella”, su cui sta il fiocinatore che, avvistato il pesce-spada scaglia l’arpione.

Uscendo dal castello incontriamo la Chiesa Madre Santissima Immacolata che è detta anche Chiesa di "Mesa" ovvero mezzo perché si trova all'incrocio delle strade che conducono ai tre quartieri principali del paese. L'attuale edificio è stato costruito su una preesistente chiesa dedicata a Santa Maria Cattolica, documentata già nel 1310 e di cui rimane soltanto una tela raffigurante la Madonna della Porta, e parte dell'antico convento Basiliano di  San Pancrazio. Più volte ampliata e gravemente danneggiata nel XVI sec. da un terremoto, fu ricostruita in seguito ad una donazione della principessa Giovanna Ruffo. Stessa sorte subì anche nel XVIII secolo, con un sisma che fece crollare l'intera volta centrale e nel 1908, quando fu abbattuta la parte posteriore e l'interno colonnato nel lato ovest. Passarono parecchi anni prima che la chiesa venisse ricostruita; i lavori vennero ultimati completamente nel 1958. All’esterno la chiesa presenta un pronao con un colonnato marmoreo formato da sei colonne ioniche, presenti anche nelle preesistenti costruzioni, e la statua dell’Immacolata (XVII secolo).


Di fronte alla chiesa vediamo la fontana raffigurante la ninfa Scilla. 


Chianalea è il borgo marinaro più a nord del territorio di Scilla. Si tratta di un antico borgo dove il mare quando si infrange su di esse entra nelle viuzze; per questo viene chiamata “Piccola Venezia”. Le case sono spesso unite fra loro da arcate o separate l’una dall’altra solo da strette vie che scendono fino al mare. Una serie di scogli sembra proteggere le case più esposte in inverno alla furia del mare.

La via principale, percorribile solamente a piedi, ha inizio dal porto e segue parallelamente la costa. Su questa stretta strada si trovano gli ingressi delle antiche abitazioni, rimaneggiate e in discreto stato di conservazione. 

Uno scorcio suggestivo, catturato al volo, di un antico galeone spagnolo trasformato in ristorante (così mi hanno detto i proprietari che invitavano i passanti a entrare).




Tra le stradine strette e tortuose si possono ammirare anche molte antiche fontane: la “fontana Ruffo”, situata in via Annunziata, è di epoca incerta. Probabilmente fu costruita nel XVI sec per volere della famiglia Ruffo della quale porta inciso lo stemma.












 
La fontana Chianalello 

















La fontana della sirenetta








 
e molte altre. Al centro del quartiere, dove si congiungono le tre strade più importanti e cioè via Zagari, via Annunziata e via Grotte, c'è il quattrocentesco Palazzo Scategna attualmente sede di un Hotel di fama internazionale.




Marina Grande, nei tempi passati approdo della flotta scillese, era il quartiere commerciale. Scilla, città marittima, manteneva rapporti commerciali con Venezia, Trieste e altre località marinare; dalla spiaggia delle Sirene di Marina Grande partivano le "feluche", caratteristiche imbarcazioni dalla facile manovrabilità. Ai giorni nostri il rione è il centro mondano di Scilla, il cuore pulsante di tutta l’economia che fa perno sul turismo, ricco di caratteristici locali, con il suo arenile di oltre 800 metri, il limpido mare che nei mesi estivi mantiene una temperatura quasi sempre costante e gradevole. L’insenatura che forma il pittoresco golfo è protetta dalle colline che la circondano.

San Giorgio è il quartiere residenziale, dove si concentra la maggior parte degli scillesi. E’ la zona alta del paese incastonata fra mare e montagna. La piazza principale è quella di San Rocco, intitolata al santo protettore degli scillesi, che accoglie il Municipio e tutta la vita politica del borgo. 


Ancora incantati da questo borgo, uno dei più belli d'Italia, passando sotto la rupe del castello Ruffo e oltrepassando il sottopassaggio che ha grandi aperture con vista mare, raggiungiamo il pulmann e ci dirigiamo verso Reggio.











 
Reggio è sulla punta dello "Stivale", alle pendici dell'Aspromonte e al centro del Mediterraneo (dove si colloca l'incontro di Odisseo con i mostri mitologici Scilla e Cariddi, descritti da Omero) e ha un suggestivo panorama sulla Sicilia e sulle Isole Eolie. E' attraversata dal 38º parallelo che taglia altre cinque città (Seul, Smirne, Atene, San Francisco, Cordova). 

L'antica Rhegion fu, dopo Cuma, la più antica colonia greca dell'Italia meridionale fondata (intorno al 730 a.C.) da genti calcidesi e messeniche. Il sito dove fu fondata la città era già abitato da indigeni (gli Ausoni ricordati da Diodoro Siculo e gli Enotri citati da Dionigi di Alicarnasso e da Strabone), la cui presenza è attestata dal rinvenimento di tombe in loco. Reggio fu una tra le più importanti città della Magna Grecia raggiungendo nel V secolo a.C. una notevole importanza politica ed economica sotto il governo di Anassila. La polis raggiunse dunque un grande pregio artistico-culturale grazie alla sua scuola filosofica pitagorica ed alle sue scuole di scultura e di poesia nelle quali si formeranno artisti come Pitagora da Reggio e Ibico.
Nella foto, resti di mura greche sul lungomare di Reggio.

Città autonoma nelle istituzioni governative, Rhegium fu importante alleata e socia navalis di Roma. Era inoltre il capolinea della Via Capua-Rhegium, nota anche come Via Popilia o Via Annia, costruita nel 132 a.C., che la collegava a Capua in Campania e attraversava tutto il versante tirrenico meridionale della penisola.

In epoca bizantina Reggio divenne Metropoli dei possedimenti bizantini dell'Italia Meridionale, Capitale del Ducato di Calabria e perno del rito greco in Italia. Conobbe una certa prosperità fino all'VIII secolo, quando assurse a sede episcopale. Molti furono i popoli che si avvicendarono a Reggio in epoca alto-medievale, a testimonianza dell'interesse strategico della città.


Nel Cinquecento le continue incursioni barbariche, le epidemie e l'oppressivo fiscalismo della dominazione spagnola portarono Reggio ad una decadenza che culminò con il disastroso terremoto del 1783. Il sisma infatti danneggiò gravemente Reggio e tutta la Calabria meridionale. All'alba del 21 agosto 1860 con la celebre Battaglia di Piazza Duomo, Giuseppe Garibaldi conquistò il Regno delle Due Sicilie che consegnò al Re Vittorio Emanuele II. 




 
Il 28 dicembre 1908 Reggio subì le conseguenze di uno degli eventi più catastrofici del XX secolo: il terremoto del 1908 che raggiunse magnitudo 7,1 e che danneggiò gravemente la città. Molte delle opere d'arte e degli edifici realizzati nei secoli sono andati perduti, tuttavia la città conserva esempi monumentali di pregio e antiche vestigia che testimoniano la sua storia plurimillenaria. Il centro è in prevalenza caratterizzato dall'architettura dei primi decenni del Novecento, e presenta interessanti esempi di stile liberty, neogotico (Palazzo Zerbi), neoclassico (il Teatro Comunale Francesco Cilea), eclettico (Palazzo Mazzitelli) e di quello cosiddetto fascista (la Stazione Ferroviaria, il Museo Nazionale della Magna Grecia, opera di Piacentini, l'ex Caserma dei Giovani Fascisti).
Nella foto, Palazzo Zerbi e alcuni alberi del lungomare.


Il Castello Aragonese nasce come kastron in epoca bizantina e fu oggetto di vari rifacimenti in epoche successive. Formato da torri cilindriche e da bastioni rappresentava un centro fortificato destinato alle guarnigioni che dovevano proteggere il porto e la Calabria. Dal 1956 ospita l'osservatorio dell’Istituto nazionale di geofisica.

Il pulmann si ferma nei pressi della stazione Lido, uno dei principali scali ferroviari della città, fermata successiva alla stazione Centrale. In tempi recenti è stata oggetto di un profondo ammodernamento: la stazione è ad oggi sotterranea, l'ingresso principale è situato in Piazza Indipendenza ma esiste un ingresso secondario rivolto al Lungomare Falcomatà. 

Ci accoglie all'arrivo Cesare, il noto chiosco verde del lungomare, che proprio quest'anno, a luglio, ha vinto con grande distacco il concorso per il miglior gelato italiano, suscitando consensi non solo dai reggini, ma anche dai tanti turisti e vacanzieri. Personalmente ritengo che nulla al mondo possa superare il meraviglioso tartufo di Pizzo, ma i gusti son gusti...
La città è anche sede di un Museo Nazionale che, dopo quello di Berlino, è il più grande e importante museo che conserva i reperti della Magna Grecia. Ha sede in un moderno palazzo che sorge nel centro della città, all’estremo nord del Corso Garibaldi, in Piazza De Nava. L’esterno del palazzo è ornato da rilievi di medaglioni che riproducono alcune delle 5000 monete raccolte nella preziosa Numismatica del Museo stesso.

Le collezioni archeologiche del museo comprendono materiali di scavo da siti della Calabria, della Basilicata, e della Sicilia, che illustrano l'arte e la storia della Magna Grecia dall'VIII secolo a.C., e materiale dei periodi precedenti (preistoria e protostoria) e successivi (periodi romano e bizantino). Dopo l'inaugurazione furono aperte al pubblico alcune sale del pianterreno, oggi il Museo occupa tutto lo spazio disponibile nell'edificio su quattro livelli (tre piani e un piano seminterrato). 



All'ingresso del museo c'è una scultura in marmo, un Kouros, raffigurante una figura maschile identificabile con un giovanissimo atleta vincitore (ma l'interpretazione è incerta) e datata verso il VI - V sec. a. C. Il volto ha caratteri somatici rifiniti con grandi occhi a mandorla e sorriso arcaico. (Il "sorriso arcaico" è una caratteristica della scultura greca antica di epoca arcaica, che consiste nella caratterizzazione dei volti con le labbra incurvate in su, in forma di sorriso.) La capigliatura a calotta, con riccioli a lumachella, incorniciata sui lati da boccoli a spirale, mostra tracce di colore rosso, residuo della preparazione per la doratura.

 
Andiamo subito a metterci in coda per entrare nella grande sala, tenuta a clima controllato con l'umidità al 40-50% e la temperatura compresa tra i 21 e i 23 °C. che ospita i due famosissimi Bronzi di Riace. L'entrata è consentita a gruppi non troppo numerosi e per una decina di minuti; vi si accede dopo aver sostato in una saletta apposita di "decontaminazione". Per le statue sono state create delle basi antisismiche, realizzate in marmo di Carrara, che assicurano il massimo isolamento nei confronti delle sollecitazioni dei terremoti nelle direzioni orizzontali e verticale. 

Le due statue furono rinvenute, in maniera fortuita, il 16 agosto 1972 nelle acque di Riace Marina in provincia di Reggio Calabria, a 200 m dalla costa e a una profondità di 8 m. Sono considerate tra i capolavori scultorei più significativi dell'arte greca, e tra le testimonianze dirette dei grandi maestri scultori dell'età classica. Le ipotesi sulla provenienza e sugli autori delle statue sono diverse, ma non esistono ancora elementi che permettano di attribuire con certezza le opere ad uno specifico scultore.
Dopo un primo intervento conservativo operato presso l’allora Soprintendenza alle Antichità di Reggio Calabria, le statue furono sottoposte a restauro strutturale complessivo presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze (1975-1980). Dopo essere state in mostra al Museo Archeologico di Firenze (1980-1981) e ai Musei Capitolini di Roma (1981), sono, dal 1981, in esposizione permanentemente presso il Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria, dove sono state sottoposte a un ulteriore intervento di restauro tra il 1992 e il 1995.

Ma, per quanto siano veramente splendidi, non ci sono solo i Bronzi al museo. La guida ci illustra altri reperti importanti, due teste bronzee provenienti dal relitto di Porticello (presso Villa San Giovanni). Una di esse è nota come "Testa di Basilea", poiché venne acquistata dall’Antikenmuseum della città elvetica; successivamente (1986) venne restituita al governo italiano, in quanto risultata oggetto di un trafugamento illegale da parte di clandestini all’epoca della scoperta del relitto. I suoi tratti, idealizzati, ascrivibili forse a una figura divina o un personaggio regale, fanno supporre che l’opera sia stata realizzata sotto l’influsso di correnti artistiche attiche o peloponnesiache e sia cronologicamente inquadrabile nello stile tardo-severo (metà del V sec. a.C. circa). 


L'altra, nota come la testa del "Filosofo di Porticello", fu rinvenuta nelle acque di tale località nello Stretto di Messina (assieme ad altri frammenti ad essa riferibili: una mano e i due piedi) nel 1969. Essa deve il suo nome ai tratti fisionomici che rimandano allo stereotipo dell’intellettuale nell’arte antica, quali la barba e la fronte corrugata. Per la presenza di particolari fortemente connotanti, la testa è da considerarsi un vero e proprio ritratto, uno dei primi dell’arte greca, se si colloca la testa nell’ambito cronologico del relitto, attorno alla metà del V sec. a.C. o nei decenni immediatamente successivi.






Saliamo al secondo piano, dove la sezione ospita la ricostruzione di vari ambienti e raccoglie materiali calabresi risalenti alla preistoria e alla protostoria del territorio, che sono il risultato di scavi stratificati presentati in ordine cronologico attraverso la documentazione offerta dai vari siti, ed esposti nella lunga sala dedicata. Gli oggetti più antichi, del paleolitico inferiore, risalgono a 600.000 anni fa, e sono "choppers" (ciottoli scheggiati). 

Vediamo anche la riproduzione (di cui ho parlato nelle pagine precedenti) dell'incisione raffigurante il "Bos primigenius", un bovide risalente a circa a 11.000 anni fa (parte finale del paleolitico superiore), scoperta nel 1961 su di un masso - insieme ad altre due figure più piccole e insieme a molti segni lineari - presso il Riparo del Romito.
Accanto all'incisione è stata ricostruita una tomba in cui si vedono gli scheletri di due individui che furono inumati contemporaneamente, affiancati e parzialmente sovrapposti, in una posizione inconsueta. 

L'individuo di sesso femminile sottostante, infatti, passa il braccio sinistro intorno al collo, come in un gesto d'affetto, al giovane uomo parzialmente soprastante, deforme per rachitismo.

Dettaglio degli scheletri. 







Fiore all'occhiello del Museo Nazionale di Reggio è la vastissima collezione che riguarda le colonie della Magna Grecia, ripartita su due piani dell'edificio per la grande quantità di reperti. Nelle prime due sale sono esposti oggetti provenienti dalle tombe della necropoli arcaica e greca di contrada Lucifero, utilizzata dal VII al VI secolo a.C., che diede la possibilità d'indagare circa 1.700 tombe, negli anni dal 1910 al 1915. Fra i vari reperti si trovano: piccoli altari in terracotta per uso domestico, specchi in bronzo, oggetti usati per l'ornamento femminile o legati alla cosmesi (unguentari e balsamari), un cocchio in bronzo in miniatura, forse un giocattolo, perché trovato nella tomba di un giovane.

Bella anche la vetrina contenente spade dei Bretti, antica popolazione della Calabria.



 
Una sala è dedicata al materiale proveniente dalla contrada Marasà (zona all'interno delle antiche mura) dove, negli anni 1889-1890, fu portato alla luce il basamento di un tempio in stile ionico (480-470 a.C.), che risultò poi sovrapposto a due altri templi più antichi, costruiti in stile dorico. Durante lo scavo furono trovate le sculture del gruppo dei Dioscuri (420-380 a.C.), uno dei reperti di maggiori dimensioni e di sicuro effetto del Museo. Le sculture sono infatti collocate nella stessa posizione in cui si ritiene si trovassero sistemate sul frontone del tempio. Realizzate in marmo dell'isola di Paros, le statue rappresentano due giovani mentre scendono da cavallo con l'aiuto di Tritoni.

Verso il 560 a.C.-550 a.C. Locri Epizefiri ebbe alleata Reggio nella vittoriosa battaglia avvenuta al fiume Sagra che fermò la volontà espansionistica verso sud di Crotone. Secondo la leggenda, i 15.000 uomini dell'alleanza locrese-reggina sbaragliarono ben 130.000 crotoniati, e Zeus avrebbe sorvolato la battaglia sotto forma di aquila, mentre i suoi figli (i Dioscuri) sarebbero apparsi a cavallo prendendovi parte. In seguito a tale vittoria nelle due poleis italiote di Reggio e Locri Epizefiri iniziò ad essere praticato il culto dei Dioscuri; in particolare presso gli scavi del tempio ionico di "Marasà" a Locri Epizefiri sono state rinvenute due statue, gli acroteri in marmo, che potrebbero raffigurare i gemelli figli di Zeus.

I Pinakes (è stato mantenuto l'uso della lingua greca per denominarli) sono quadretti in terracotta prodotti soprattutto Locri e a Reggio dal 490 a.C. al 450 a.C., con raffigurazioni in bassorilievo che per devozione venivano offerti a Persefone, la dea rapita dal dio dell'oltretomba Hades, il quale la portò negli inferi per sposarla ancora fanciulla.

Si può notare come tutti i quadretti siano stati ricomposti utilizzando vari pezzi trovati dello stesso Pinax e che assolutamente nessuno di questi è intero. Ciò è dovuto al fatto che tutte le offerte divenute numerose ed ingombranti, dopo essere state ridotte in pezzi venivano accantonate in fosse di deposito nelle adiacenze del santuario dagli addetti al culto, che attuavano un rito tradizionale consacrandole alla divinità e impedendone il riutilizzo, altrimenti sacrilego.

Interessanti sono anche le lastre in terracotta dipinta della decorazione del lato frontale del tempio detto di casa Marafioti, con le decorazioni e gli scarichi delle grondaie a forma di testa di leone e fiori di loto.

Qui mi fermo, anche se il mio libretto di appunti sarebbe ancora bello pieno di note per chi mi legge, ma la rete a questo proposito fornisce tantissime informazioni, ben più dettagliate delle mie.


Corso Giuseppe Garibaldi, chiamato semplicemente il corso, è la principale arteria del centro storico  che collega il versante nord della città, piazza De Nava, ai quartieri meridionali, introdotti da piazza Garibaldi. Come Corso Vittorio è una parallela al lungomare e da esso si diramano numerose vie che lo intersecano perpendicolarmente e conducono verso il mare. L'intera arteria, per sua gran parte pedonalizzata, misura oltre due chilometri e riveste una notevole importanza economico commerciale per la presenza dei negozi più esclusivi della città. 

 
Corso Vittorio Emanuele III, comunemente noto come via Marina Alta, è un'importante arteria del centro storico di Reggio Calabria. La via è uno dei quattro assi viari che costituiscono il lungomare della città e sulla quale hanno affaccio i palazzi novecenteschi. Si sviluppa subito a monte del lungomare Matteotti, da piazza Indipendenza (lato nord) alla villa comunale (lato sud), per circa 1700 metri.






Il lungomare Falcomatà, spesso chiamato "il più bel chilometro d'Italia", di gran lunga più esteso di un chilometro (circa 1,7 km da piazza Indipendenza a piazza Garibaldi), occupa l'area costiera compresa tra il porto ed il fortino a Mare (l'antico Castelnuovo nei pressi di punta Calamizzi).
Dopo il terremoto del 1908 il progetto del nuovo piano regolatore della città includeva la sistemazione del nuovo lungomare, che venne così ricostruito molto più ampio grazie alle sue tre zone costituite dalla via Marina bassa con l'affaccio sul panorama dello stretto di Messina;


la striscia botanica, ricca di piante tropicali e sub-tropicali ultracentenarie. Tra esse si trovano specie come la palma delle Canarie, il Ficus Magnolioide, la Washingtonia, la Erythrina crista-galli, il Pittosporum tobira, la palma nana, il Citrus sinensis; 








via Marina alta con i suoi edifici in stile liberty, (molti risalenti all'ultima ricostruzione della città) tra i quali spiccano palazzo Zani, oggi sede della facoltà di giurisprudenza, (nella foto), palazzo Spinelli e villa Genoese Zerbi.

Tra il mare e la passeggiata con il parapetto e i lampioni liberty, sorge l'arena dello Stretto, teatro in stile tipicamente greco che ospita eventi culturali soprattutto nei mesi estivi; sul molo di Porto Salvo antistante l'arena sorge 

il Cippo Marmoreo, inaugurato nel maggio 1932, monumento a Vittorio Emanuele III, che qui sbarcò toccando il suolo italiano per la prima volta da re il 31 luglio 1900. La statua in bronzo al centro  raffigura Athena Promachos, la dea Atena combattente, che sta a difesa della città di Reggio.

Sul viale si trova anche il monumento ai Caduti di tutte le guerre (o monumento ai Caduti di Reggio),  inaugurato nel maggio del 1930 alla presenza del re Vittorio Emanuele III. È composto da una colonna rostrata, con alla sommità una statua in bronzo raffigurante la vittoria alata e recante nella mano destra una spada ed in quella sinistra la palma del martirio. Alla base, due statue in bronzo rappresentano un antico guerriero Bruzio che regge in braccio un vistoso scudo, e un fante armato di fucile e di bomba a mano, posto sopra una bocca di cannone. 








Sul lungomare è stata realizzata un'originale scultura lignea. Molto complesso il lavoro dell’artista che, dopo aver osservato e fotografato più volte l’imponente tronco di un albero secolare di magnolia, abbattuto a causa di una malattia, condizionato dalle dimensioni del tronco con i suoi 2 metri e mezzo di base, tre metri di altezza e un metro e mezzo di spessore,  ha disegnato vari bozzetti prima di creare un’opera creativa e originale. “Le Sirene dello Stretto” rievoca i luoghi e la memoria della mitologia rappresentando sette sirene figlie del dio fluviale Acheleo e la figura di Polifemo, figlio del dio del mare Nettuno. E’ stata inaugurata il 14 febbraio 2006.


Il sito più noto riguardo alle mura reggine è quello delle "Mura Greche", costituito da due file parallele di grossi blocchi di arenaria tenera e sorge sul Lungomare nei pressi di Palazzo Zani. Questo tratto di mura risalirebbe al IV secolo a.C. e farebbe parte della rifortificazione operata da Dionisio II; la città infatti era stata conquistata dal padre Dionisio I, che vi si stabilì. 
Dagli scavi effettuati durante la sistemazione del lungomare successiva al terremoto del 1908, sono venuti alla luce anche i ruderi di uno degli otto impianti termali presenti probabilmente nei primi secoli d.C., periodo in cui Regium prosperava come municipium romano. Data la dimensione delle vasche e degli ambienti, le terme potrebbero essere state piuttosto dei "bagni", stabilimenti gestiti da privati, anche se una parte del perimetro appare continuare al di sotto della strada esistente e potrebbe avere contenuto altri ambienti di servizio, quali biblioteche o palestre come spesso si rinviene in altri siti in Europa.


La stanza-ambiente centrale, decorata con un suggestivo mosaico ad elementi geometrici in tessere bianche e nere, funge da collegamento tra gli altri ambienti. Si raggiunge  da diversi ingressi, che fanno ipotizzare come l'ingresso principale delle terme potesse essere dal lato mare, come dal lato superiore, vicino all'area del foro. 
La Basilica Cattedrale Metropolitana di Maria Santissima Assunta in Cielo è il più grande edificio religioso della Calabria; sorge nel centro storico della città, dove mostra il suo prospetto principale sull'ampia Piazza del Duomo.
Le sue origini sono da ricondurre agli inizi del II millennio quando, con l'invasione normanna dell'Italia meridionale, Reggio subì un processo di "latinizzazione" e progressivo abbandono del culto greco-bizantino di cui era il centro. La cattedrale originaria era probabilmente un edificio gotico a cinque navate.

Più volte danneggiata e restaurata, un nuovo evento catastrofico quale fu il terremoto del 1908, provocò alla chiesa notevoli danni; ne conseguì la decisione di ricostruire integralmente l'edificio religioso, adeguandosi al nuovo piano di ricostruzione della città prevedendo l'uso di materiali e accorgimenti tecnici antisismici: si progettò il nuovo edificio nel 1917 definendolo di stile neo-romanico.


La Cattedrale ripropone quindi oggi un'architettura dallo stile eclettico-liberty (largamente diffuso in città durante l'ultima ricostruzione). Il prospetto principale è diviso in tre parti con quattro torri traforate di forma ottagonale sormontate da croci. La parte centrale della facciata presenta una trifora sormontata da un rosone racchiusi da una cornice decorata a motivi floreali.









Sulla scalinata che conduce all'ampia e imponente facciata, sopraelevata insieme all'edificio rispetto alla prospiciente piazza, sorgono le sontuose statue di San Paolo, che secondo la leggenda convertì i reggini al cristianesimo,




e di Santo Stefano di Nicea, primo vescovo della città. Le statue furono scolpite nel 1928 da Francesco Jerace e collocate sul sagrato nel 1934. 







All'ingresso si trovano i tre portali in bronzo: il portale centrale illustra le scene di vita della Madonna. La porta d'ingresso di sinistra illustra episodi che narrano la storia della devozione di Reggio alla Madonna della Consolazione e quella di destra è dedicata a San Paolo e raffigura episodi dell'apostolato di Paolo di Tarso cui si legano le origini della chiesa reggina.

L'interno, ampio e luminoso per la presenza di grandi vetrate policrome istoriate, ha un imponente impianto basilicale a tre navate interrotte da tre transetti e divise da file di colonne marmoree con basi lavorate a campana. A ogni incrocio delle travi delle capriate scoperte è dipinta una svastica, per un totale di circa duecento croci uncinate, che nulla hanno a che vedere con il nazismo, perché sono state dipinte nel 1928; esse simboleggiano il sole e la luce dell'avvento del Cristo, secondo la profezia del Cantico di Zaccaria. 

Nella parte terminale della navata destra si trova, protetto da un'urna di vetro, un tronco di colonna che secondo la tradizione sarebbe quella del Prodigio di San Paolo. Ancora oggi, infatti, conservato in una teca, fra i cimeli più antichi e venerati, vi è un pezzo di colonna su cui vi sono segni evidenti di bruciatura. A San Paolo si deve il primo annuncio del Vangelo e l'impianto sul suolo calabro della prima comunità cristiana, con a capo S. Stefano da Nicea, che l'Apostolo, nel ripartire alla volta di Pozzuoli, lasciò come primo vescovo.
Secondo un’antichissima tradizione l’approdo di Paolo a Reggio, sulla spiaggia antistante il Lungomare all’altezza del molo di Porto Salvo detto “Cippo“, avvenne un giorno in cui vi si svolgeva la festa in onore di Diana Fascelide. Si racconta che San Paolo ottenne di parlare alla pagana e distratta folla festante, lì radunata, fino a che fosse durata la fiamma di una candela posta su una colonna, ma, prodigio meraviglioso, consumatasi la fiamma, iniziò ad ardere la colonna di pietra, che con la sua luce consentì alla predicazione di San Paolo di protrarsi fino al mattino. Dopo questo miracolo la gente si convertì.

Sulla navata di sinistra si aprono otto cappelle, tra le quali nel transetto c'è la "Cappella del Santissimo Sacramento", che costituisce il più significativo monumento d'arte barocco seicentesca della città; per preziosità dei marmi policromi intarsiati a mosaico fiorentino fu dichiarata monumento nazionale nel XIX secolo. La cappella fu danneggiata dal terremoto del 1783 e da quello del 1908 ma, diversamente da quanto accadde per la Cattedrale, che fu demolita e ricostruita ex novo in un luogo differente, si ebbe il buon senso di salvare la Cappella, che fu collocata all'estremità del transetto sinistro del nuovo Duomo. 


Il tempo a nostra disposizione è ormai scaduto. Ci dirigiamo al pulmann e arriviamo all'albergo dove, con nostro grande piacere, scopriamo che ci è stata assegnata nientemeno che una suite, che ci ospiterà due notti.

La cronaca continua in altra pagina.

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