La Calabria sembra essere stata
creata da un Dio capriccioso che, dopo aver creato diversi mondi, si è
divertito a mescolarli insieme. Guido Piovene
Ho trovato questa frase in rete e la
condivido in pieno. La Calabria mi ha stupita e affascinata. Mi
aspettavo una terra in gran parte brulla o riarsa e ho trovato invece
angoli di paradiso.
Lo stemma della Calabria racchiude in cornice ovale quattro dei simboli che rappresentano la regione: il pino laricio (Pinus nigra laricio), il capitello dorico, la croce bizantina e la croce potenziata. Vediamo in dettaglio questi simboli.
Il pino laricio è
pressoché diffuso su tutto l'altopiano della Sila, in parte nelle Serre
Vibonesi e in Aspromonte, nella fascia che va dai 1100 m ai 1700 m
d'altitudine. Appartengono a questa sottospecie i "Giganti della Sila" o "Giganti di Fallistro, pini larici ultracentenari di dimensioni maestose, i cui tronchi formano un perfetto colonnato naturale. Tali tronchi possono innalzarsi fino a 45 metri di altezza e avere un diametro alla base di circa due metri.
La Sila custodisce molti altri tesori, di cui ho parlato nella pagina dedicata al parco. Richiamo qui un tesoretto, che abbiamo avuto modo di assaggiare con gran piacere.
Il capitello dorico è costituito da tre elementi: abaco, con la funzione di offrire una più ampia base d'appoggio alla trabeazione; echino,
la cui funzione è quella di collegare la superficie dell'abaco a quella
meno estesa del collarino, che a sua volta è raccordato al fusto. Alla
base dell'echino si trovano tre sottili fasce sovrapposte (anuli), con
lo scopo di allontanare l'acqua piovana dalla superficie del fusto;
infine collarino, sotto gli anuli, che costituisce la parte superiore del fusto.
Il profilo dell'echino fornisce indicazioni sulla datazione: nell'architettura greca di epoca arcaica esso era molto espanso e rigonfio, mentre durante l'epoca classica iniziò a subire un processo di rettificazione e rimpicciolimento, proseguito in età ellenistica e romana, con echini dalla curvatura appena accennata. Il simbolo sullo stemma ricorda la splendida età della Magna Grecia e la sua eredità.
Con la richezza di testimonianze
di architettura greco romana (e non solo) della regione abbiamo avuto
modo spesso di apprezzare questi capitelli.
In architettura l'intersecarsi di navata e transetto conferisce alle chiese una pianta a croce. Si parla di pianta a croce greca
per le chiese in cui la navata e il transetto hanno la stessa lunghezza
e si intersecano a metà della loro lunghezza, altrimenti si parla di
pianta a croce latina. La pianta a croce greca è tipica dell'arte bizantina
e il simbolo sullo stemma ricorda il lungo periodo in cui la Calabria
ha fatto parte dell'impero bizantino e rappresentato, insieme alla
Puglia, un ponte tra Occidente ed Oriente. Il Battistero di Santa Severina è l'unico esempio di Battistero a croce greca in Italia. (ne ho parlato a proposito della giornata del 29 settembre).
La croce potenziata, cioè con tutti i bracci uguali che terminano con una croce in tau, presente sia nello stemma della Calabria Citra (anche Calabria Citeriore) che in quello della Calabria Ultra (anche Calabria Ulteriore) dal tempo dei Normanni ricorda il valore dei dodicimila Crociati calabresi che, sotto la guida di Boemondo Duca di Calabria, combatterono per la liberazione del Santo Sepolcro durante la prima crociata. Il simbolo è anche presente negli stemmi delle province di Catanzaro, Cosenza, Reggio Calabria e Vibo Valentia. Esempio di croce potenziata è la stauroteca che giunse a Cosenza il 30 gennaio del 1222, per la consacrazione della Cattedrale dopo il devastante terremoto nel 1184, dono dell’Imperatore Federico II Hohenstaufen di Svevia alla città.
La Calabria è ricca di leggende, tradizioni, miti. Tra i tanti...
A lungo considerato luogo inaccessibile e sacro, Capo Vaticano, con il suo promontorio magico, si affaccia sul mar Tirreno nella provincia calabrese di Vibo Valentia. La magia salta agli occhi già dal nome: Vaticano deriverebbe infatti dal latino Vaticinium, che significa oracolo, responso, a rievocare una leggenda che vuole la punta estrema del promontorio abitata dalla profetessa Manto. A lei si sarebbero rivolti i naviganti prima di avventurarsi tra i vortici di Scilla e Cariddi e lo stesso Ulisse, scampato agli scogli del pericolo, avrebbe chiesto auspici a Manto circa la prosecuzione del suo viaggio.
Capo Vaticano è conosciuto anche come migliore territorio al mondo per la produzione della cipolla rossa, detta anche cipolla di Tropea,
dal gusto particolarmente dolce. Grazie alle sostanze contenute nel
terreno, "solo quella coltivata a Capo Vaticano risulta dolce" ed è
ricercatissima nel mercato nazionale e internazionale.
La sua introduzione in Calabria si fa risalire all'epoca della dominazione dei Fenici, come testimoniano alcuni reperti archeologici rinvenuti nella zona di Vibo Marina e Triniti. La coltivazione attuata in maniera diffusa, invece, risale ai primi dell'Ottocento, allorché nel territorio di Parghelia (Vibo Valentia) venne per la prima volta inserita in rotazione al posto del cotone.
La regione offre scenari fantastici che spaziano da mari cristallini, a pianure verdissime a borghi arroccati su monti o scogliere. Parlando della Calabria non si può esimersi dal citare i suoi famosissimi agrumi (arance, limoni, mandarini, clementina, bergamotto, chinotto).
Alcune leggende fanno derivare il bergamotto dalle isole Canarie, dalle quali sarebbe stato importato ad opera di Cristoforo Colombo; altre fonti propendono per Cina, Grecia, o dalla città di Berga in Spagna; mentre si narra la storia del moro di Spagna, che per 18 scudi ne vendette un ramo ai signori Valentino di Reggio, che lo innestarono su un arancio amaro in un loro possedimento nella contrada Santa Caterina (quartiere di Reggio Calabria). L'etimologia più verosimile è Beg-armudi, cioè "pero del signore" in turco, per la sua similarità con la forma della pera bergamotta.
La prima piantagione intensiva di alberi di bergamotto (bergamotteto) fu opera, nel 1750, del proprietario Nicola Parisi lungo la costa reggina,
nel fondo di Rada dei Giunchi, situato di fronte l'area dove oggi si
trova, nel cuore della città, il Lido comunale Zerbi. Originariamente l'essenza veniva estratta dalla scorza per pressione manuale e fatta assorbire da spugne naturali (procedimento detto "a spugna"), collocate in recipienti appositi (detti concoline).
Nel 1844, si documenta la prima vera industrializzazione del processo di estrazione dell'olio essenziale dalla buccia grazie a una macchina di invenzione del reggino Nicola Barillà, denominata macchina calabrese, che garantiva una resa elevata in tempi brevi, ma anche un'essenza di ottima qualità se paragonata a quella estratta a spugna.
L’olio essenziale di
Bergamotto viene prodotto lungo la striscia costiera che si estende tra
Villa S. Giovanni e Gioiosa Jonica, tra il mar Jonio e il Tirreno, e
comprende numerosi comuni della provincia di Reggio Calabria.
Non ci sono solo sterminate distese di agrumi...
Il giallo intenso della ginestra colora le pendici delle montagne assieme al suo inconfondibile profumo. La ginestra è una delle protagoniste dell'Arte della Tessitura e
a Longobucco, nella Sila Greca, in provincia di Cosenza, primeggia in
quanto forma d'artigianato unica nel suo genere. Anche a Chorio di
Roghudi, a Roccaforte del Greco e a Gallicianò di Condofuri vengono
prodotte ancora coperte di ginestra seguendo le tecniche antichissime
della lavorazione.
Anche il meteo ci è stato propizio, regalandoci una settimana di sole caldo ma mitigato da una piacevole brezza. Ci siamo arrampicati su erte e dirupi dietro a guide molto in gamba, tutte donne
giovani e innamorate della loro terra, che ci hanno regalato una
valanga di informazioni, tra un respiro e l'altro (credo che dalla mole
della mia cronaca si sia notato).
La cucina tipica ci ha spesso soddisfatto con piatti semplici ma molto gustosi, anche se talvolta siamo stati meno fortunati, soprattutto con le cene in albergo.
Per noi inediti ma apprezzatissimi i peperoni cruschi, biglietto da visita del ristorante Barbieri di Altomonte.
La Soppressata di Calabria è un insaccato a denominazione di origine protetta. Si ottiene con carne di maiale
tagliata a pezzettoni a cui si unisce pepe nero, finocchio (a grani),
sale e peperoncino. Si prepara prendendo le parti migliori della coscia
del maiale, tritate e prive di nervi e insaccandole in budello naturale;
il tutto viene poi lasciato asciugare all'aria. Dopo circa due
settimane si sistema sul pavimento un lenzuolo di lino e vi si adagiano
le soppressate, le une vicine alle altre, con l'accortezza di lasciare
tra esse uno spazio di circa un centimetro. Le soppressate vengono
quindi coperte con un altro lenzuolo di lino, al disopra del quale viene
poggiato un tavoliere su cui vanno posti dei pesi in modo da ottenere quella pressatura che conferisce il nome al salume. Dopo circa una settimana viene interrotta la pressatura e gli insaccati vengono messi ad asciugare. Nella fase di asciugatura, della durata di circa due settimane, si usa spesso l'accorgimento di accendere un braciere nelle vicinanze che conferisca al prodotto una leggera affumicatura; nel braciere vengono aggiunte scorze di arance per garantire un'affumicatura aromatica. Quindi si ripete l'operazione della pressatura (la "soppressa"). Nella fase conclusiva le soppressate vengono lasciate a stagionare per un periodo di cinque-sei mesi.
Un tagliere di salumi e formaggi
tipici, accompagnati da pane fragrante e magari ancora caldo, sono una
tentazione irresistibile.
Ma anche i dolci non sono da trascurare... Assolutamente celestiale il tartufo di Pizzo, di cui ho già parlato; buona ma da mangiare a piccole dosi la Pitta 'mpigliata, dolce tipico originario di San Giovanni in Fiore
ma molto diffuso in tutta la provincia di Cosenza. Gli ingredienti
principali sono farina, olio, zucchero, frutta secca, liquore aromatico,
miele e spezie.
La Calabria, un tempo chiamata "Enotria" (terra del vino), è particolarmente ricca di vini dal sapore tipicamente meridionale;
alcuni vigneti risalgono a quando i coloni greci portarono i vitigni
dalla madrepatria, cominciando a produrre il vino che ancora oggi viene
da questa terra. Attualmente la regione vanta la produzione di 12 vini a marchio DOC: per i nostri gusti sono però vini troppo pastosi.
La presenza dell’ulivo è documentata almeno sin dal tempo dei Greci (VIII/VII sec. a.C.), quando la pianta arrivò nell' Italia meridionale importata dall'Asia Minore, ma si deve ai Romani l’enorme sviluppo e la diffusione di questa coltura antichissima. Alberi sempreverdi e molto longevi, col loro verde argento straordinario, gli olivi sono oggi parte inconfondibile del paesaggio agrario calabro. Gli impianti arborei, veri e propri monumenti della natura, si adattano a terreni anche impervi. La raccolta delle olive, che inizia ad ottobre-novembre, prima della semina del grano, può avvenire con mezzi meccanici,
per brucatura o per caduta spontanea sulle reti. In Calabria, sono
presenti 3 oli DOP: “Bruzio”, “Lametia”, “Alto Crotonese” con
caratteristiche diverse e regolamentate da specifici disciplinari. Le
aree maggiormente adatte alla coltivazione dell’olivo sono quelle del cosentino, del lametino e del reggino (in particolare la Piana di Gioia Tauro e la Locride).
La Calabria è terra di emozioni forti e intense. I suoi sapori lo sono altrettanto: un esempio per tutti è rappresentato dal famoso peperoncino calabrese. È facile trovare questo ingrediente in molti piatti caratteristici calabresi: dalle bruschette con la n’duja o
con la sardella - detta il “caviale dei poveri” -
agli insaccati di carne suina,
dai condimenti per la pasta alle pietanze di pesce.
Il peperoncino piccante
era usato come alimento fin da tempi antichissimi. Dalla testimonianza
di reperti archeologici sappiamo che già nel 5.500 a.C. era conosciuto
in Messico, presente in quelle zone come pianta coltivata, ed era la sola spezia usata dagli abitanti del Cile e del Messico. In Europa il peperoncino è arrivato con Cristoforo Colombo che l'ha portato dalle Americhe col suo secondo viaggio, nel 1493.
Introdotto quindi in Europa dagli Spagnoli, ebbe un
immediato successo, ma i guadagni che la Spagna si aspettava dal
commercio di tale frutto (come quello di altre spezie orientali) furono
deludenti, poiché il peperoncino si acclimatò benissimo nel vecchio
continente, diffondendosi in tutte le regioni meridionali,
in Africa ed in Asia, e venne così adottato anche da quella parte della
popolazione che non poteva permettersi l'acquisto di cannella, noce
moscata e altre spezie.
Il frutto venne chiamato così a causa della somiglianza nel gusto (sebbene non nell'aspetto), con il pepe. Il nome con il quale era chiamato in tutto il nuovo mondo era "chili" e così è rimasto.
Il frutto venne chiamato così a causa della somiglianza nel gusto (sebbene non nell'aspetto), con il pepe. Il nome con il quale era chiamato in tutto il nuovo mondo era "chili" e così è rimasto.
Non c'è da meravigliarsi che il fico d'India sia diventato uno dei simboli dell'area mediterranea. E' da più di un millennio,
infatti, che la sua forma inconfondibile adorna questa zona
sviluppandosi indisturbata sotto il sole più caldo: ha trovato nel
Mediterraneo un ambiente ideale che le ha premesso di proliferare e di
crescere rigogliosa sia spontaneamente che coltivata.
Nel corso dei secoli il suo utilizzo si è fatto sempre più massiccio: è
stata persino impiegata per delimitare i confini di proprietà terriera.
In Calabria, poi, questo frutto è diventato una vera e propria istituzione. Introdotto sul territorio, con ogni probabilità, dai Saraceni,
il fico d'India ha trovato nel microclima locale l'ambiente ideale per
crescere indisturbato e proliferare specialmente lungo le coste,
diventando una presenza costante oltre che un prodotto estremamente apprezzato non soltanto in campo alimentare ma anche medico, grazie alle sue notevoli proprietà benefiche.
Ho preso spunti dal portale ufficiale della Calabria, che consiglio di andare a vedere: è veramente completo e interessante.
U surici dici a nuci :” Dammi tempu ca’ ti perciu.”
Il topo ha bisogno di tempo, ma alla fine riesce a rompere la noce.
E’ il motto di chi non molla mai e alla fine arriva alla meta.
Il topo ha bisogno di tempo, ma alla fine riesce a rompere la noce.
E’ il motto di chi non molla mai e alla fine arriva alla meta.
Ci sono arrivata anch'io. Alla prossima!