lunedì 16 luglio 2018

Gita nel Cilento - sesta parte - Castellabate, Palinuro

6 giugno: Castellabate, Palinuro.

Castellabate si estende prevalentemente sulla costa tirrenica, nell'estremo meridionale del golfo di Salerno e il suo territorio rientra nel parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni. Domina un promontorio (278 m s.l.m.), un'estrema propaggine del monte Stella a ridosso della fascia costiera tra punta Licosa e punta Pagliarolo e delle frazioni di Santa Maria e San Marco. Il mare e la costa di Castellabate sono dal 1972 sotto tutela biologica marina per preservarne il patrimonio naturale e ambientale, rappresentando uno dei primi esempi di parco marino in Italia. Nel 2009 è stata istituita l'area marina protetta Santa Maria di Castellabate, che abbraccia la zona tra la baia del Saùco (o del Vallone) e la punta di Ogliastro. 

Soprattutto nella zona costiera di Licosa e Ogliastro Marina il territorio è caratterizzato dalla presenza del "flysch del Cilento", una roccia sedimentaria composta da diverse stratificazioni (costituite tipicamente da alternanze cicliche di arenaria, di argilla o marna, di calcare). Si è formata a seguito dell'erosione delle montagne in formazione, che sono emerse dal mare, e i cui detriti quindi si sedimentarono nelle adiacenze dei bacini marini. Tali rocce, immerse nella macchia mediterranea, degradano lentamente nel mare estendendosi anche per oltre cinque miglia. Nei fondali questa conformazione rocciosa, formata da numerose cavità e spaccature, viene utilizzata come rifugio da diversi organismi animali e vegetali. Tra San Marco e punta Licosa è ben visibile l'affioramento degli strati del flysh, che si presentano deformati e inclinati rispetto all'originario assetto orizzontale e l'azione del moto ondoso, erodendo maggiormente i livelli più teneri, ne esalta la stratificazione. 

La storia del territorio è legata a san Costabile Gentilcore, quarto abate della Badia di Cava. Nell'anno in cui fu elevato alla dignità di abate avviò i lavori di costruzione del castello di Sant'Angelo (10 ottobre 1123), ma morì il 17 febbraio 1124. Il suo successore, l'abate Simeone, completò la costruzione del maniero e si prodigò in favore della popolazione locale.

Nel 1124 egli comprò dal conte di Acerno il porto "Travierso" (oggi chiamato delle gatte) e lo fece ampliare, sviluppando così il commercio. Nel 1138 concesse ai sudditi del potere feudale dell'abbazia un diploma di diversi privilegi: ridusse a metà gli aggravi, donò ad essi le case che abitavano e le terre chiedendo in cambio la loro bonifica e coltivazione. Dal 1194 al 1266 il feudo fu sotto il dominio svevo, per passare poi sotto quello angioino.


Il castello si rivelò un valido presidio, una fortezza dotata di mura perimetrali con quattro torri angolari a pianta rotonda. All'interno si trovavano abitazioni, forni, cisterne e magazzini per le provviste. Sono accessibili anche i sotterranei, che, secondo alcune leggende, raggiungono le frazioni marine per poter permettere la fuga in caso di invasione. La struttura, completamente restaurata, è diventata un punto di riferimento per manifestazioni artistiche, culturali e sociali. 
Castellabate, grazie anche ai benefici derivati dalla sua posizione naturale, divenne col tempo la più importante baronia del Cilento.

Il paese passò praticamente incolume la fase della prima guerra mondiale. Nel settembre del 1943, durante la seconda guerra mondiale, il territorio, come gran parte della costa salernitana, fu teatro del cosiddetto sbarco di Salerno: le truppe degli alleati occuparono la marina di Castellabate per diversi giorni prima di avanzare verso Roma.
Negli anni settanta il paese fu teatro di una profonda trasformazione urbana, che lo tramutò da territorio agricolo e dedito alla pesca a centro turistico balneare, con la costruzione di alberghi, camping, residence e seconde case estive. 
La città fa parte dei borghi più belli d'Italia, un'associazione che promuove i piccoli centri abitati italiani che decidono di associarsi con una qualifica di "spiccato interesse storico e artistico". 

Il toponimo comunale deriva dal castello di Sant'Angelo, costruito dall'abate Costabile Gentilcore sull'omonimo colle. Dopo la sua morte, la fortezza fu intitolata dalla popolazione locale al suo ideatore, dando origine al nome del borgo secondo questa linea etimologica: Castrum abbatis > "Castello de lo abbate" > "Castello dell'abbate" > "Castellabate"

La popolazione di Castellabate ha una particolare devozione per san Costabile, al quale sono stati attribuiti diversi miracoli e leggende, legate ai periodi di difficoltà storici del borgo: le epidemie di peste e colera, gli assalti saraceni e il secondo conflitto mondiale. La leggenda più tramandata è quella delle capre, che narra di cinque navi pirate che nel 1623 erano pronte ad assalire Castellabate. I suoi abitanti, impauriti, lasciarono di fretta le proprie abitazioni per rifugiarsi nel castello in cima al colle. La sera, quando la speranza di salvezza per gli assediati stava venendo meno, si videro circa settecento capre con delle fiaccole legate alle corna, guidate da san Costabile, che si dirigevano verso il litorale dove i Turchi si apprestavano a dare l'assalto. Questi pensando che si trattasse di un considerevole numero di castellabatesi pronti a difendere l'abitato, abbandonarono l'intento di assalire il borgo e fuggirono.


La nostra visita comincia dal belvedere che conduce al castello: ci accoglie una bella scritta bianca sul prato sottostante la costruzione interna ai bastioni. 


La vista è spettacolare: a sinistra ammiriamo San Marco, una delle frazioni sul mare, sede portuale comunale. 


A destra Santa Maria, la frazione maggiore di Castellabate, sede comunale e dell’area marina protetta. 


In zona si vede anche Palazzo Belmonte: nato inizialmente come casino di caccia secondo lo stile degli architetti spagnoli al servizio dei Borbone di Napoli, ospita i principi Granito Pignatelli di Belmonte. 



L'abitato medievale sorge su colle Sant'Angelo e si sviluppa intorno alle mura del Castello. Il borgo è caratterizzato dall'intreccio di vicoletti in pietra viva 


e stretti passaggi al di sotto delle casette comunicanti. Tra queste si collocano i vari palazzi gentilizi del Settecento, costruiti ex novo o ampliati da dimore preesistenti, che appartengono a famiglie facoltose del luogo o della nobiltà salernitana e napoletana. 


Tra i tanti, palazzo Perrotti del XVII secolo, che conserva intatta la stanza dove l’11 e il 12 novembre del 1811 soggiornò Gioacchino Murat. Nelle vicinanze si trova la famosa lapide con la scritta “Qui non si muore”.

A pochi passi da Piazza Perrotti si trova la Basilica di Santa Maria de Gulia, risalente alla prima metà del XII secolo, sorta sulla preesistente cappella basiliana. Pur essendo dedicata a santa Maria Assunta assume il nome di Santa Maria de Gulia, per aferesi, da “agulia” il nome medievale dell'aquila, perché il colle sul quale sorgeva, visto dal mare, sembra un'aquila con il rostro rivolto a destra. Il nome potrebbe derivare anche da guglia, cioè cima, vetta. 


Dettaglio della cupola con la finestra a campana.


La chiesa fu consacrata il 17 gennaio 1138, dal beato Simeone quinto abate di Cava, e nel 1988, il 2 agosto è stata elevata a basilica minore grazie all'importanza del ruolo rivestito per il territorio in ambito sia religioso che socioeconomico. In origine la struttura a due navate di stile romanico ha subito varie trasformazioni di stili e di volumetrie. 


Dopo l'ultimo ampliamento nel Seicento si presenta suddivisa in tre navate da due serie di quattro archi 


e con il suo caratteristico campanile tardo-romanico con tre ordini di finestre. 


Dettaglio della base del campanile, con la "porta" che conduce al centro della città.


Dell'epoca romanica conserva anche le monofore, riapparse nel corso dei lavori di restauro, 


e il soffitto a cassettoni, mentre dell'epoca barocca la facciata principale, il transetto e l'abside.


Al suo interno sono custodite tavole pittoriche ed affreschi di spessore artistico, oltre al pavimento maiolicato del XV secolo. L'opera di maggiore rilievo è il polittico del 1472 di Pavanino da Palermo, che raffigura la Madonna con Bambino in trono, con san Pietro e san Giovanni ai lati.



Nella navata di destra si trovano, tra le tante altre opere, una statua lignea del XVI secolo che raffigura la Vergine con Bambino, di notevole fattura, arricchita da una decorazione sia dipinta che incisa 


e l'olio su tavola di san Michele Arcangelo (XVI secolo), raffigurante l'Arcangelo Michele che trafigge il diavolo sotto le spoglie di una formosa donna con ali di pipistrello e gli arti inferiori di una sirena.


Nella navata di sinistra ci sono cappelle gentilizie aggiunte nel XV secolo, i cui nudi pilastri e archi d’ingresso furono rivestiti, nel secolo successivo, di pietra arenaria locale. Merita di essere menzionato il busto in bronzo di san Costabile (1662) dell'orafo Aniello Treglia, realizzato con le offerte dei fedeli dopo essere scampati alla peste del 1656.


La Cappella del Santo Rosario, della omonima confraternita, precedentemente dedicata a san Bernardino e risalente al XVI secolo, è collocata sul sagrato della basilica Santa Maria de Gulia. 

Il comune di Castellabate è la location in cui è ambientato il film Benvenuti al Sud (2010), in cui viene citata anche la confinante Perdifumo. Le riprese del film, durate circa dieci settimane, sono iniziate a settembre 2009 in particolar modo nel borgo medievale (Palazzo Perrotti, Belvedere di San Costabile, Porta di Mare e via Guglielmo I il Normanno) e nelle frazioni marine di San Marco (Torretta, salita di S.Cosimo, via C.De Angelis e porto turistico) e Santa Maria (Marina Piccola, Porto delle Gatte e mare del Pozzillo).


La vera agorà del borgo medievale è la piazza 10 ottobre 1123 (data di fondazione del castello) con vista sulla valle dell'Annunziata. 


In questa piazza è stato costruito l’ufficio postale per il film, utilizzando il bar La Piazzetta. 


La preparazione di una scena del film.


Nella piazza si trova anche la targa dedicata a Ruggero Leoncavallo, che visse alcuni anni nella città.


Dettaglio.









Ci rimettiamo in viaggio.

Capo Palinuro è un promontorio roccioso della costa della Campania Meridionale, tra il golfo di Velia e quello di Policastro, nel Cilento. Si spinge per circa 2 km nel mare Tirreno, a ovest della foce dei fiumi Lambro e Mingardo. Vi è ubicata la stazione meteorologica di Capo Palinuro che vedremo, durante il giro in barca, attraverso una fenditura della roccia creata dall'erosione del vento, chiamata Finestrella o Architiello. Il suo territorio rientra nella frazione Palinuro del comune di Centola. 
È un'importante località turistica, celebre per le bellezze paesaggistiche legate al mare e al suo entroterra e per le reminiscenze storico letterarie legate al suo nome. Durante l'epoca greca il promontorio era già conosciuto dai naviganti per la pericolosità delle sue insidiose correnti, tanto da essere chiamato Capo spartivento. Designarono anche con il nome di una sirena, simbolo di acque infide, Molpè ossia la leggiadra, il fiume che scorre alle pendici del capo Palinuro. 

Virgilio, nell'Eneide, dà una sua interpretazione dei fatti narrando di Palinuro, timoniere di Enea, che cade in mare tradito dal sonno e, giunto a riva, viene assalito e ucciso dai Lucani, indigeni del luogo. Veniva così soddisfatta la richiesta di Nettuno, dio del mare, che nel momento stesso in cui accordava a Venere il proprio aiuto per condurre in salvo la flotta di Enea sulle coste campane, aveva preteso per sé in cambio una vittima.
Sui Lucani si scagliò però una maledizione e per liberarsene, dopo aver consultato un oracolo, costruirono un altare ove sacrificarono una capra. Il luogo prese il nome di Torre del Capro, poi cambiato in Caprioli. L’altare passò alla storia come cenotafio di Palinuro e da allora il promontorio fu chiamato Capo Palinuro.


Il promontorio, che ha una suggestiva forma a pentedattilo, è costituito da rocce calcaree che scendono a strapiombo sul mare per oltre 50 metri e nelle quali le acque hanno scavato numerose profonde gole e ben 32 grotte, paradiso dei sub: una tra tutte la grotta azzurra, chiamata così per gli spettacolari giochi di luce e colore delle sue acque.
Le pareti del promontorio ospitano un raro e importante endemismo della flora mediterranea del versante tirrenico meridionale, la primula di Palinuro (Primula palinuri), unico esempio conosciuto di primula in ambiente non montano. 


Per il nostro gruppo era prevista un’escursione a bordo di un “gozzo”, con partenza dal lido Da Alessandro (ombrelloni gialli), situato sulla spiaggetta del porto di Palinuro, per circumnavigare le cinque dita del promontorio e ammirare la costa e le numerose grotte. 

Dopo il pranzo al sacco siamo quindi partiti. Descrivere la meraviglia provata non è possibile, posso solo provarci, con corredo di foto non sempre mie, perché il mare non era dei più tranquilli e si saltava abbastanza sulle onde.
Altro itinerario più dettagliato.



Usciamo dal porto


passiamo la Punta del fortino


su cui si staglia una fortificazione diroccata e vediamo Punta Quaglia, approdo per le quaglie in migrazione.

La grotta azzurra, che è la cavità più estesa e più nota di tutto il complesso di grotte di Capo Palinuro, si apre sul fianco settentrionale di Punta Quaglia, con un’entrata alta 6 metri e larga 10. La grotta ha anche un secondo ingresso, accessibile solo in immersione.

Deve il suo nome e il suo fascino allo spettacolare effetto prodotto dall'azzurro che, provenendo apparentemente dal fondale marino, illumina l'intero ambiente. Questo spettacolare effetto è dovuto alla luce del sole che proviene da un sifone dell'ingresso subacqueo che sbuca sul lato opposto della punta. 


La grotta Azzurra si caratterizza inoltre per la presenza di sorgenti idrotermali di tipo sulfureo, di stalattiti e stalagmiti e colate alabastrine. Particolarmente suggestive sono la conformazione calcarea che ricorda la testa di un delfino e le formazioni sulle pareti assai simili a delle conchiglie.


Colate alabastrine nella grotta. 


Delfino.

L’insenatura tra Punta della Quaglia e Punta Iacco si chiama Cala del Ribatto e non del Salvatore come indicano alcune cartine. Il nome è dato dalle onde che battono e ribattono lungo la parete di roccia durante le mareggiate. Inoltre il nome Iacco è in realtà Ianco, cioè bianco, perché in quella zona la roccia ha delle grosse striature biancastre. La Cala del Salvatore si trova tra Punta Ianco e Punta Spartivento.


Alcune foto scattate tra un salto e l'altro del nostro gozzo.


Una simile a questa mia era indicata in rete come l'ingresso della luce per la grotta azzurra (che però dovrebbe essere sotto acqua). Mah.
Aggiungo un'altra cartina dettagliata.


Come si può vedere dalla cartina, sul promontorio compreso tra Punta della Quaglia e Punta Ianco è situato il faro di Capo Palinuro. Controllato dalla Marina Militare il faro, attivato nel 1870 e tuttora funzionante, è una struttura a torre alta 14 metri su un edificio a due piani bianco. E’ il più alto d’Italia, punto di riferimento per la navigazione del Mediterraneo, e offre un’ottima visuale: quando il cielo è sereno si possono vedere l’isola di Stromboli, le coste calabresi e l’isola di Capri. Si vede anche la stazione meteorologica di Palinuro, di cui parlerò a breve.


Si arriva poi a Punta Spartivento, chiamata così perché protegge i due lati delle coste palinurensi: in caso di venti provenienti da Sud – Est (scirocco), la costa sud (a destra) avrà mare mosso a differenza della costa nord (a sinistra della caletta), prevalentemente calma; discorso inverso per i venti provenienti da Nord – Ovest (maestrale). Il fondale è molto ricco: a circa 60 metri di profondità esiste un’ampia giacenza di corallo.



Altro particolare: doppiata Punta Spartivento si vede il Volto della Strega, una parete rocciosa con tre incavi che formano un volto simile al celebre Urlo di Munch. (Dettaglio)

Si entra poi nella Cala della Lanterna, dove si incontrano due grotte particolari: la Grotta delle Cammarelle o d’Argento, e la Grotta del Sangue.

La Grotta d'Argento prende il nome da un’intensa colorazione argentata che si riflette sull'acqua, fenomeno generato dall’incontro dell'acqua marina, di forte tonalità azzurra, con la più densa acqua sulfurea. La grotta si caratterizza infatti per la presenza di almeno due sorgenti sulfuree connesse a profonde spaccature. All'interno si possono osservare numerosi drappeggi calcarei, stalattiti e stalagmiti: caratteristiche sono le formazioni calcaree a forma di Madonnina e di dito e le eleganti colonne calcaree della parete interna.

La Grotta del Sangue deve il suo nome al colore rosso delle pareti interne (ossido di ferro) che, riflettendosi sul mare, lo colora di una sfumatura rossastra molto suggestiva. Di particolare interesse all’interno sono le formazioni calcaree, tra queste una sorprendente forma simile ad una conchiglia e appena sopra il livello del mare un’altra formazione che ricorda la testa di un coccodrillo.


Si arriva a Punta Mammone: nel dialetto locale mammone sta per elefante, e la punta ne prende il nome per via della rassomiglianza con il mammifero proboscidato.
Apro una parentesi per citare la stazione meteorologica di Capo Palinuro che fa da riferimento per il Servizio Meteorologico dell'Aeronautica Militare per la fascia costiera del Cilento. La sua storia è legata a quella del Regio Semaforo, la cui esistenza è accertata fin dal 1838 presso la Torre Saracena, antica struttura di avvistamento costiero che venne demolita dopo il 1885 per permettere la costruzione del più funzionale impianto semaforico, entrato in funzione a partire dal 1890, nel luogo in cui precedentemente sorgeva la storica torre costiera di avvistamento.

L'attuale osservatorio meteorologico ha sede presso il semaforo tardo-ottocentesco, il cui corpo di fabbrica culmina presso la parte centrale con una caratteristica torre a sezione ottagonale. La stazione meteorologica iniziò la sua attività a partire dal 18 novembre 1935, come documentato da un'iscrizione posta su una pietra; i primi dati archiviati, tuttavia, risalgono al 1º settembre 1936. 

Oltrepassando Punta Mammone si entra nella Cala Fetente. Il fenomeno idrotermale che segna il carattere di tutte le cavità marine di Capo Palinuro trova nella Grotta Sulfurea la sue espressione più marcata. Il fondale della grotta e le cavità interne sprigionano vapori sulfurei di grossa intensità, da cui appunto il nome di Cala Fetente. Nell'immagine, l'ingresso a doppia arcata della Grotta Sulfurea.


Si arriva poi alla Grotta dei Monaci sul cui fondo, su una roccia sporgente dall’acqua, si nota un complesso di stalagmiti color marrone che somiglia in modo impressionante a un gruppo di monaci in preghiera. 

L’Architiello, detto anche Finestrella, è un’apertura nella roccia creata dall’erosione del vento attraverso cui si può vedere la stazione meteorologica di Palinuro. Mentre si naviga in barca, superata la Grotta dei Monaci, basta girarsi verso la Finestrella per intravedere, incorniciato dalla roccia, l’edificio della stazione meteorologica.


La Finestrella vista dall'altra parte, dettaglio.
La quinta punta del promontorio è la più piccola; è chiamata Punta Galera, perché nei fondali sono stati ritrovati i resti di una nave romana. La sovrasta il rudere di una delle tante torri saracene, che erano usate per avvistamenti e controlli sul mare. La loro caratteristica era quella di essere poste ognuna a vista dell’altra, così fino al basso Tirreno. Si calcola che un messaggio, per arrivare a destinazione da Reggio Calabria fino all’Alto Cilento, impiegasse circa 4 ore.


Superiamo la Grotta delle Ciavole (cornacchie) 


e scorgiamo lo Scoglio del Coniglio, sormontato da un fitto bosco, 


Dettaglio.


che sorveglia la Cala del Buondormire, una delle spiagge più belle della costa, chiamata così per via dei pescatori che, arrivati sulla spiaggia, ne approfittavano per riposarsi, data la buona ventilazione e la presenza molto discreta del Sole.


La Cala può essere raggiunta quasi esclusivamente via mare: solo i clienti del King’s Residence Hotel, struttura che sovrasta la Baia, possono accedervi tramite una lunga scalinata.


Famosa per i colori incredibili, con acqua cristallina color smeraldo e sabbia finissima e chiara, è circondata dalle rocce a strapiombo e stratificate tipiche del Cilento. Separata solo da qualche sperone di roccia comincia subito un'altra spiaggia.


La spiaggia della Marinella è formata da 4 piccole cale a mezzaluna, in una delle quali sfocia il fiume Lambro. In epoche precedenti ospitava il porto della Molpa i cui resti sono ancora visibili ai piedi del colle. La spiaggia offre una sabbia fine e dorata, con un mare limpido e pulito, dalle tonalità azzurre che sfumano al verde. La scogliera della Molpa con le sue grotte protegge l’insenatura e la rende ancora più suggestiva.


Dettaglio.


Alcune immagini della costa,


di una fessura che cela l'ennesima grotta


e di una sorta di curiosa arrampicata.

A ridosso della foce del Lambro, la Spiaggia della Marinella conduce alla Grotta Preistorica, risalente all’epoca quaternaria, che conserva materiali fossili sedimentati nelle pareti: testimoniano un'assidua frequentazione dell'uomo primitivo nel bacino del Mediterraneo. I fossili nella grotta sono stati per molti secoli creduti umani e per questo motivo è conosciuta come Grotta delle Ossa, mentre si è poi scoperto che gli uomini che l’hanno abitata vi avevano depositato per millenni i resti delle prede. Successivamente il terreno e l’acqua penetrati nella caverna hanno cementato il tutto sotto forma di una spessa parete calcarea.


Proseguendo si può ammirare Cala Lunga, una piccola spiaggia posta sotto le rocce: si vede a destra


la spiaggia dell’Arco Naturale, che nel 1987 ha conosciuto il suo momento più buio venendo completamente sommersa dal mare, con l’acqua che passava fin sotto l’Arco, causa principale del crollo parziale che ha subito. 

Da allora fu avviato un progetto di recupero tramite l’installazione di frangiflutti posti a circa 50 metri dalla riva, che ha consentito il recupero totale della spiaggia di questa scultura della natura alla foce del Mingardo.



Si chiude qui questa intensa giornata, ma la cronaca continua.

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