Dal 27 settembre al 4 ottobre 2016 sono andata, con la solita agenzia Partiti e contenti, a visitare la Calabria.
27 settebre: partenza dalla Valsusa, Altomonte, Cosenza.
La Calabria è una regione dell'Italia meridionale con capoluogo Catanzaro; confina a nord con la Basilicata e costituisce la punta dello stivale. E' bagnata a ovest dal mar Tirreno, a est dal mar Ionio, a nord-est dal golfo di Taranto e a sud-ovest è separata dalla Sicilia dallo Stretto di Messina, la cui distanza minima tra Capo Peloro in Sicilia e Punta Pezzo in Calabria è di soli 3,2 km, dovuta al legame geologico presente in profondità tra il massiccio dell'Aspromonte e la catena dei Peloritani.
La Calabria ha una superficie prevalentemente collinare, che si estende per il 49,2% del suo territorio. Le pianure coprono il 9% del suo territorio e sono tutte di modesta estensione, la maggiore è la Piana di Sibari. Presenta ampie zone montuose che coprono il 41,8% del suo territorio: a nord il versante meridionale del Massiccio del Pollino al confine con la Basilicata, con le vette più elevate della Calabria, il Monte Serra Dolcedorme 2.267 m e il Monte Pollino 2.248 m che, pur essendo il secondo in altezza, dà il nome all'intero massiccio, cuore dell'omonimo Parco nazionale.
Nel centro-nord la Sila,
un vasto altopiano con foreste di aghifoglie e latifoglie che si
estende a sud fino all'istmo di Catanzaro; la vetta più alta è il Monte Botte Donato (1928 m). Si divide (da nord a sud) in Sila Greca, Sila Grande e Sila Piccola. La Sila è entrata nell'immaginario collettivo per le grandi nevicate, la presenza stabile dei lupi, quella stagionale dei funghi porcini e per i suoi laghi.
A sud infine si erge l'acrocoro dell'Aspromonte
la cui vetta più elevata, il Montalto o monte Cocuzzo raggiunge i
1956 m. Il nome Aspromonte ha due possibili etimologie: oltre al
significato ovvio di "monte aspro" che ne descriverebbe la morfologia, un'altra possibilità è il significato di "Monte Bianco", dal termine grecanico aspro, che appunto significa bianco. Alle sue pendici c'è infatti l'ultima comunità dei parlanti di lingua grecanica, un'antica lingua che deriverebbe dal greco antico o dal greco bizantino, per cui entrambe le due etimologie sono verosimili.
I fiumi della Calabria
non presentano generalmente uno sviluppo significativo a causa della
forma stretta e allungata, della penisola calabrese e a causa della
disposizione dei rilievi montuosi. Fanno eccezione il Crati e il Neto, i fiumi più lunghi, i quali sfociano entrambi nel mar Ionio. Gli altri corsi d'acqua hanno le caratteristiche tipiche delle fiumare in quanto hanno regime torrentizio, scorrono incassati in stretti versanti a monte per poi riversarsi nelle pianure alluvionali in ampi alvei ciottolosi, asciutti per gran parte dell'anno, ma che possono riempirsi repentinamente in occasione di temporali o piogge violente.
Nella foto, il Crati a Cosenza.
Le differenti condizioni climatiche della regione favoriscono una diversa vegetazione da zona a zona. Dal livello del mare fino ai 600 metri predomina la macchia mediterranea con ulivi, lecci e altre piante tipiche del clima mediterraneo. Dai 700 metri fino ai 1000 metri, invece, cresce una vegetazione di transizione: castagni e altre querce hanno la loro dominanza. Dai 1000 metri in su dominano le specie tipiche del clima di montagna,
composte da faggio, abete bianco e pino laricio. Sulle Serre calabresi
il piano montano inizia, in alcuni punti, anche a 800 metri. Da citare è
il famoso "pino loricato" (Pinus heldreichii), simbolo
indiscusso del Parco nazionale del Pollino. Questa antica reliquia vive
solo sul Pollino, mentre fuori dal territorio italiano lo si trova sui
Balcani.
Le prime tracce della presenza dell'uomo in Calabria risalgono al Paleolitico, come testimoniano i ritrovamenti nelle grotte di Praia a Mare e il graffito del Bos primigenius
della Grotta del Romito a Papasidero, una figura di bovide incisa nella
roccia 12.000 anni fa. La riproduzione dell'incisione è conservata nel
museo di Reggio Calabria, come vedremo più avanti.
Durante l'era dei metalli giunsero nuove popolazioni, uno degli insediamenti più importanti risalente a quel periodo è il complesso di Torre Galli nei pressi di Vibo Valentia,
inoltre, nei pressi di Roccella Ionica, sul finire degli anni sessanta,
furono condotti degli scavi che riportarono alla luce una necropoli
risalente all'età del ferro, così come, negli anni cinquanta, in
contrada Ronzo a Calanna a poca distanza dall'abitato si scoprì la necropoli di un villaggio protostorico databile ai secoli XI- X a.c, importanti reperti ritrovati sono conservati a Reggio Calabria nel Museo nazionale della Magna Grecia.
Nella foto, necropoli di Contrada Ronzo a Calanna.
Secondo il mito,
Aschenez, pronipote di Noè, mercante semita ed inventore della barca a
remi, giunse tre generazioni dopo il diluvio universale sulle sponde
dove fu fondata Reggio.
Più tardi, secondo il mito greco, circa 850 anni prima della guerra di Troia, vi sarebbero giunti Enotrio e Peucezio (riportato anche come Paucezio), di stirpe enotria e pelasgica, originari della Siria che, trovando il suolo molto fertile, chiamarono la regione "Ausonia" in ricordo dell'Ausonide, fertile zona della Siria.
Secondo la leggenda Enotrio avrebbe regnato per 71 anni e alla sua morte gli sarebbe succeduto il figlio Italo
("uomo forte e savio" secondo quanto narra Dionigi di Alicarnasso) che
regnò su una popolazione "Italòi" che occupavano la penisola nella zona
situata a sud dell'Istmo di Catanzaro, che oggi sono la province di Catanzaro, Vibo Valentia e Reggio Calabria, dalla quale l'Ausonia avrebbe preso il nuovo nome di "Italia",
come riportano Tucidide ("quella regione fu chiamata Italia da Italo,
re arcade") e Virgilio (Eneide, III). Sappiamo comunque da Dionigi di
Alicarnasso e Diodoro Siculo che gli "Ausoni" (abitanti dell'Ausonia)
erano stanziati nella zona di Reggio già intorno al XVI secolo a.C..
Di fondamentale importanza è lo sbarco dei Greci
sulle coste calabresi, i quali strapparono le terre ai Lucani
(costretti a rifugiarsi nell'entroterra e nella parte settentrionale
della Calabria), e si mescolarono con gli altri popoli autoctoni, dando
vita ad una cultura meticcia, greco-italica, estremamente florida nei secoli successivi. I Greci fondarono fiorenti colonie, così magnificenti da guadagnarsi l'appellativo di Magna Grecia (Grande Grecia), così importanti da superare, in alcuni casi, la stessa madrepatria.
Tra l'VIII ed il IV secolo a.C. infatti fiorivano su tutta la costa numerose ed importanti città della Magna Grecia, come Rhegion, Kroton, Locri Epizephyrii, Metauros e Sybaris, oltre a numerose sub-colonie fondate dalle colonie stesse quali: Kaulon, Hipponion, Medma, Terina e Scolacium.
L'entroterra della Calabria (chiamato in seguito dai Romani "Bruttium"), fu abitato principalmente dai Bruzi
(di temperamento bellicoso, chiamati Brutti o Bretti, strettamente
imparentati coi Lucani) oltre che da genti di origine iberica. Il centro
nevralgico di questo popolo era Consentia, l'attuale Cosenza, la quale venne eletta dalle tribù dei Bruzi, dopo essersi coalizzate in una lega, "capitale" della regione. Fu occupata dai Romani
assieme al resto della Magna Grecia nel 265 a.C., ma durante la seconda
guerra punica si ribellò a Roma per allearsi con Annibale, per poi
ritornare sotto il saldo controllo della repubblica romana dopo la
sconfitta del condottiero cartaginese.
La storia delle poleis magnogreche vide primeggiare politicamente ed economicamente le città di Reggio come padrona dello Stretto di Messina e della Calabria meridionale, di Locri Epizefiri nella parte centrale della regione, e di Crotone
in quella settentrionale, in una storia fatta di alterne alleanze e
conflitti interni tra le tre potenze della regione. Successivamente, con
la pressione delle popolazioni italiche dei Bruzi e dei Lucani (che
conquistarono anche la gran parte delle poleis greche), e con l'avvento
di Roma, la Magna Grecia iniziò il suo declino, dovuto anche ad una continua lotta per il predominio tra le poleis.
Era doveroso
soffermarsi su questa parte ma per quanto riguarda il periodo romano, il
ducato bizantino, le corti Normanne, il periodo angioino e aragonese e
l'era moderna lascio la lettura in rete a chi mi segue. Mi soffermo solo ancora su qualche dettaglio.
L'Aspromonte, regione montana nel sud della Calabria, in provincia di Reggio, fu scenario di una famosa battaglia del Risorgimento, in cui Giuseppe Garibaldi rimase ferito. È tuttora possibile ammirare l'albero cavo in cui secondo la tradizione Garibaldi si sedette per essere curato, nei pressi di Gambarie, vicino a Reggio.
In questo periodo anche a Cosenza ci furono movimenti liberali e patriottici, il più noto è quello del 15 marzo 1844 che si concluse con uno scontro a fuoco nel Largo dell'Intendenza tra i soldati borbonici e 21 patrioti poi condannati a morte, dei quali ne furono giustiziati sei. Da questa rivolta presero spunto i fratelli Attilio ed Emilio Bandiera, veneziani; furono fucilati nel Vallone di Rovito
nei pressi di Cosenza il 25 luglio 1844, dopo un fallito tentativo di
sollevare le popolazioni locali del regno delle Due Sicilie contro il
governo di Ferdinando II in ottica di unificazione nazionale dell'Italia.
In seguito i cosentini parteciparono a molte vicende del Risorgimento, dalle guerre d'indipendenza fino all'impresa dei Mille. Garibaldi fu a Cosenza il 31 agosto del 1860; due mesi dopo, un plebiscito sanzionò l'annessione al Regno d'Italia.
Con il Regno d'Italia costituito nel 1861, la Calabria fu divisa amministrativamente nelle province di Catanzaro, Cosenza e Reggio, rimarcando esattamente le preesistenti province del Regno delle Due Sicilie.
Con il Regno d'Italia costituito nel 1861, la Calabria fu divisa amministrativamente nelle province di Catanzaro, Cosenza e Reggio, rimarcando esattamente le preesistenti province del Regno delle Due Sicilie.
Il nome Calabria designava in origine la regione salentina, ma quando le due penisole dell'Italia meridionale furono unificate dai Bizantini, il nome di Calabria fu usato per identificare anche la regione del Bruzio;
successivamente, con la perdita dei possessi bizantini nel Salento in
favore dei Longobardi, il nome fu utilizzato per designare soltanto l'attuale penisola calabrese, che mantiene tuttora il nome.
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E' arrivato il momento di dedicarci alla gita: l'itinerario
è segnato sulla cartina, anche se non è semplice da leggere, spero che
nel corso della mia chiacchierata diventi più comprensibile. Atterriamo
alle 8,20 a Napoli, dove ci aspetta il pullman che ci porterà a spasso per tutti gli 8 giorni. Andiamo direttamente a pranzo, ad Altomonte.
I borghi più belli d'Italia è un'associazione privata che promuove i piccoli centri abitati
italiani che decidono di associarsi ad essa con una qualifica di
"spiccato interesse storico e artistico". È nata nel marzo 2001, su
impulso della Consulta del Turismo dell'Associazione Nazionale Comuni
Italiani (ANCI), con l'intento di contribuire a salvaguardare,
conservare e rivitalizzare piccoli nuclei, comuni, ma a volte anche
singole frazioni, che, trovandosi al di fuori dei principali circuiti
turistici, rischiano, nonostante il loro grande valore, di essere dimenticati
con conseguente degrado, spopolamento e abbandono. Inizialmente il
gruppo comprendeva un centinaio di borghi, successivamente cresciuti
fino a 258.
L'associazione organizza all'interno dei borghi delle iniziative,
quali festival, mostre, fiere, conferenze e concerti, che mettano in
risalto il patrimonio artistico e architettonico, quello culturale
tradizionale, storico, eno-gastronomico, dialettale, coinvolgendo nelle
manifestazioni gli abitanti e le istanze locali, i comuni, le scuole, le
associazioni culturali, i poeti e i musicisti locali. In Calabria se ne
contano 10, di cui ben 5 in provincia di Cosenza (Aieta, Altomonte, Civita, Fiumefreddo Bruzio e Morano Calabro).
Altomonte è un incantevole centro medioevale incastonato nel cuore della provincia cosentina. Fa parte del Club dei “Borghi più Belli d’Italia”, “Città del Pane”, “Bandiera Verde” e “Città Slow”. Situato a 496 mt.dal livello del mare, con una vista unica sui monti del Pollino, della Sila, e della piana di Sibari. Fu ricordato come Balbia già da Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) per il famoso vino Balbino.
La cittadina si chiamò dapprima Brahall, poi Bragalla, Antifluvius sino al 1343 e infine Altomonte, per volere della regina Giovanna II di Napoli.
Con gli Angioini Altomonte fu un feudo dapprima della potente famiglia dei Sangineto e poi del casato Sanseverino, principi di Bisignano legati ai Ruffo di Calabria. La storia ha lasciato segni importanti, da scoprire in un itinerario che va dal moderno Teatro all’aperto (oggi sede di numerose manifestazioni internazionali)
ai vicoli medievali di spettacolare bellezza
alla chiesa di Santa Maria della Consolazione, uno degli esempi più interessanti di architettura angioina della regione. Fu costruita nel 1336 circa, per volere di Filippo Sangineto, primo conte di Altomonte (e cavaliere di re Roberto d’Angiò), su un precedente edificio normanno dedicato a Santa Maria de' Franchis.
Per la chiesa si parla di “influenza gotica”; in realtà, ad influenzare la costruzione dell’edificio fu la sua “variante cistercense”, caratterizzata da forme semplici e ambienti austeri. Le chiese cistercensi, infatti, si distinguono per una pianta a croce latina dall’abside rettangolare, con presbiterio poco sviluppato. Pochi ornamenti e decorazioni, facciate in pietra a vista
o intonacate a calce. Aspetti costruttivi ed estetici che risentivano
della regola particolarmente severa dell’Ordine monastico fondato da S. Bernardo di Clairvaux. Da qui la somiglianza della chiesa di Altomonte con altri complessi cistercensi
sparsi per la Penisola, come ad esempio, la chiesa dell’Abbazia di
Fossanova nel Lazio. Non mancano, però, motivi di ispirazione romanica
nella stessa struttura.
Entriamo. A lato, resti della primitiva chiesa normanna protetti da una lastra di vetro spessa.
Ulteriori ampliamenti furono realizzati nei primi decenni del XV secolo dai Sanseverino, subentrati ai Sangineto nel possesso della contea. Nel 1443 passò ai Domenicani, che vi fondarono un monastero.
La nuova costruzione, a croce latina con navata unica e due cappelle laterali, ampiamente rimaneggiate in epoca barocca, e abside rettilinea, rispecchia lo schema delle costruzioni angioine napoletane. Presenta un ampio transetto coperto da volte a crociera; il coro è illuminato da due finestre circolari e da una grande trifora. L'altare maggiore è in marmi policromi. Il soffitto dell'alta navata centrale, a capriate, si discosta dalla copertura con volte a crociera presente nelle altre parti della chiesa.
La nuova costruzione, a croce latina con navata unica e due cappelle laterali, ampiamente rimaneggiate in epoca barocca, e abside rettilinea, rispecchia lo schema delle costruzioni angioine napoletane. Presenta un ampio transetto coperto da volte a crociera; il coro è illuminato da due finestre circolari e da una grande trifora. L'altare maggiore è in marmi policromi. Il soffitto dell'alta navata centrale, a capriate, si discosta dalla copertura con volte a crociera presente nelle altre parti della chiesa.
L'interno custodisce l'imponente sepolcro
di Filippo Sangineto collocato nell'abside, di ignoto napoletano
seguace di Tino da Camaino, eretto tra il 1352 e il 1377. Vi sono
raffigurate le tre virtù teologali che sorreggono il
sarcofago: sul fronte e sui lati di esso ci sono statue di santi. Sul
sarcofago c'è la figura giacente del defunto con due angeli reggicortine.
Nel pavimento, davanti all'altare maggiore, la lastra tombale di
Cobella Ruffo (1447), con una figura femminile giacente e ai lati stemmi
dei Ruffo-Sanseverino
e in una parete della cappella una lastra tombale con un guerriero giacente, di ignoto napoletano del sec. XIV.
Ulteriori opere di pregevole fattura sono, sulla parete sinistra, un affresco giottesco che raffigura una santa,
che doveva far parte, con ogni probabilità, di un ciclo più vasto,
impropriamente detto della Madonna della Consolazione, e, addossato alle
pareti del presbiterio,
un bellissimo coro in legno del '600 a 37 stalli.
A sinistra del presbiterio, nella cappella gentilizia dei Principi di Bisignano, l'altare del 1718 è in legno dorato con
pregevoli policromie; nella nicchia, S. Michele è una statua lignea
della stessa epoca; sul fastigio (la parte più alta del coronamento di
un organismo architettonico), lo stemma dei Sanseverino e sul paliotto, lo stemma dei Domenicani.
Nella cappella a destra, che porta alla sacrestia, c'era la grande campana
del trecento (ora nel convento), prezioso cimelio storico, fusa nel
1336 davanti alla porta della chiesa, al cospetto del signore feudale,
dei notabili e della popolazione, da Cosma de Laurino, fonditore reale.
Sulla campana c'è l'iscrizione:
"Nell'anno del Signore 1336 mentre governava il signore nostro Filippo
Sangineto, nel diciannovesimo anno del suo domino, Cosma De Laurino mi
costruì".
Davanti alla cappella di destra abbiamo anche visto le reliquie di Padre Pio,
conservate nella chiesa. Come detto, la chiesa è molto semplice ma
ricca di dettagli: non a caso è scelta da tantissime coppie provenienti
da tutta Italia (circa 300 all'anno), per celebrare il loro matrimonio.
La facciata, affiancata
da una massiccia torre campanaria, mostra alcuni elementi di chiara
derivazione francese, come il rosone e il portale, formato da un arco a
tutto sesto, delimitato superiormente da un sottile architrave decorato che è incassato nel timpano al cui centro è posta una minuscola Madonna. I battenti in legno della porta sono del 1580 e i ricchi intagli sono di artigianato artistico calabrese. Attualmente il portone originale è custodito all'interno della chiesa, nella parete a sinistra vicino all'ingresso.
Di grande effetto è il rosone di oltre sette metri composto da sedici colonnine che è un rifacimento recente; l'originale,
molto deteriorato, è conservato in un locale attiguo alla chiesa. La
sua posizione occupa quasi interamente la zona superiore della
facciata, tutto racchiuso da una cornice.
Visibilmente arretrata rispetto alla facciata, la massiccia torre campanaria, un tempo merlata, presenta nel prospetto principale una grande bifora,
le cui aperture a sesto acuto, opera di artisti locali della prima metà
del XIV sec., in passato erano ornate di trafori a forma di trifoglio.
Attiguo alla chiesa l'ex-convento dei Padri Domenicani, voluto da Cobella Ruffo Sanseverino, in un secondo tempo arricchito di una nuova costruzione a due piani dotata di chiostro, (lungo il cui perimetro si notano i resti
della vecchia chiesa ricostruita), divenne un centro di studi teologici
e scientifici di primo piano nell’Italia meridionale. Tra i suoi
“ospiti”, merita una menzione particolare Tommaso Campanella, che proprio qui, intorno al 1589, scrisse la sua famosa opera Philosophia sensibus demonstrata. Oggi è il Museo Civico di Altomonte.
Il Museo Civico di
Altomonte, nasce nel 1980 ad opera dell'Amministrazione Comunale. Qui
sono raccolte opere provenienti dalla Chiesa di Santa Maria della
Consolazione, dal Complesso Monastico dei Domenicani, dalla Chiesa di
San Francesco di Paola e dalla Chiesa di San Giacomo Apostolo.
Il museo nasce per documentare la storia di Altomonte, con particolare riferimento ai suoi feudatari mecenati e all’ordine religioso dei Domenicani. La collezione esposta, ospitata in alcuni ambienti ricavati dalle antiche celle dei monaci, è divisa in due sezioni: medioevale e domenicana.
La prima conserva la ricca collezione, iniziata nel 1300 dalla famiglia
Sangineto e raccoglie molte opere della scuola di Giotto, che
fanno di Altomonte “un’isola d’arte del trecento toscano in Calabria”; la sezione domenicana presenta opere dal 1400 in poi, tra le quali numerosi paramenti sacri e rari corali di canto gregoriano. Tra le opere più celebri della prima: San Ladislao, tempera su tavola dipinta nel 1326 da Simone Martini;
due tavole di Bernardo Daddi, raffiguranti San Giovanni Battista e Santa Maria Maddalena,
Sant’Agostino e San Giacomo Maggiore;
due formelle alabastrine
della prima metà del XIV secolo importate dalla Francia, commissionate
da Filippo Sangineto, raffiguranti scene tratte dai Vangeli Apocrifi: la
Vita della Vergine, Vita di Cristo e Giudizio Universale;
il Polittico con storie della Passione;
la Madonna delle Pere del calabrese Paolo di Ciacio, allievo di Antonello da Messina;
Nella seconda sezione: la Galleria domenicana composta da olii su tela raffiguranti santi e beati domenicani;
la tavola della Madonna col Bambino (XVI secolo), di Pietro Negroni;
un dipinto in cui la Madonna compare a san Domenico, vestito di bianco e nero. Interessante il cagnolino in basso a destra, che regge una torcia in bocca;
un mobile da farmacia datato 1500, codici miniati e corali di canti gregoriani.
Usciamo su Piazza Tommaso Campanella, dove sorge la chiesa,
e guardiamo la statua dedicata al grande filosofo, teologo, poeta e frate domenicano italiano (Stilo, 5 settembre 1568 – Parigi, 21 maggio 1639).
Dal belvedere dei Sangineto si sovrasta tutta la valle sottostante.
A pochi passi dal convento c'è il Castello Feudale con la Torre dei Pallotta, sul lato ovest del castello, di cui forse una volta era il mastio. La torre rientra nel sistema di fortificazione creato dai normanni
a difesa delle coste calabresi ed è particolarmente interessante perché
si configura nel primo stile architettonico utilizzato dai normanni per
la costruzione di torri di guardia, essendo a forma quadrangolare. In un secondo periodo i normanni iniziarono a utilizzare la forma circolare, secondo lo stile dei saraceni.
La torre venne fatta costruire da Roberto il Guiscardo,
agli inizi della dominazione normanna e subì rimaneggiamenti in epoca
sveva; raggiunge un’altezza di 13 metri. Nel 1269, dopo essere
stata ristrutturata, venne eletta a dimora personale da Guglielmo Pallotta da cui prende il nome.
Nel 1978 la Soprintendenza della Calabria
ha ricostruito il tetto e nel 1988 è stato realizzato il consolidamento
delle strutture portanti. Ora ospita il museo Franco Azzinari, il “Pittore del vento”.
Interessanti gli interni delle finestre realizzati con squarci muniti di due panche inserite nelle murature, tipiche delle costruzioni normanne.
Siamo passati anche da piazza Balbia, che nel medioevo era il balium, il luogo delle pubbliche assemblee, dove sorge la Chiesa di San Giacomo Apostolo, di origine bizantina
con l’ interno di stile barocco; è la più antica di Altomonte, la sua
esistenza sembra certa già nel XII secolo. Proprio attorno alla chiesa
sorse il primo nucleo abitato.
Nella foto, dettaglio del portale.
In Piazza San Francesco si trova l’omonima chiesa,
a croce latina con un'unica navata articolata in due cappelle laterali,
fondata nel 1635, anno in cui avvenne la proclamazione di San Francesco di Paola, patrono
della cittadina, e ultimata nel 1770. La chiesa, caratterizzata da
un campanile di oltre 20 metri, è in stile barocco, con
interni stuccati e dipinti. Annesso alla chiesa vi è il Convento dei Frati Minimi che dal 1979 è la sede del Municipio di Altomonte;
al suo interno conserva, lungo i corridoi e nelle stanze, numerose
opere d'arte e mobilia antica di pregio e si può ammirare un bel
chiostro settecentesco.
Francesco di Paola
(Paola, 27 marzo 1416 – Tours, 2 aprile 1507) è stato un religioso
italiano, proclamato santo da papa Leone X il 4 maggio 1519. Eremita, ha
fondato l'Ordine dei minimi. Fra i fenomeni soprannaturali attribuiti a
Francesco vi è quello della guarigione di un ragazzo affetto da un'incurabile piaga a un braccio, sanata con delle banali erbe comuni; lo sgorgare
miracoloso dell'acqua della "Cucchiarella", che Francesco fece
scaturire colpendo con il bastone una roccia presso il convento di Paola
e molti altri, ma il "miracolo" più famoso è certamente quello noto
come l'attraversamento dello Stretto di Messina sul suo
mantello steso, dopo che il barcaiolo Pietro Coloso si era rifiutato di
traghettare gratuitamente lui ed alcuni seguaci, che ha contribuito a
determinarne la "nomina" a patrono della gente di mare d'Italia.
Il tempo è tiranno e dobbiamo lasciare Altomonte per recarci a Cosenza e infine a Rende, dove pernotteremo.
Nel tragitto verso Cosenza vediamo il Monte Serra Dolcedorme (dicono somigli a una donna dormiente) che con i suoi 2.267 metri di quota è la vetta più alta dell'area del Massiccio del Pollino ed è parte integrante del Parco Nazionale del Pollino; la sua cima è un Sito di Interesse Comunitario.
La guida ci parla di Civita, un comune di 921 abitanti in provincia di Cosenza, nel cuore del Parco nazionale del Pollino, che è tra le storiche comunità albanesi d'Italia (arbëreshët). Detta “il paese tra le rocce” per le immense montagne verdi che circondano la sua vallata, o Il paese del Ponte del Diavolo,
per via del suo antico e caratteristico ponte medievale in pietra, i
suoi paesaggi ricordano i panorami d'origine degli albanesi qui
insediatisi nel XV secolo per scappare dalle persecuzioni turche.
Essa custodisce ancora oggi l'identità e le antiche tradizioni del
popolo albanese, quali la lingua, il rito religioso e i costumi
tradizionali. Fa parte dei Borghi più belli d'Italia e della Bandiera Arancione.
La leggenda del Ponte del Diavolo.
Lungo il corso del Fiume Raganello, ai piedi dell’abitato di Civita, esiste un ponte
delle origini molto antiche, a cui i primi abitanti del luogo, hanno
legato un’antica leggenda popolare, che vuole che lo stesso sia stato
costruito dal diavolo, su richiesta di un abitante del luogo.
Narra la leggenda, che un proprietario terriero dell’area di Civita chiese al diavolo di edificare un ponte sul torrente Raganello, in cambio dell’anima
del primo essere vivente che avesse attraversato il ponte. Il diavolo
senza esitare accettò e in una notte di tempesta edificò il ponte; così,
il mattino seguente si ergeva in tutta la sua maestosità, in un luogo impervio delle Gole del Raganello, congiungendo finalmente le due sponte della valle.
A quel punto il diavolo si appostò in attesa del primo malcapitato che
attraversasse il ponte, per ricevere la sua ricompensa, ma l’uomo astuto
fece attraversare il ponte ad una pecora e quando il diavolo si rese conto di essere stato imbrogliato, maledisse il ponte e cercò di distruggerlo,
ma non vi riuscì in quanto l’aveva costruito in ottimo modo, e fra le
risate dell’uomo, il diavolo precipitò nel torrente lasciando dietro di
sè una nuvola di fumo grigio.
Sulla sinistra vediamo parte del Parco nazionale del Pollino;
condiviso dalle province di Potenza, Matera e Cosenza, con i suoi 192
565 ettari, di cui 88 650 nel versante della Basilicata e 103 915 in
quello della Calabria, è il parco naturale più grande d'Italia. Nel 2015 è divenuto patrimonio dell'UNESCO. L'emblema del parco è il pino loricato
(come già scritto sopra), specie rarissima in Italia, presente in altre
stazioni fitoclimatiche delle montagne balcaniche e greche.
Situato nella zona sud-est della città, sul fiume Crati, il nuovo ponte strallato di Cosenza, dalla firma pretigiosa di Santiago Calatrava, avrà
una lunghezza totale di 140 metri ed un'altezza massima di 82
metri. Il progetto è entrato, ormai, nella fase di costruzione
e i lavori di fabbricazione della struttura in acciaio, affidati
alla società italiana Cimolai, sono già stati completati in
officina al 80%.
Il ponte Mancini collega invece la parte della città nuova con quella vecchia.
Cosenza, il capoluogo di provincia più a nord della Calabria, sorge sui sette colli nella valle del fiume Crati, alla confluenza di quest'ultimo con il Busento. Tale confluenza consente di distinguere l'area dell'insediamento primigenio, posta in alto fino al colle Pancrazio, e la città moderna
sviluppatasi lungo la riva sinistra del Crati. Il nucleo storico,
meglio conosciuto come Cosenza vecchia, rispecchia la comune facies
degli antichi insediamenti collinari, dominata da vicoli erti, stretti e tortuosi lungo i quali si erge un'edificazione fatta da fabbricati minuti e palazzi signorili, arroccati sui colli Pancrazio, Guarassano e Torrevetere, a sinistra del Crati, mentre sono rare le abitazioni su i restanti colli Gramazio, Triglio, Mussano e Venneri.
L'intera area d'insediamento è protetta ad ovest dalla Catena Costiera meridionale (lungo la quale svetta Monte Cocuzzo
di formazione dolomitica calcarea e che molti ritengono invece
erroneamente un vulcano spento) che separa la città dal Mar Tirreno, e
ad est dalla Sila, l'altipiano boscoso in cui vive ancora il lupo,
animale totemico della città stessa e simbolo della locale squadra di
calcio.
Fu fondata dai Bruzi nel IV secolo a.C., col nome di Cosentia (o Consentia) nella Valle del Crati, ritenuta strategica per il controllo dell'area. Il toponimo ricorderebbe il "consenso" che le altre città bruzie espressero nel riconoscerle un ruolo egemonico, che esercitò sino alla conquista da parte dei romani.
Quando il territorio venne sottomesso dai romani, Cosentia divenne un'importante statio lungo la Via Capua-Rhegium. Sotto l'impero di Augusto assunse le caratteristiche di città commerciale che mantenne sino all'età tardo-imperiale. Il re dei Visigoti Alarico, dopo il sacco di Roma del 410, morì a Cosenza e venne sepolto nel letto del fiume Busento.
Trasformata in ducato nel 568, nell'VIII e IX secolo la città fu prima dominio longobardo e poi bizantino, quando assunse il nome di Constantia. Violentemente contesa da saraceni e longobardi, la città fu quasi distrutta e riedificata nel 988. Oppostasi senza troppo successo all'occupazione normanna dell'XI secolo, successivamente divenne ducato degli Svevi, che costruirono sul colle Pancrazio un'imponente fortezza, roccaforte di Federico II di
Svevia, lo "Stupor Mundi", imperatore-magnate profondamente innamorato
della città. In età angioina, sebbene mantenesse una certa autonomia, la
città attraversò un periodo buio, attanagliata dalla
miseria e dal brigantaggio. Solo nel XV secolo fu prescelta da Luigi III
d'Angiò come luogo di residenza: in quegli anni Cosenza poté assurgere a
fulcro del ducato di Calabria.
Nella foto il Castello normanno-svevo sul colle Pancrazio.
Nel periodo aragonese la
città divenne capoluogo della Calabria Citeriore, che comprendeva
grosso modo l'attuale provincia cosentina. In questo periodo nacque l'Accademia Cosentina che, soprattutto sotto la guida di Bernardino Telesio,
divenne una delle principali istituzioni culturali dell'Italia
Meridionale. Il XVI secolo vide un impressionante fioritura umanistica e
segnò per Cosenza una rinascita intellettuale: in quegli anni la città ottenne l'appellativo di "Atene della Calabria".
Nella foto, Piazza XV marzo con l'Accademia e la statua dedicata a Bernardino Telesio.
Durante l'età napoleonica la città fu contrassegnata da un orientamento anticlericale e libertario, di matrice fortemente antiborbonica. Con la Restaurazione non mancarono le iniziative liberali e patriottiche che culminarono con la rivolta del 15 marzo 1844. Ad essa si ispirarono i Fratelli Bandiera, come già scritto sopra.
Il pedale tonale presente nei pianoforti a
coda deve essere azionato successivamente alla pressione di un tasto o
di un gruppo di tasti. È un pedale di risonanza che agisce
solo per un gruppo limitato di tasti, quelli premuti immediatamente
prima all'azione del pedale. È anche conosciuto come pedale Rendano dal nome del suo inventore, il pianista e compositore Alfonso Rendano. Il Teatro Comunale in Piazza XV Marzo nel centro storico bruzio gli è dedicato.
Il centro storico di Cosenza incarna nelle sue forme architettoniche l'apice dell'espansione e della cultura dei Bruzi. Elementi caratteristici
della parte antica della città sono la concentrazione di edifici
monumentali, i numerosi palazzi padronali e di pregio, il disegno
urbano, caratterizzato da un dedalo di strette strade che si snodano
attorno agli antichi edifici, chiese, conventi, case fortezze, slarghi e
piazze.
Nella foto, corso Telesio con la caratteristica pavimentazione.
Nel cuore storico della città, tra palazzi e antichi monumenti, c’è un particolare Museo all’Aperto, il MAB, nato grazie alla donazione di Carlo Bilotti che, alla sua morte, ha voluto devolvere parte della stupenda collezione d’arte
da lui posseduta alla sua città natale. Questo percorso artistico si
sviluppa partendo da Piazza Bilotti fino a Piazza dei Bruzi. Il MAB
ospita le sculture di prestigiosi artisti contemporanei. Ogni scultura è posta su un piedistallo luminoso.
“Le sole cose che restano dopo la
nostra morte, sono quelle che doniamo alla collettività, poichè le
generazioni future sono la continuazione della nostra vita.”
Carlo Bilotti
Carlo Bilotti
In questa bella e significativa frase si riassume la vita stessa di un grande mecenate, illuminato ed amante dell'arte.
Passiamo davanti al Gran Caffè Renzelli;
fondato nel 1801 da Raffaele Ferrari, trisavolo dell’attuale
proprietario, con l’insegna di Caffè Galicchio, punto di
ritrovo di intellettuali e letterati della
Cosenza bene, che lì si davano appuntamento per
ascoltare le orchestrine che suonavano sul marciapiede
di fronte. Erano due salette, la rossa e
la verde, dal colore dei divani allineati lungo le pareti. Notiamo in
una delle vetrine un'antica macchina per fare il caffè e un vecchio macinino.
Il Museo Diocesano ha la sede tra il Palazzo Arcivescovile e la Chiesa Cattedrale nei locali dell’ex Seminario Diocesano. Rappresenta un’ideale partenza per scoprire la città e conoscere la vasta Arcidiocesi, in quanto raccoglie in un unico percorso notevoli e preziosi reperti provenienti dal Duomo e da altre chiese del territorio. E’ stato inaugurato il 25 giugno 2013
dopo un’attesa di quasi settant’anni. Ospita opere recuperate in alcune
Chiese della Diocesi, tra cui il bellissimo polittico dell’Annunciazione (1545) da molti attribuito alla scuola del Negroni.
L’opera più significativa però, emblema della città, è la preziosissima stauroteca
– o croce reliquario – in oro sbalzato, filigrana a vermicelli, smalto,
adamantini e cristallo di rocca, del XII secolo, che custodisce una reliquia del legno della Croce. La tradizione vuole sia stata donata da Federico II di Svevia in occasione della consacrazione della Cattedrale nel 1222.
Seguendo corso Telesio si arriva a Piazza Duomo, dove sorge la cattedrale di Santa Maria Assunta, riconosciuta il 12 ottobre 2011 patrimonio "testimone di cultura di pace" dall'UNESCO. Sorge nello stesso luogo di una chiesa più antica,
costruita nell'XI secolo e quasi completamente rasa al suolo da un
terremoto nel 1184. La costruzione del nuovo edificio iniziò qualche
anno più tardi e terminò nel 1222. Il 1748 segnò l'inizio di nuovi
lavori di trasformazione che portarono la cattedrale ad essere ricoperta da sovrastrutture barocche che, oltre a nasconderene le originarie forme, provocarono la scomparsa di innumerevoli opere d'arte.
La facciata si presenta con quattro pilastri e tre portali di cui uno, quello centrale, più grande. Sui tre portali si trovano altrettanti rosoni,
di cui due di media grandezza ed un terzo, quello sul portale
principale, più grande. Alla sommità più alta della facciata svetta una croce in ferro. L'ingresso alla chiesa è preceduto da una larga gradinata che collega il basamento alla omonima piazza.
La profonda abside ospita il moderno altare maggiore marmoreo in stile neoromanico. Al disotto del catino absidale, entro nicchie
ogivali sorrette da colonnine, si trovano degli affreschi policromi,
realizzati nel XIX secolo raffiguranti l'Assunta e, ai due lati, i
Dodici apostoli.
Da osservare anche un crocifisso ligneo del ‘400 che mostra un’evidente espressività tardo gotica, visibile in alto e proveniente dalla cappella della famiglia Telesio,
oggi non più esistente, che probabilmente conteneva anche la tomba del
filosofo Bernardino improvvisamente dimenticata e dispersa sia dalle
autorità ecclesiastiche che da quelle municipali.
Ci sono poi anche alcuni frammenti del primitivo pavimento
di epoca sveva rivenuto in un’antica cappella che fa ritenere che al
tempo della sua fondazione il Duomo, oltre ad essere interamente affrescato, fosse pavimentato a mosaico.
La cattedrale è a croce latina, con aula
suddivisa in tre navate di otto campate ciascuna suddivise da due file
di pilastri con capitelli scolpiti. Lungo la navata di sinistra, si
aprono due cappelle barocche, risalenti al XVII-XVIII secolo. La prima è
dedicata alla Madonna del Pilerio, e custodisce la miracolosa icona raffigurante la Madonna che allatta il Bambino.
L’opera rappresenta uno dei prodotti
artistici più rilevanti di un vasto movimento artistico-culturale che
ebbe a subire sia gli influssi del bizantinismo aulico delle opere messinesi del secolo XIII, sia le affinità delle ricerche plastiche perseguite dai maestri toscani.
Il culto alla Madonna del Pilerio risale all'anno 1576, quando una devastante epidemia di peste
si accanì sulla città di Cosenza facendo numerose vittime. La
popolazione ormai allo stremo, visti gli infruttuosi tentativi umani di
arginare l'epidemia, si rivolse al Divino. Si narra che
un devoto, che pregava dinanzi all'antica icona della vergine Maria
posta all'interno del Duomo cittadino, si accorse che sul viso della Madonna si era formato un bubbone
di peste. Allertato il Vicario generale dell'epoca, si sparse
immediatamente la notizia ed una grande folla si recò ad ammirare con i
propri occhi lo strano evento che venne interpretato come volontà della
Vergine di accollarsi la malattia per liberare la
popolazione. La regressione della peste nella città, che avvenne nei
mesi successivi, venne interpretata dalla città come vero e proprio miracolo. A seguito dell'evento, la Madonna del Pilerio venne eletta a Patrona Protettrice di Cosenza.
Nel 1783 un violento terremoto si abbatté su Cosenza. In quella occasione si constatò un altro segno sul viso dell'immagine della Madonna. Furono da tutti notate delle screpolature
che poi scomparvero ma non del tutto, una volta passato il
pericolo. Il 6 luglio 1798 si stabilì la celebrazione della sua festa il giorno 8 settembre di ogni anno.
In seguito al terribile terremoto del 12 febbraio 1854 i cosentini chiesero e, l'11 gennaio 1855, ottennero dall'autorità ecclesiastica l'istituzione di una seconda festa, detta del patrocinio,
in onore della Vergine da celebrarsi ogni anno il 12 febbraio. Nelle
processioni viene portata una statua e non il quadro - icona.
Il 6 ottobre 1984 avvenne la storica visita alla Madonna del Pilerio e al Duomo da parte di Papa Giovanni Paolo II la cui devozione filiale alla Madonna contraddistinse il suo intero pontificato.
La seconda cappella è quella del Santissimo Sacramento, con lo stemma della Confraternita di Orazione e Morte, e ospita la sepoltura dei membri calabresi della cosiddetta Spedizione
dei fratelli Bandiera del 1844, qui traslati nel 1860 per volontà di
Giuseppe Garibaldi, mentre i due fratelli Attilio ed Emilio Bandiera e
il loro concittadino Domenico Moro sono sepolti nella loro città di origine.
Nel braccio destro del transetto, appoggiato alla parete di fondo, si trova l'organo a canne Mascioni opus 1169, costruito nel 2005, uno dei più grandi organi presenti in una chiesa.
Lo strumento è a trasmissione mista,
meccanica per i manuali e il pedale, elettrica per i registri, ed ha una
consolle con tre tastiere di 61 note ciascuna ed una pedaliera dritta
di 32. La cassa lignea è caratterizzata dall'alternarsi di cinque torri
con piccoli prospetti ad ali.
Nel transetto si trova il monumento funebre di Isabella d’Aragona, (detta regina delle due tombe, qui sembra esserci solo il feto) moglie di Filippo l’Ardito re di Francia, morta di parto prematuro,
il 1271, per essere caduta nel fiume presso Martirano, tornando
dall'ottava Crociata. Dell’opera, di artista francese, si era persa ogni
traccia, perché murata durante il rifacimento nel '700 della chiesa. Fu
ritrovata nel 1891 mentre si effettuavano dei lavori nel transetto. E' a
forma di trifora gotica trilobata, in pietra di tufo, con una rosa del fastigio quadrilobata ed esibisce tre sculture, raffiguranti al centro la Madonna col Bambino e, rispettivamente a destra e sinistra della Vergine, Filippo III re di Francia e la Regina Isabella, con gli occhi chiusi.
Sulla navata destra è posto un sarcofago, opera di riutilizzo di epoca ellenistica, che illustra in bassorilievo il mito della morte del giovane Meleagro, contenente delle ossa che potrebbero appartenere ad Enrico lo Sciancato, figlio di Federico II, secondo alcuni morto suicida, secondo altri per mano dello stesso imperatore.
Tra le tante altre cose sottolineateci dalla guida il quadro che rappresenta il matrimonio della Vergine, opera di Giovanni Battista Santoro,
che dipinge anche il proprio ritratto, all'estrema destra, accanto al
bastone fiorito di San Giuseppe. L'artista si rappresenta come un
giovane, che a braccia conserte e defilato, sembra osservare chi ammira
il dipinto.
Il complesso convento-chiesa, nella parte storica, è detto “Riforma” perché dal XVIII secolo fu convento dei Frati Riformati, una delle tante famiglie francescane.
Questi favorirono la devozione al simulacro del SS.mo Crocifisso che
fin da allora si mostrò miracoloso. Tale devozione fu incrementata dai
Frati Cappuccini, al punto che, cosentini e non, oggi individuano la
chiesa ove si venera con l'appellativo Santuario del SS.mo Crocifisso o più semplicemente Chiesa del Crocifisso, anche se essa è intitolata a Maria SS. di Costantinopoli.
Stiamo tornando al pulmann per lasciare
Cosenza, città che fa parte di un agglomerato urbano policentrico,
comprendente tra gli altri i comuni di Rende e
Castrolibero, una delle aree più vivaci della Calabria sotto il profilo
socio-economico, culturale e della dotazione di servizi. Nel 2008 la
Regione Calabria ha attribuito a Cosenza la qualifica di città d'arte.
Alcune curiosità prima di andarcene:
Il Museo del Fumetto,
unico museo di questo genere nel sud Italia, è situato nel centro storico
bruzio, nella Galleria d'arte provinciale Santa Chiara. Contiene personaggi di culto del fumetto
italiano come Tex Willer e Dylan Dog e artisti di levatura
internazionale, come Jim Avignon, Nicola Alessandrini e David Vecchiato. che attraverso l'arte contemporanea raccontano il territorio bruzio.
L’Elmo dei Bruzi (Elmo Arcaico) è una scultura (opera di Mimmo Paladino) che consiste in un elmo di bronzo posto su una vasca piena d’acqua
che rievoca la leggenda di Alarico e la sua sepoltura nel fiume
Busento. La scultura è posta nella centralissima Piazza dei Bruzi ove,
tra l’altro, è ubicato il Municipio di Cosenza, meglio noto come Palazzo
dei Bruzi.
Dalla fontana dei 13 canali sgorga l'acqua proveniente dall'acquedotto dello Zumpo in Sila.
La Torre Skyline è un
grattacielo di Cosenza. I lavori iniziati nel 2008 sono terminati nel
2011. L'edificio ha un'altezza di 77 metri e 22 piani, di cui 21 fuori
terra per abitazioni e uffici ed uno interrato per i box auto, la base
al piano terra è stata adibita a verde attrezzato. Si trova a Cosenza,
affacciandosi in via Panebianco, una delle arterie principali della
città, nei pressi della caserma militare della città bruzia. Segna
praticamente il confine tra il territorio di Cosenza e la città di Rende.
Rende è un centro dell'area urbana cosentina nel cui territorio comunale è ubicata l'Unical, il più grande campus universitario italiano e una delle migliori università d'Italia tra i grandi atenei. Nel 2016 ha ottenuto infatti il terzo posto
nella classifica stilata dal Censis. L'11 marzo 2016 il Presidente
della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato e riconosciuto il titolo
di Città al Comune di Rende.
La nascita dell'Università della Calabria
su questo territorio rappresentò un ulteriore punto di forza e di
sviluppo del territorio. Dapprima composto da una struttura
polifunzionale concentrica, si
realizzò poi un lungo pontile con ai lati strutture di cemento armato (detti
anche "Cubi") che si allacciano alla struttura
cambiando in altezza a seconda dei mutamenti della superficie, in questi
edifici si trovano i dipartimenti dell'Università.
Arriviamo all'Ariha Hotel di
Rende, che ci ospiterà tre notti e dove ci siamo trovati benissimo. Qui
si chiude la prima, lunga, intensa e faticosa giornata. La cronaca
prosegue in altra pagina.
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