5 giugno: Paestum.
Paestum,
nome latinizzato del termine Paistom
con il quale venne definita dopo la sua conquista da parte dei
Lucani, è un'antica città della Magna Grecia chiamata dai fondatori
Poseidonia
in onore di Poseidone, ma devotissima a Era e Atena. L'estensione del
suo abitato è ancora oggi ben riconoscibile, racchiuso dalle sue
mura greche, modificate in epoca lucana e poi romana. In passato era
nota anche come Pesto.
È localizzata in provincia di Salerno, come frazione del comune di
Capaccio Paestum nella Piana del Sele, vicino al litorale, a nord del
Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni.
Pianta
di Paestum del 1732
realizzata
prima dell'apertura da parte di Carlo
di Borbone dell'attuale
SS18,
che tuttora la attraversa. La pianta della città, ben riconoscibile
in tutti i suoi elementi, risulta tuttavia molto imprecisa e
approssimativa. Sotto, pianta odierna.
La
città è stata abitata fin dall'epoca preistorica. Ad oriente della
Basilica sono stati rinvenuti manufatti
databili dall'età
paleolitica fino
all'età del bronzo; a sud verso Porta Giustizia, si sono scoperti resti di
capanne, testimonianza di un abitato preistorico.
Nell'area
del Tempio di Cerere, e tra questo e Porta Aurea, è stato documentato uno stanziamento di età
neolitica: poiché sia la Basilica che il Tempio di Cerere si trovano
su due lievi alture si può immaginare che fossero occupate da due villaggi,
separati da un piccolo torrente che scorreva dove oggi si trova il
Foro.
Verso
la metà del VII secolo a.C., la città di Sibari
iniziò
a fondare una serie di sub-colonie lungo la costa tirrenica, con
funzioni commerciali: tra esse si annovera uno scalo, il più
settentrionale, presso la foce del Sele, dove venne fondato un
santuario
dedicato ad Hera.
Grazie
a un intenso traffico commerciale che avveniva sia per mare, entrando
in contatto con il mondo greco, etrusco e latino, sia via terra,
nella seconda metà del VII secolo a.C. si sviluppò velocemente
l'insediamento che poi dovette dar luogo a Poseidonia.
Una necropoli,
scoperta nel 1969 subito al di fuori delle mura della città,
contenente esclusivamente vasi
greci di
fattura corinzia, attesta che la polis doveva essere in vita già
intorno all'anno 625 a.C.
Nell'immagine,
una ricostruzione della città.
Tra
il 420 e il 410 a.C. i Lucani conquistarono la città mutandone il
nome in Paistom e lasciarono numerose testimonianze in tombe
affrescate secondo modelli greci. Nel 273 a.C. Roma sottrasse Paistom
alla confederazione lucana, vi insediò una colonia di diritto latino
e cambiò il nome della città in Paestum. Sotto il dominio romano
vennero realizzate importanti opere pubbliche, che mutano il volto
dell'antica polis greca: il Foro andò a sostituire l'enorme spazio
dell'agorà e ridusse l'area del santuario meridionale; il cosiddetto
"Tempio della Pace", probabilmente il Capitolium; il
santuario della Fortuna Virile; l'anfiteatro.
L'impaludamento
della città fece sì che essa si contraesse progressivamente,
ritirandosi man mano verso il punto più alto, intorno al Tempio di
Cerere, dove è attestato l'ultimo nucleo abitativo. Con la crisi
della religione pagana, poco lontano dal Tempio di Cerere sorse una
basilica cristiana (chiesa dell'Annunziata), mentre pochi anni dopo lo stesso tempio venne trasformato in chiesa. Un interessante caso di sincretismo religioso si riscontra nell'iconografia della Vergine venerata nell'area pestana: uno dei simboli della Hera poseidoniate, la melagrana, emblema di fertilità e ricchezza, passò alla Madonna, che prese l'epiteto di Madonna del Granato.
Nell'ottavo o nono secolo d.C. Paestum venne definitivamente abbandonata dagli abitanti che si rifugiarono sui monti vicini: il nuovo insediamento prese nome dalle sorgenti del Salso, Caput Aquae appunto, dal quale probabilmente deriva il toponimo Capaccio (nella foto, vista dalla piana di Paestum).
basilica cristiana (chiesa dell'Annunziata), mentre pochi anni dopo lo stesso tempio venne trasformato in chiesa. Un interessante caso di sincretismo religioso si riscontra nell'iconografia della Vergine venerata nell'area pestana: uno dei simboli della Hera poseidoniate, la melagrana, emblema di fertilità e ricchezza, passò alla Madonna, che prese l'epiteto di Madonna del Granato.
Nell'ottavo o nono secolo d.C. Paestum venne definitivamente abbandonata dagli abitanti che si rifugiarono sui monti vicini: il nuovo insediamento prese nome dalle sorgenti del Salso, Caput Aquae appunto, dal quale probabilmente deriva il toponimo Capaccio (nella foto, vista dalla piana di Paestum).
Qui trovarono scampo dalla
malaria e dalle incursioni saracene, portando con sé il culto di
Santa Maria del Granato, tuttora venerata nel santuario della Madonna
del Granato.
Per
le notizie riguardanti le scoperte e gli scavi lascio al lettore un
link.
In
corrispondenza dei punti cardinali si aprono le quattro porte
principali d'accesso; vi sono inoltre una serie di 47 aperture
minori, le posterule, funzionali sia per l'accesso in
città sia per l'organizzazione della difesa.
E’
detta Via Sacra la strada principale, cioè il Decumano Massimo,
che percorre la città antica da Porta Aurea a nord fino a Porta
Giustizia a sud. Utilizzata anche durante le processioni
religiose, venne riportata alla luce nel 1907. Larga 9 metri, si
presenta lastricata da grossi blocchi di calcare - alcuni recanti il
solco lasciato dal passaggio delle ruote dei carri - e munita di
marciapiedi sopraelevati; il lastricato romano ricalca il precedente
tracciato di età greca.
Separa la zona dell'abitato ad ovest dalle aree dei santuari settentrionale e meridionale con i templi ad est, attraversando la piazza del Foro. I quartieri abitativi non sono stati ancora del tutto portati alla luce; la parte scavata presenta grandi strutture sovrapposte a più antiche costruzioni.
Miracolosamente
giunti in ottime condizioni, tanto da essere considerati esempi unici
dell'architettura magno-greca, sono i tre templi di
ordine dorico edificati nelle due aree santuariali urbane di
Paestum, dedicate rispettivamente ad Hera e ad Athena. I
templi furono trasformati da luoghi di culto greci e romani in luoghi
di culto cristiano nella tarda antichità e nell’alto-medioevo. Nel
medioevo,
quando la popolazione abbandonò il sito e si ritirò sulle montagne
dell’interno, anche i templi furono abbandonati. Nell'XI secolo
Ruggero il Normanno avviò un'operazione di spoliazione dei materiali
dei templi, mentre Roberto il Guiscardo depredò gli edifici
abbandonati della città per ricavarne marmi e sculture da impiegare
nella costruzione del Duomo di Salerno. A partire dalla metà del
Settecento, si assiste al ritrovato interesse per l’architettura
greca pre-classica dei templi, grazie alle opere di artisti
e viaggiatori che
diffondono l’immagine decadente, ma nello stesso tempo imponente,
dei templi.
Paestum
in un dipinto nel 1898. In primo piano, le bufale, unici animali a
resistere alla malaria.
La
zona archeologica di Paestum è uno dei principali parchi
archeologici d'Italia e d'Europa, dotato di un museo, ed è stata
dichiarata dall'UNESCO nel 1988 Patrimonio Mondiale dell'Umanità. Vi
si possono ammirare tre templi greci fra i meglio conservati del
mondo; è anche caratterizzata dalla Via Magna Grecia, strada
comunale che divide in due l'antica città e l'anfiteatro. La maggior
parte della città greca non è stata ancora scavata e la presenza di
numerose attività commerciali proprio all'interno della cinta
muraria e numerose abitazioni che non rispettano i vincoli di legge
disturba notevolmente.
Paestum
è circondata da una cinta muraria quasi totalmente conservata, con
un perimetro poligonale che si sviluppa per circa 4,75 km, seguendo
l'andamento del banco di travertino sul quale sorge la città. È
costituita da una muratura a doppia cortina di grandi blocchi
squadrati, riempita al centro con terra ed intervallata da 28 torri a
pianta quadrata e circolare, quasi tutte ridotte a ruderi.
La Porta
Sirena, (foto) così chiamata da un animale fantastico scolpito con
funzioni apotropaiche all'esterno di essa, si trova sul lato est; sul
lato sud si apre invece Porta Giustizia, con un ampio
vestibolo d'accesso, difesa ai lati da due torri, una circolare, una
quadrata;
l'ingresso a ovest avveniva
attraverso Porta Marina, dotata di un
ampio vestibolo lastricato e difesa ai lati da due torri, una
circolare ed una quadrata; poco resta della Porta
Aurea a nord, demolita agli inizi dell'Ottocento.
Separa la zona dell'abitato ad ovest dalle aree dei santuari settentrionale e meridionale con i templi ad est, attraversando la piazza del Foro. I quartieri abitativi non sono stati ancora del tutto portati alla luce; la parte scavata presenta grandi strutture sovrapposte a più antiche costruzioni.
Tra il 2003 e
il 2013 l'area è stata protagonista di una
serie di interventi di restauro che hanno permesso, oltre al
recupero degli edifici, di fare luce sulle tecniche e i materiali
utilizzati per la realizzazione degli stessi. Nell'immagine,
una ricostruzione del tempio di Hera.
Alcune note prima di continuare.
Alcune note prima di continuare.
Periptero
o perittero
è la conformazione particolare di un tipo di templi antichi
circondati da un portico con colonne.
Si riferisce all'elemento utile per la definizione architettonica
delle costruzioni circondate sul perimetro esterno da colonnato su
tutti e quattro i lati della cella creando un porticato quadrangolare
(peristasi).
Per traslazione significa anche semplicemente il perimetro di un
edificio (tipicamente un tempio classico)
costituito da colonne. Il suo utilizzo è molto frequente nell'ordine
architettonico dorico.
La parte più
interna è costituita dalla cella o Naòs,
che è lo spazio più sacro del tempio, dentro la quale
si conservava il simulacro
(la statua della divinità in questione); la cella è completamente
chiusa da una porta di ingresso.
Prende il nome di crepìdoma
(fondazione) la
piattaforma a gradini
rialzata in pietra sulla quale veniva costruito il tempio. È
costituito da tre o più gradini per sopraelevare
l'edificio, separando simbolicamente la residenza degli dei dal terreno. Il piano su cui poggiano le colonne è detto
stilobate.
Il
prònao
o prodromo
è una parte del tempio greco e romano, costituita dallo spazio
davanti alla cella templare. Per estensione il pronao definisce la
parte anteriore di un qualsiasi edificio, anche moderno, che abbia
forma simile a quella di un tempio, con facciata colonnata e
frontone; può essere inteso anche come atrio o vestibolo. L'opistodomo era invece lo spazio dietro la cella.
Pianta
di un tempio periptero con il pronao evidenziato.
Infine,
una generica struttura di tempio greco.
Il
tempio era la casa degli dei, per cui ogni dio ne aveva uno a lui
dedicato.
Generalmente ai templi era riservata l'acropoli, la parte alta della città, oppure essi sorgevano in zone protette o facilmente difendibili, come penisole o isole.
Il tempio presentava una camera interna, accessibile solo al sacerdote, la cella (in greco naós), preceduta dal pronaos, e seguita da una camera che serviva a custodire gli ex voto degli dei (sala del tesoro o thesauròs in greco), oppure, in luogo di questa, dall'opistodomo, chiuso verso la cella ed aperto solo verso l'esterno. La pianta di un tempio può essere di diversi tipi, tra questi “in antis” se davanti alla cella c’è uno spazio aperto frontalmente, “in doppio antis” se tale spazio si trova anche dietro la cella. Poiché non può essere visto dall'interno, se non dai sacerdoti, presenta le maggiori decorazioni all'esterno; i templi greci erano tutti colorati, anche se a noi sono rimasti solo frammenti del colore di un tempo, grazie ai quali è stato comunque possibile ricostruirne l'aspetto originario.
Generalmente ai templi era riservata l'acropoli, la parte alta della città, oppure essi sorgevano in zone protette o facilmente difendibili, come penisole o isole.
Il tempio presentava una camera interna, accessibile solo al sacerdote, la cella (in greco naós), preceduta dal pronaos, e seguita da una camera che serviva a custodire gli ex voto degli dei (sala del tesoro o thesauròs in greco), oppure, in luogo di questa, dall'opistodomo, chiuso verso la cella ed aperto solo verso l'esterno. La pianta di un tempio può essere di diversi tipi, tra questi “in antis” se davanti alla cella c’è uno spazio aperto frontalmente, “in doppio antis” se tale spazio si trova anche dietro la cella. Poiché non può essere visto dall'interno, se non dai sacerdoti, presenta le maggiori decorazioni all'esterno; i templi greci erano tutti colorati, anche se a noi sono rimasti solo frammenti del colore di un tempo, grazie ai quali è stato comunque possibile ricostruirne l'aspetto originario.
Il
tempio di Atena o tempio di Cerere (circa 500 a.C.) è in posizione
diametralmente opposta rispetto alla "Basilica" e rispetto
ad essa di dimensioni assai minori. Presenta in facciata un alto
frontone e un fregio dorico, composto da ampi blocchi di calcare. La
struttura è più semplice di quella dei due templi dedicati ad Era
(detti "tempio di Nettuno" e "Basilica"):
presenta il pronao e la cella ma è privo di adyton, ovvero la camera
del tesoro sul retro della cella.
L'interno dell'ampio pronao
presentava sei colonne in stile ionico, di cui quattro frontali e due
laterali, di cui restano soltanto le basi e due capitelli; questi
ultimi, come nel caso della "Basilica", nascono da un
collarino ornato. Sembra essere il primo esempio della presenza dei
due ordini, dorico e ionico, nello stesso edificio. Tradizionalmente
il tempio era stato attribuito a Cerere ma in seguito al ritrovamento
di numerose statuette in terracotta che raffigurano Atena, si
propende per una dedica a questa divinità.
Il Tempio di Hera detto anche Basilica fu edificato intorno al 530 a.C., ed era probabilmente dedicato ad Era, sposa di Zeus e principale divinità venerata a Poseidonia. La denominazione "Basilica", con la quale il tempio è più noto, gli venne attribuita nel XVIII secolo, quando la cultura architettonica neoclassica cominciò ad interessarsi a Paestum. In tale periodo per la quasi totale sparizione dei muri della cella, del frontone, della trabeazione e per altre caratteristiche come l'insolito numero dispari delle colonne sul fronte, si credeva che il tempio fosse una basilica, nel senso che il termine romano indica: un luogo adibito a sede di tribunale e alle assemblee che tenevano i cittadini.
È un tempio periptero con nove colonne sui fronti e diciotto sui lati (24,35 m x 54 m). Presenta contemporaneamente caratteri arcaici con altri tipici del periodo classico come il rapporto tra larghezza e lunghezza che rispetta il canone di analoghia di 2:1. La basilica ha la particolarità di avere un numero dispari di colonne sulla fronte della peristasi. La presenza di una colonna in asse rappresenta un elemento arcaicizzante, e fu poi rifiutata dall'architettura greca del periodo classico (e da ogni stile classicista, nei vari secoli successivi), perché impediva l'accesso e la vista assiale verso il naos, negando un rapporto diretto con la sacralità del tempio.
A
circa 30 metri dalla fronte del tempio (sul lato verso la strada moderna) è collocato l’altare di pietra di cui si conservano pochi resti. Qui si sacrificavano animali durante le grandi feste per la dea, accompagnati da musica e rituali di vario tipo. A sud est del tempio sono invece i
resti di un tempietto
arcaico.
Il
Tempio
di Era
(o Hera),
detto anche Tempio
di Poseidone
o Tempio
di Nettuno,
fu eretto intorno alla metà del V secolo a.C., epoca di maggiore
fioritura del centro. Oggi si
presenta con un'architettura molto ben conservata, grazie allo stato
di secolare abbandono del sito, successivo all'impaludamento e
all'arrivo della malaria nei primi secoli dell'era cristiana. Il
tempio (24,14 x 59,98 m) è di ordine dorico, periptero esastilo (con
sei colonne sulle due facciate) e con una peristasi di 6x14 colonne.
Si eleva su un crepidoma di tre gradini.
Si eleva su un crepidoma di tre gradini.
L'interno
è costituito da un naos
dotato di pronao e opistodomo simmetrici, incorniciati da
gruppi di due colonne allineate con le due centrali del fronte.
Immediatamente dopo l'ingresso della cella vi sono, ai lati, due
piccole scale a chiocciola, semioccultate, che conducevano al tetto. La cella è divisa in tre
navate da due file di due ordini sovrapposti di sette colonne
doriche. Il
numero pari di colonne sui fianchi, quattordici in luogo delle
canoniche tredici, rappresenta un'anomalia rispetto alla canonica
pianta dei templi greci, sebbene si tratti di un'interpretazione
ricorrente in ambiente magnogreco. Altra
particolarità è la mole delle colonne, inusualmente massiccia, che
si accompagna ad una notevole rastremazione: il diametro del fusto è
infatti di 2,09 m alla base e di 1,55 m alla sommità.
La
denominazione corrente di Tempio di
Poseidon risente del retaggio delle prime entusiastiche e
fantasiose attribuzioni erudite nate all'epoca della riscoperta di
Paestum, avvenuta nel XVIII secolo. Considerato uno degli esempi
architettonici in stile templare dorico più notevole in Italia e
nella stessa Grecia, fu attribuito intorno al 1700 al Dio
Poseidon-Nettuno dal quale prendeva nome anche la località medesima
di Paestum. Nonostante la più recente attribuzione ad Apollo
Medicus, l'aspetto dei doni votivi rinvenuti nei depositi legati al
tempio lascia supporre invece che esso fosse probabilmente dedicato
sia ad Era che a Zeus. Si resta tuttavia nell'ambito delle
congetture, poiché in effetti gli elementi attualmente in possesso
degli studiosi sono troppo esigui per poter assegnare con certezza il
tempio all'una piuttosto che all'altra divinità.
Il Tempio di Hera detto anche Basilica fu edificato intorno al 530 a.C., ed era probabilmente dedicato ad Era, sposa di Zeus e principale divinità venerata a Poseidonia. La denominazione "Basilica", con la quale il tempio è più noto, gli venne attribuita nel XVIII secolo, quando la cultura architettonica neoclassica cominciò ad interessarsi a Paestum. In tale periodo per la quasi totale sparizione dei muri della cella, del frontone, della trabeazione e per altre caratteristiche come l'insolito numero dispari delle colonne sul fronte, si credeva che il tempio fosse una basilica, nel senso che il termine romano indica: un luogo adibito a sede di tribunale e alle assemblee che tenevano i cittadini.
È un tempio periptero con nove colonne sui fronti e diciotto sui lati (24,35 m x 54 m). Presenta contemporaneamente caratteri arcaici con altri tipici del periodo classico come il rapporto tra larghezza e lunghezza che rispetta il canone di analoghia di 2:1. La basilica ha la particolarità di avere un numero dispari di colonne sulla fronte della peristasi. La presenza di una colonna in asse rappresenta un elemento arcaicizzante, e fu poi rifiutata dall'architettura greca del periodo classico (e da ogni stile classicista, nei vari secoli successivi), perché impediva l'accesso e la vista assiale verso il naos, negando un rapporto diretto con la sacralità del tempio.
L'edificio
conserva
le
50 colonne della peristàsi ancora in piedi complete di trabeazione
mentre naos, decorazioni del fregio, cornice e frontoni
(probabilmente privi di rilievi) sono andati distrutti
col
tempo. Le colonne, alte 4,68 m, sono fortemente rastremate.
Il coronamento del tempio era in terracotta
policroma,
con finte grondaie a testa di leone (foto scattata nel museo).
Sin
dal loro arrivo, intorno al 600 a.C., i coloni sibariti si
preoccuparono di dividere gli spazi: i quartieri abitativi furono
nettamente distinti da un’ampia fascia
centrale destinata
a funzioni pubbliche. Quest’ultima, a sua volta, venne suddivisa in
tre aree: quelle a nord e a sud, dedicate alle divinità, in cui
ancora oggi possiamo ammirare i tre maestosi templi dorici; quella
centrale, riservata alle attività politiche e commerciali, l’agorà.
Cuore politico della città, occupava uno spazio di circa 10 ettari.
Sull’agorà
furono realizzati due monumenti simbolici dell’immagine politica
della città. Il primo, definito “heroon”,
è una struttura a camera parzialmente scavata nella roccia intorno
al 520 a. C. e costruita probabilmente
come cenotafio in onore
del mitico eroe fondatore della colonia. Era
coperto da un tumulo conico di terracotta (simile a quelli trovati a
Micene) che fu rimosso nel III secolo a.C. e sostituito da un tetto
di tegole. L’edificio
fu rispettato dai Lucani, mentre
dopo l’arrivo della colonia latina (273 a.C.) l'edificio fu
sepolto, ma in segno di rispetto la sua inviolabilità fu marcata da
un recinto. Al suo
interno è stato ritrovato un corredo
eccezionale,
custodito ora
all’interno del Museo Archeologico, con
dei vasi contenenti miele perfettamente conservato.
L’Ekklesiasterion, il secondo, all'estremità orientale dell'agorà,
è l'edificio per le assemblee politiche (ekklesiai) di Poseidonia
greca. Di forma circolare, è caratterizzato da gradinate concentiche
tagliate direttamente nel banco roccioso sottostante, e poteva
accogliere fino a 1700 persone. L'edificio, datato al 480-470 a.C.,
fu mantenuto in uso in età lucana e posto sotto tutela di Zeus
Agoraios come attesta
l'iscrizione dipinta (in lingua osca, parlata dai Lucani, ma scritta con lettere greche) posta su di una stele di calcare, collocata in questo edificio (oggi esposta nel Museo Archeologico di Paestum), che fungeva da sostegno ad una statuetta del dio. Con la deduzione della colonia latina, l'edificio, persa ogni sua funzione, venne colmato di terra e dei resti ossei dei sacrifici effettuati, e su di esso costruito un santuario.
Immagine: iscrizione in lingua osca utilizzando lettere greche, dipinta in rosso su di una stele in pietra calcarea ricoperta di stucco bianco. Databile al IV sec. a.C. è la dedica a Giove di un magistrato lucano di nome Statis.
l'iscrizione dipinta (in lingua osca, parlata dai Lucani, ma scritta con lettere greche) posta su di una stele di calcare, collocata in questo edificio (oggi esposta nel Museo Archeologico di Paestum), che fungeva da sostegno ad una statuetta del dio. Con la deduzione della colonia latina, l'edificio, persa ogni sua funzione, venne colmato di terra e dei resti ossei dei sacrifici effettuati, e su di esso costruito un santuario.
Immagine: iscrizione in lingua osca utilizzando lettere greche, dipinta in rosso su di una stele in pietra calcarea ricoperta di stucco bianco. Databile al IV sec. a.C. è la dedica a Giove di un magistrato lucano di nome Statis.
La
città divenne
colonia latina nel 273 a.C. col nome di Paestum. La
trasformazione dell'assetto politico segnò radicali cambiamenti
nell'organizzazione dello spazio pubblico: nella parte meridionale
dell'agorà fu insediato il foro, una piazza di forma rettangolare
che misura circa 200 metri in senso est-ovest e 60 nord-sud. Il foro
si presenta fiancheggiato da vari edifici pubblici, religiosi e
botteghe, cinto su tre lati almeno da un porticato su un piano
leggermente rialzato.
Della
fase di età imperiale si conservano quattro basi marmoree di colonne
poste intorno a una struttura ottagonale, cosa che ha fatto
identificare il complesso con un macellum
(mercato).
Segue un edificio rettangolare comunicante con il precedente, con
semicolonne addossate alle pareti e un'esedra semicircolare:
si pensa possa trattarsi della curia (foto).
Una
sala rettangolare rappresenta i resti delle Terme,
parzialmente scavate e ricostruite. Sul lato nord del Foro si trova
il cosiddetto "Tempio Italico", probabilmente il Capitolium
della città romana. Si tratta di un tempio esastilo, su un alto
podio, preceduto da un'ampia gradinata con un semplice altare
rettangolare.
Il lato orientale del tempio si innesta su un edificio in cui si riconosce il comitium. Qui
avvenivano le elezioni dei magistrati e l'emissione dei giudizi.
L'edificio è racchiuso in uno spazio quadrato e si
compone di una cavea a pianta circolare con gradinate.
Veduta aerea della zona.
Come
si può osservare dalla
foto, l'ampliamento
della Curia ha determinato il taglio della parte nord della cavea del
Comitium.
Qui si trova anche l’Anfiteatro: quelli di origine romana
erano a pianta ellittica e vi si svolgevano combattimenti tra
gladiatori e fiere. A Paestum era munito di un’entrata con
volta a vela e due porte laterali ad arco che davano accesso alle
gradinate.
Anche il corridoio per accedere nell'arena era a volta e comunicava con essa per mezzo di piccole porte.
Anche il corridoio per accedere nell'arena era a volta e comunicava con essa per mezzo di piccole porte.
Risalente
all’età tardo- repubblicana, costruito per volere dell’imperatore
Giulio Cesare intorno al 50 a.C., inizialmente
senza l'anello esterno, conserva pochi gradini della cavea (gradinata
per il pubblico), che ha uno sviluppo
relativamente ridotto e l’arena non è molto ampia. Il
balteo, parapetto separante l'arena della cavea, fu realizzato fino a
discreta altezza per evitare l'aggressione degli animali che si
esibivano nell'arena. Alla fine del I sec. d.C. vi fu aggiunto un
anello esterno costituito da una serie di arcate poggiate su pilastri
in laterizio al di sopra delle quali venne posizionato il coronamento
della cavea forse eseguito in legno. Attualmente l'anfiteatro è
visibile solo in parte dal momento che l’altra metà si trova sotto la strada che taglia in due il sito
archeologico, la “Tirrenia Inferiore”, costruita nel 1829 per
collegare Salerno con la Calabria.
La
visita al Parco Archeologico si chiude con il Museo, ma vista la mole
di lavoro già fatta apro un’altra pagina. Lascio in chiusura
un’immagine eloquente della strada che ha tagliato devastandole le
rovine di Paestum, per ospitare abitazioni, ristoranti e negozietti.
La cronaca continua.
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