venerdì 6 luglio 2018

Gita nel Cilento - quarta parte - Paestum

4 giugno: siamo rimasti l'intera giornata al villaggio.
5 giugno: Paestum.

Paestum, nome latinizzato del termine Paistom con il quale venne definita dopo la sua conquista da parte dei Lucani, è un'antica città della Magna Grecia chiamata dai fondatori Poseidonia in onore di Poseidone, ma devotissima a Era e Atena. L'estensione del suo abitato è ancora oggi ben riconoscibile, racchiuso dalle sue mura greche, modificate in epoca lucana e poi romana. In passato era nota anche come Pesto. È localizzata in provincia di Salerno, come frazione del comune di Capaccio Paestum nella Piana del Sele, vicino al litorale, a nord del Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni. 

Pianta di Paestum del 1732 realizzata prima dell'apertura da parte di Carlo di Borbone dell'attuale SS18, che tuttora la attraversa. La pianta della città, ben riconoscibile in tutti i suoi elementi, risulta tuttavia molto imprecisa e approssimativa. Sotto, pianta odierna.




La città è stata abitata fin dall'epoca preistorica. Ad oriente della Basilica  sono stati rinvenuti manufatti databili dall'età paleolitica fino all'età del bronzo; a sud verso Porta Giustizia, si sono scoperti resti di capanne, testimonianza di un abitato preistorico.

Nell'area del Tempio di Cerere, e tra questo e Porta Aurea, è stato documentato uno stanziamento di età neolitica: poiché sia la Basilica che il Tempio di Cerere si trovano su due lievi alture si può immaginare che fossero occupate da due villaggi, separati da un piccolo torrente che scorreva dove oggi si trova il Foro.

Verso la metà del VII secolo a.C., la città di Sibari iniziò a fondare una serie di sub-colonie lungo la costa tirrenica, con funzioni commerciali: tra esse si annovera uno scalo, il più settentrionale, presso la foce del Sele, dove venne fondato un santuario dedicato ad Hera.

Grazie a un intenso traffico commerciale che avveniva sia per mare, entrando in contatto con il mondo greco, etrusco e latino, sia via terra, nella seconda metà del VII secolo a.C. si sviluppò velocemente l'insediamento che poi dovette dar luogo a Poseidonia. Una necropoli, scoperta nel 1969 subito al di fuori delle mura della città, contenente esclusivamente vasi greci di fattura corinzia, attesta che la polis doveva essere in vita già intorno all'anno 625 a.C.
Nell'immagine, una ricostruzione della città.

Tra il 420 e il 410 a.C. i Lucani conquistarono la città mutandone il nome in Paistom e lasciarono numerose testimonianze in tombe affrescate secondo modelli greci. Nel 273 a.C. Roma sottrasse Paistom alla confederazione lucana, vi insediò una colonia di diritto latino e cambiò il nome della città in Paestum. Sotto il dominio romano vennero realizzate importanti opere pubbliche, che mutano il volto dell'antica polis greca: il Foro andò a sostituire l'enorme spazio dell'agorà e ridusse l'area del santuario meridionale; il cosiddetto "Tempio della Pace", probabilmente il Capitolium; il santuario della Fortuna Virile; l'anfiteatro. 

Il geografo Strabone riporta che Paestum era resa insalubre da un fiume che scorreva poco distante e che si spandeva fino a creare una palude. Si tratta del Salso, identificato con Capodifiume, corso d'acqua che tuttora fluisce a ridosso delle mura meridionali, dove, in corrispondenza di Porta Giustizia, è scavalcato da un ponticello databile al IV secolo a.C. Caratteristica delle acque del Salso era quella di pietrificare in breve tempo qualsiasi cosa, essendo ricchissime di calcare

L'impaludamento della città fece sì che essa si contraesse progressivamente, ritirandosi man mano verso il punto più alto, intorno al Tempio di Cerere, dove è attestato l'ultimo nucleo abitativo. Con la crisi della religione pagana, poco lontano dal Tempio di Cerere sorse una 



basilica cristiana (chiesa dell'Annunziata), mentre pochi anni dopo lo stesso tempio venne trasformato in chiesa. Un interessante caso di sincretismo religioso si riscontra nell'iconografia della Vergine venerata nell'area pestana: uno dei simboli della Hera poseidoniate, la melagrana, emblema di fertilità e ricchezza, passò alla Madonna, che prese l'epiteto di Madonna del Granato

Nell'ottavo o nono secolo d.C. Paestum venne definitivamente abbandonata dagli abitanti che si rifugiarono sui monti vicini: il nuovo insediamento prese nome dalle sorgenti del Salso, Caput Aquae appunto, dal quale probabilmente deriva il toponimo Capaccio (nella foto, vista dalla piana di Paestum).

Qui trovarono scampo dalla malaria e dalle incursioni saracene, portando con sé il culto di Santa Maria del Granato, tuttora venerata nel santuario della Madonna del Granato.
Per le notizie riguardanti le scoperte e gli scavi lascio al lettore un link.



Paestum in un dipinto nel 1898. In primo piano, le bufale, unici animali a resistere alla malaria. 

La zona archeologica di Paestum è uno dei principali parchi archeologici d'Italia e d'Europa, dotato di un museo, ed è stata dichiarata dall'UNESCO nel 1988 Patrimonio Mondiale dell'Umanità. Vi si possono ammirare tre templi greci fra i meglio conservati del mondo; è anche caratterizzata dalla Via Magna Grecia, strada comunale che divide in due l'antica città e l'anfiteatro. La maggior parte della città greca non è stata ancora scavata e la presenza di numerose attività commerciali proprio all'interno della cinta muraria e numerose abitazioni che non rispettano i vincoli di legge disturba notevolmente. 

Paestum è circondata da una cinta muraria quasi totalmente conservata, con un perimetro poligonale che si sviluppa per circa 4,75 km, seguendo l'andamento del banco di travertino sul quale sorge la città. È costituita da una muratura a doppia cortina di grandi blocchi squadrati, riempita al centro con terra ed intervallata da 28 torri a pianta quadrata e circolare, quasi tutte ridotte a ruderi.

In corrispondenza dei punti cardinali si aprono le quattro porte principali d'accesso; vi sono inoltre una serie di 47 aperture minori, le posterule, funzionali sia per l'accesso in città sia per l'organizzazione della difesa.


La Porta Sirena, (foto) così chiamata da un animale fantastico scolpito con funzioni apotropaiche all'esterno di essa, si trova sul lato est; sul lato sud si apre invece Porta Giustizia, con un ampio vestibolo d'accesso, difesa ai lati da due torri, una circolare, una quadrata; 

l'ingresso a ovest avveniva attraverso Porta Marina, dotata di un ampio vestibolo lastricato e difesa ai lati da due torri, una circolare ed una quadrata; poco resta della Porta Aurea a nord, demolita agli inizi dell'Ottocento.

E’ detta Via Sacra la strada principale, cioè il Decumano Massimo, che percorre la città antica da Porta Aurea a nord fino a Porta Giustizia a sud. Utilizzata anche durante le processioni religiose, venne riportata alla luce nel 1907. Larga 9 metri, si presenta lastricata da grossi blocchi di calcare - alcuni recanti il solco lasciato dal passaggio delle ruote dei carri - e munita di marciapiedi sopraelevati; il lastricato romano ricalca il precedente tracciato di età greca. 

Separa la zona dell'abitato ad ovest dalle aree dei santuari settentrionale e meridionale con i templi ad est, attraversando la piazza del Foro. I quartieri abitativi non sono stati ancora del tutto portati alla luce; la parte scavata presenta grandi strutture sovrapposte a più antiche costruzioni. 
Miracolosamente giunti in ottime condizioni, tanto da essere considerati esempi unici dell'architettura magno-greca, sono i tre templi di ordine dorico edificati nelle due aree santuariali urbane di Paestum, dedicate rispettivamente ad Hera e ad Athena. I templi furono trasformati da luoghi di culto greci e romani in luoghi di culto cristiano nella tarda antichità e nell’alto-medioevo. Nel medioevo, quando la popolazione abbandonò il sito e si ritirò sulle montagne dell’interno, anche i templi furono abbandonati. Nell'XI secolo Ruggero il Normanno avviò un'operazione di spoliazione dei materiali dei templi, mentre Roberto il Guiscardo depredò gli edifici abbandonati della città per ricavarne marmi e sculture da impiegare nella costruzione del Duomo di Salerno. A partire dalla metà del Settecento, si assiste al ritrovato interesse per l’architettura greca pre-classica dei templi, grazie alle opere di artisti e viaggiatori che diffondono l’immagine decadente, ma nello stesso tempo imponente, dei templi.
Tra il 2003 e il 2013 l'area è stata protagonista di una serie di interventi di restauro che hanno permesso, oltre al recupero degli edifici, di fare luce sulle tecniche e i materiali utilizzati per la realizzazione degli stessi. Nell'immagine, una ricostruzione del tempio di Hera.

Alcune note prima di continuare.

Periptero o perittero è la conformazione particolare di un tipo di templi antichi circondati da un portico con colonne. Si riferisce all'elemento utile per la definizione architettonica delle costruzioni circondate sul perimetro esterno da colonnato su tutti e quattro i lati della cella creando un porticato quadrangolare (peristasi). Per traslazione significa anche semplicemente il perimetro di un edificio (tipicamente un tempio classico) costituito da colonne. Il suo utilizzo è molto frequente nell'ordine architettonico dorico. La parte più interna è costituita dalla cella o Naòs, che è lo spazio più sacro del tempio, dentro la quale si conservava il simulacro (la statua della divinità in questione); la cella è completamente chiusa da una porta di ingresso.

Prende il nome di crepìdoma (fondazione) la piattaforma a gradini rialzata in pietra sulla quale veniva costruito il tempio. È costituito da tre o più gradini per sopraelevare l'edificio, separando simbolicamente la residenza degli dei dal terreno. Il piano su cui poggiano le colonne è detto stilobate. 

Il prònao o prodromo è una parte del tempio greco e romano, costituita dallo spazio davanti alla cella templare. Per estensione il pronao definisce la parte anteriore di un qualsiasi edificio, anche moderno, che abbia forma simile a quella di un tempio, con facciata colonnata e frontone; può essere inteso anche come atrio o vestibolo. L'opistodomo era invece lo spazio dietro la cella.
Pianta di un tempio periptero con il pronao evidenziato.

Infine, una generica struttura di tempio greco.
Il tempio era la casa degli dei, per cui ogni dio ne aveva uno a lui dedicato.
Generalmente ai templi era riservata l'acropoli, la parte alta della città, oppure essi sorgevano in zone protette o facilmente difendibili, come penisole o isole.
Il tempio presentava una camera interna, accessibile solo al sacerdote, la cella (in greco naós), preceduta dal pronaos, e seguita da una camera che serviva a custodire gli ex voto degli dei (sala del tesoro o thesauròs in greco), oppure, in luogo di questa, dall'opistodomo, chiuso verso la cella ed aperto solo verso l'esterno.
La pianta di un tempio può essere di diversi tipi, tra questi “in antis” se davanti alla cella c’è uno spazio aperto frontalmente, “in doppio antis” se tale spazio si trova anche dietro la cella.  
Poiché non può essere visto dall'interno, se non dai sacerdoti, presenta le maggiori decorazioni all'esterno; i templi greci erano tutti colorati, anche se a noi sono rimasti solo frammenti del colore di un tempo, grazie ai quali è stato comunque possibile ricostruirne l'aspetto originario. 

Il tempio di Atena o tempio di Cerere (circa 500 a.C.) è in posizione diametralmente opposta rispetto alla "Basilica" e rispetto ad essa di dimensioni assai minori. Presenta in facciata un alto frontone e un fregio dorico, composto da ampi blocchi di calcare. La struttura è più semplice di quella dei due templi dedicati ad Era (detti "tempio di Nettuno" e "Basilica"): presenta il pronao e la cella ma è privo di adyton, ovvero la camera del tesoro sul retro della cella.


L'interno dell'ampio pronao presentava sei colonne in stile ionico, di cui quattro frontali e due laterali, di cui restano soltanto le basi e due capitelli; questi ultimi, come nel caso della "Basilica", nascono da un collarino ornato. Sembra essere il primo esempio della presenza dei due ordini, dorico e ionico, nello stesso edificio. Tradizionalmente il tempio era stato attribuito a Cerere ma in seguito al ritrovamento di numerose statuette in terracotta che raffigurano Atena, si propende per una dedica a questa divinità.


A circa 30 metri dalla fronte del tempio (sul lato verso la strada moderna) è collocato l’altare di pietra di cui si conservano pochi resti. Qui si sacrificavano animali durante le grandi feste per la dea, accompagnati da musica e rituali di vario tipo. A sud est del tempio sono invece i resti di un tempietto arcaico.

Il Tempio di Era (o Hera), detto anche Tempio di Poseidone o Tempio di Nettuno, fu eretto intorno alla metà del V secolo a.C., epoca di maggiore fioritura del centro. Oggi si presenta con un'architettura molto ben conservata, grazie allo stato di secolare abbandono del sito, successivo all'impaludamento e all'arrivo della malaria nei primi secoli dell'era cristiana. Il tempio (24,14 x 59,98 m) è di ordine dorico, periptero esastilo (con sei colonne sulle due facciate) e con una peristasi di 6x14 colonne. 



Si eleva su un crepidoma di tre gradini.


L'interno è costituito da un naos dotato di pronao e opistodomo simmetrici, incorniciati da gruppi di due colonne allineate con le due centrali del fronte. Immediatamente dopo l'ingresso della cella vi sono, ai lati, due piccole scale a chiocciola, semioccultate, che conducevano al tetto. La cella è divisa in tre navate da due file di due ordini sovrapposti di sette colonne doriche. Il numero pari di colonne sui fianchi, quattordici in luogo delle canoniche tredici, rappresenta un'anomalia rispetto alla canonica pianta dei templi greci, sebbene si tratti di un'interpretazione ricorrente in ambiente magnogrecoAltra particolarità è la mole delle colonne, inusualmente massiccia, che si accompagna ad una notevole rastremazione: il diametro del fusto è infatti di 2,09 m alla base e di 1,55 m alla sommità. 

La denominazione corrente di Tempio di Poseidon risente del retaggio delle prime entusiastiche e fantasiose attribuzioni erudite nate all'epoca della riscoperta di Paestum, avvenuta nel XVIII secolo. Considerato uno degli esempi architettonici in stile templare dorico più notevole in Italia e nella stessa Grecia, fu attribuito intorno al 1700 al Dio Poseidon-Nettuno dal quale prendeva nome anche la località medesima di Paestum. Nonostante la più recente attribuzione ad Apollo Medicus, l'aspetto dei doni votivi rinvenuti nei depositi legati al tempio lascia supporre invece che esso fosse probabilmente dedicato sia ad Era che a Zeus. Si resta tuttavia nell'ambito delle congetture, poiché in effetti gli elementi attualmente in possesso degli studiosi sono troppo esigui per poter assegnare con certezza il tempio all'una piuttosto che all'altra divinità. 


Il Tempio di Hera detto anche Basilica fu edificato intorno al 530 a.C., ed era probabilmente dedicato ad Era, sposa di Zeus e principale divinità venerata a Poseidonia. La denominazione "Basilica", con la quale il tempio è più noto, gli venne attribuita nel XVIII secolo, quando la cultura architettonica neoclassica cominciò ad interessarsi a Paestum. In tale periodo per la quasi totale sparizione dei muri della cella, del frontone, della trabeazione e per altre caratteristiche come l'insolito numero dispari delle colonne sul fronte, si credeva che il tempio fosse una basilica, nel senso che il termine romano indica: un luogo adibito a sede di tribunale e alle assemblee che tenevano i cittadini.


È un tempio periptero con nove colonne sui fronti e diciotto sui lati (24,35 m x 54 m). Presenta contemporaneamente caratteri arcaici con altri tipici del periodo classico come il rapporto tra larghezza e lunghezza che rispetta il canone di analoghia di 2:1. La basilica ha la particolarità di avere un numero dispari di colonne sulla fronte della peristasi. La presenza di una colonna in asse rappresenta un elemento arcaicizzante, e fu poi rifiutata dall'architettura greca del periodo classico (e da ogni stile classicista, nei vari secoli successivi), perché impediva l'accesso e la vista assiale verso il naos, negando un rapporto diretto con la sacralità del tempio.


L'edificio conserva le 50 colonne della peristàsi ancora in piedi complete di trabeazione mentre naos, decorazioni del fregio, cornice e frontoni (probabilmente privi di rilievi) sono andati distrutti col tempo. Le colonne, alte 4,68 m, sono fortemente rastremate. Il coronamento del tempio era in terracotta policroma, con finte grondaie a testa di leone (foto scattata nel museo).


Sin dal loro arrivo, intorno al 600 a.C., i coloni sibariti si preoccuparono di dividere gli spazi: i quartieri abitativi furono nettamente distinti da un’ampia fascia centrale destinata a funzioni pubbliche. Quest’ultima, a sua volta, venne suddivisa in tre aree: quelle a nord e a sud, dedicate alle divinità, in cui ancora oggi possiamo ammirare i tre maestosi templi dorici; quella centrale, riservata alle attività politiche e commerciali, l’agorà. Cuore politico della città, occupava uno spazio di circa 10 ettari.

Sull’agorà furono realizzati due monumenti simbolici dell’immagine politica della città. Il primo, definito “heroon”, è una struttura a camera parzialmente scavata nella roccia intorno al 520 a. C. e costruita probabilmente come cenotafio in onore del mitico eroe fondatore della colonia. Era coperto da un tumulo conico di terracotta (simile a quelli trovati a Micene) che fu rimosso nel III secolo a.C. e sostituito da un tetto di tegole. L’edificio fu rispettato dai Lucani, mentre dopo l’arrivo della colonia latina (273 a.C.) l'edificio fu sepolto, ma in segno di rispetto la sua inviolabilità fu marcata da un recinto. Al suo interno è stato ritrovato un corredo eccezionale, custodito ora all’interno del Museo Archeologico, con dei vasi contenenti miele perfettamente conservato.

L’Ekklesiasterion, il secondo,  all'estremità orientale dell'agorà, è l'edificio per le assemblee politiche (ekklesiai) di Poseidonia greca. Di forma circolare, è caratterizzato da gradinate concentiche tagliate direttamente nel banco roccioso sottostante, e poteva accogliere fino a 1700 persone. L'edificio, datato al 480-470 a.C., fu mantenuto in uso in età lucana e posto sotto tutela di Zeus Agoraios come attesta 


l'iscrizione dipinta (in lingua osca, parlata dai Lucani, ma scritta con lettere greche) posta su di una stele di calcare, collocata in questo edificio (oggi esposta nel Museo Archeologico di Paestum), che fungeva da sostegno ad una statuetta del dio. Con la deduzione della colonia latina, l'edificio, persa ogni sua funzione, venne colmato di terra e dei resti ossei dei sacrifici effettuati, e su di esso costruito un santuario.
Immagine: iscrizione in lingua osca utilizzando lettere greche, dipinta in rosso su di una stele in pietra calcarea ricoperta di stucco bianco. Databile al IV sec. a.C. è la dedica a Giove di un magistrato lucano di nome Statis. 

La città divenne colonia latina nel 273 a.C. col nome di Paestum. La trasformazione dell'assetto politico segnò radicali cambiamenti nell'organizzazione dello spazio pubblico: nella parte meridionale dell'agorà fu insediato il foro, una piazza di forma rettangolare che misura circa 200 metri in senso est-ovest e 60 nord-sud. Il foro si presenta fiancheggiato da vari edifici pubblici, religiosi e botteghe, cinto su tre lati almeno da un porticato su un piano leggermente rialzato. 


Della fase di età imperiale si conservano quattro basi marmoree di colonne poste intorno a una struttura ottagonale, cosa che ha fatto identificare il complesso con un macellum (mercato). Segue un edificio rettangolare comunicante con il precedente, con semicolonne addossate alle pareti e un'esedra semicircolare: si pensa possa trattarsi della curia (foto).

Una sala rettangolare rappresenta i resti delle Terme, parzialmente scavate e ricostruite. Sul lato nord del Foro si trova il cosiddetto "Tempio Italico", probabilmente il Capitolium della città romana. Si tratta di un tempio esastilo, su un alto podio, preceduto da un'ampia gradinata con un semplice altare rettangolare. 

Il lato orientale del tempio si innesta su un edificio in cui si riconosce il comitiumQui avvenivano le elezioni dei magistrati e l'emissione dei giudizi. L'edificio è racchiuso in uno spazio quadrato e si compone di una cavea a pianta circolare con gradinate. 


Veduta aerea della zona.
Come si può osservare dalla foto, l'ampliamento della Curia ha determinato il taglio della parte nord della cavea del Comitium. 

Qui si trova anche l’Anfiteatro: quelli di origine romana erano a pianta ellittica e vi si svolgevano combattimenti tra gladiatori e fiere. A Paestum era munito di un’entrata con volta a vela e due porte laterali ad arco che davano accesso alle gradinate. 


Anche il corridoio per accedere nell'arena era a volta e comunicava con essa per mezzo di piccole porte.


Risalente all’età tardo- repubblicana, costruito per volere dell’imperatore Giulio Cesare intorno al 50 a.C., inizialmente senza l'anello esterno, conserva pochi gradini della cavea (gradinata per il pubblico), che ha uno sviluppo relativamente ridotto e l’arena non è molto ampia. Il balteo, parapetto separante l'arena della cavea, fu realizzato fino a discreta altezza per evitare l'aggressione degli animali che si esibivano nell'arena. Alla fine del I sec. d.C. vi fu aggiunto un anello esterno costituito da una serie di arcate poggiate su pilastri in laterizio al di sopra delle quali venne posizionato il coronamento della cavea forse eseguito in legno. Attualmente l'anfiteatro è visibile solo in parte dal momento che l’altra metà si trova sotto la strada che taglia in due il sito archeologico, la “Tirrenia Inferiore”, costruita nel 1829 per collegare Salerno con la Calabria. 

La visita al Parco Archeologico si chiude con il Museo, ma vista la mole di lavoro già fatta apro un’altra pagina. Lascio in chiusura un’immagine eloquente della strada che ha tagliato devastandole le rovine di Paestum, per ospitare abitazioni, ristoranti e negozietti.
La cronaca continua.

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