Castellabate
si estende prevalentemente sulla costa tirrenica, nell'estremo
meridionale del golfo di Salerno e il suo territorio rientra nel
parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni. Domina un
promontorio (278 m s.l.m.), un'estrema propaggine del monte Stella a
ridosso della fascia costiera tra punta Licosa e punta Pagliarolo e
delle frazioni di Santa Maria e San Marco. Il mare e la costa di
Castellabate sono dal 1972 sotto tutela biologica marina per
preservarne il patrimonio naturale e ambientale, rappresentando uno
dei primi esempi di parco marino in Italia. Nel 2009 è stata
istituita l'area marina protetta Santa Maria di Castellabate, che
abbraccia la zona tra la baia del Saùco (o del Vallone) e la punta
di Ogliastro.
Soprattutto
nella zona costiera di Licosa e Ogliastro Marina il
territorio
è caratterizzato dalla presenza del "flysch del Cilento",
una roccia sedimentaria composta da diverse stratificazioni
(costituite tipicamente da alternanze cicliche di arenaria, di
argilla o marna, di calcare). Si è formata a seguito dell'erosione
delle montagne in formazione, che sono emerse dal mare, e i cui
detriti quindi si sedimentarono nelle adiacenze dei bacini marini.
Tali rocce, immerse nella macchia mediterranea, degradano lentamente
nel mare estendendosi anche per oltre cinque miglia. Nei fondali
questa conformazione rocciosa, formata da numerose cavità e
spaccature, viene utilizzata come rifugio da diversi organismi
animali e vegetali. Tra San Marco e punta Licosa è ben visibile
l'affioramento degli strati del flysh, che si presentano deformati e
inclinati rispetto all'originario assetto orizzontale e l'azione del
moto ondoso, erodendo maggiormente i livelli più teneri, ne esalta
la stratificazione.
La
storia del
territorio è legata a san Costabile
Gentilcore, quarto abate della Badia di Cava. Nell'anno in
cui fu elevato alla dignità di abate avviò i lavori di
costruzione del castello di Sant'Angelo (10 ottobre 1123), ma morì il 17
febbraio 1124. Il suo successore, l'abate Simeone, completò la
costruzione del maniero e si prodigò in favore della popolazione
locale.
Nel
1124 egli comprò dal conte di Acerno il porto "Travierso" (oggi chiamato delle gatte) e lo fece ampliare, sviluppando così il commercio. Nel 1138 concesse
ai sudditi del potere feudale dell'abbazia un diploma di diversi
privilegi: ridusse a metà gli aggravi, donò ad essi le case che
abitavano e le terre chiedendo in cambio la loro bonifica e
coltivazione. Dal 1194 al 1266 il feudo fu sotto il dominio svevo,
per passare poi sotto quello angioino.
Il
castello si rivelò un valido presidio, una fortezza dotata di mura perimetrali con quattro torri angolari a
pianta rotonda. All'interno si trovavano abitazioni, forni, cisterne e
magazzini per le provviste. Sono accessibili anche i sotterranei, che,
secondo alcune leggende, raggiungono le frazioni marine per poter
permettere la fuga in caso di invasione. La struttura, completamente
restaurata, è diventata un punto di riferimento per manifestazioni
artistiche, culturali e sociali.
Castellabate, grazie
anche ai benefici derivati dalla sua posizione naturale, divenne col
tempo la più importante baronia del Cilento.
Il
paese passò
praticamente incolume la fase della prima guerra mondiale. Nel
settembre del 1943, durante la seconda guerra mondiale, il
territorio, come gran parte della costa salernitana, fu teatro del
cosiddetto sbarco di Salerno: le truppe degli alleati occuparono la
marina di Castellabate per diversi giorni prima di avanzare verso
Roma.
Negli
anni settanta il paese fu teatro di una profonda trasformazione
urbana, che lo tramutò da territorio agricolo e dedito alla pesca a
centro turistico balneare, con la costruzione di alberghi, camping,
residence e seconde case estive.
La
città fa parte dei
borghi
più belli d'Italia,
un'associazione che promuove i piccoli centri abitati italiani che
decidono di associarsi con una qualifica di "spiccato interesse
storico e artistico".
Il
toponimo comunale deriva dal castello di Sant'Angelo, costruito
dall'abate Costabile Gentilcore sull'omonimo colle. Dopo la sua
morte, la fortezza fu intitolata dalla popolazione locale al suo
ideatore, dando origine al nome del borgo secondo questa linea
etimologica: Castrum abbatis > "Castello de lo abbate" >
"Castello dell'abbate" > "Castellabate"
La
popolazione di Castellabate ha una particolare devozione per san
Costabile, al quale sono stati attribuiti diversi miracoli e
leggende, legate ai periodi di difficoltà storici del borgo: le
epidemie di peste e colera, gli assalti saraceni e il secondo
conflitto mondiale. La leggenda più tramandata è quella delle
capre, che narra di cinque navi pirate che nel 1623 erano pronte ad
assalire Castellabate. I suoi abitanti, impauriti, lasciarono di
fretta le proprie abitazioni per rifugiarsi nel castello in cima al
colle. La sera, quando la speranza di salvezza per gli assediati
stava venendo meno, si videro circa settecento capre con delle
fiaccole legate alle corna, guidate da san Costabile, che si
dirigevano verso il litorale dove i Turchi si apprestavano a dare
l'assalto. Questi pensando che si trattasse di un considerevole
numero di castellabatesi pronti a difendere l'abitato, abbandonarono
l'intento di assalire il borgo e fuggirono.
La
nostra visita comincia dal belvedere che conduce al castello: ci
accoglie una bella scritta bianca sul prato sottostante la
costruzione interna ai bastioni.
La vista è spettacolare: a sinistra
ammiriamo San Marco, una delle frazioni sul mare, sede portuale
comunale.
A destra Santa Maria, la frazione maggiore di Castellabate,
sede comunale e dell’area marina protetta.
In zona si vede anche
Palazzo Belmonte: nato inizialmente come casino di caccia secondo lo
stile degli architetti spagnoli al servizio dei Borbone di Napoli,
ospita i principi Granito Pignatelli di Belmonte.
L'abitato
medievale sorge su colle Sant'Angelo e si sviluppa intorno alle mura
del Castello. Il borgo è caratterizzato dall'intreccio di vicoletti
in pietra viva
e stretti passaggi al di sotto delle casette
comunicanti. Tra queste si collocano i vari palazzi gentilizi del
Settecento, costruiti ex novo o ampliati da dimore preesistenti, che
appartengono a famiglie facoltose del luogo o della nobiltà
salernitana e napoletana.
Tra i tanti, palazzo Perrotti del XVII
secolo, che conserva intatta la stanza dove l’11 e il 12 novembre
del 1811 soggiornò Gioacchino Murat. Nelle vicinanze si trova la
famosa lapide con la scritta “Qui non si muore”.
A
pochi passi da Piazza Perrotti si trova la Basilica di
Santa Maria de Gulia, risalente alla prima metà del XII secolo,
sorta sulla preesistente cappella basiliana. Pur essendo dedicata a
santa Maria Assunta assume il nome di Santa Maria de Gulia, per
aferesi, da “agulia” il nome medievale dell'aquila, perché il
colle sul quale sorgeva, visto dal mare, sembra un'aquila con il rostro rivolto a destra. Il nome potrebbe derivare anche da
guglia, cioè cima, vetta.
Dettaglio della cupola con la finestra a campana.
La
chiesa fu consacrata il 17 gennaio 1138, dal beato Simeone quinto
abate di Cava, e nel 1988, il 2 agosto è stata elevata a basilica
minore grazie all'importanza del ruolo rivestito per il territorio in
ambito sia religioso che socioeconomico. In origine la struttura a
due navate di stile romanico ha subito varie trasformazioni di stili
e di volumetrie.
Dopo l'ultimo ampliamento nel Seicento si presenta
suddivisa in tre navate da due serie di quattro archi
e con il suo
caratteristico campanile tardo-romanico con tre ordini di finestre.
Dettaglio della base del campanile, con la "porta" che conduce al centro della città.
Dell'epoca romanica conserva anche le monofore, riapparse nel corso
dei lavori di restauro,
e il soffitto a cassettoni, mentre dell'epoca
barocca la facciata principale, il transetto e l'abside.
Al
suo interno sono custodite tavole pittoriche ed affreschi di spessore
artistico, oltre al pavimento maiolicato del XV secolo. L'opera di
maggiore rilievo è il polittico del 1472 di Pavanino da Palermo, che
raffigura la Madonna con Bambino in trono, con san Pietro e san
Giovanni ai lati.
Nella
navata di destra si trovano, tra le tante altre opere, una
statua lignea del XVI secolo che raffigura la Vergine con
Bambino, di notevole fattura, arricchita da una decorazione sia
dipinta che incisa
e l'olio su tavola di san Michele Arcangelo (XVI secolo), raffigurante l'Arcangelo Michele che trafigge il diavolo sotto le spoglie di una formosa donna con ali di pipistrello e gli arti inferiori di una sirena.
Nella navata di sinistra ci sono cappelle gentilizie aggiunte nel XV secolo, i cui nudi pilastri e archi d’ingresso furono rivestiti, nel secolo successivo, di pietra arenaria locale. Merita di essere menzionato il busto in bronzo di san Costabile (1662) dell'orafo Aniello Treglia, realizzato con le offerte dei fedeli dopo essere scampati alla peste del 1656.
La Cappella del Santo Rosario, della omonima confraternita, precedentemente dedicata a san Bernardino e risalente al XVI secolo, è collocata sul sagrato della basilica Santa Maria de Gulia.
Il
comune di Castellabate è la location in cui è ambientato il film
Benvenuti al Sud (2010), in cui viene citata anche la confinante
Perdifumo. Le
riprese del film, durate circa dieci settimane, sono iniziate a
settembre 2009
in particolar modo nel borgo medievale (Palazzo Perrotti, Belvedere
di San Costabile, Porta di Mare e via Guglielmo I il Normanno) e
nelle frazioni marine di San
Marco
(Torretta, salita di S.Cosimo, via C.De Angelis e porto turistico) e
Santa
Maria (Marina
Piccola, Porto delle Gatte e mare del Pozzillo).
La
vera agorà del borgo medievale è la piazza 10 ottobre 1123 (data di
fondazione del castello) con vista sulla valle
dell'Annunziata.
In questa piazza è stato costruito l’ufficio
postale per il film, utilizzando il bar La Piazzetta.
La preparazione di una scena del film.
Nella piazza si
trova anche la targa dedicata a Ruggero Leoncavallo, che visse alcuni
anni nella città.
Dettaglio.
Ci rimettiamo in viaggio.
Capo
Palinuro
è un promontorio roccioso della costa della Campania Meridionale,
tra il golfo di Velia e quello di Policastro, nel Cilento. Si spinge
per circa 2 km nel mare Tirreno, a ovest della foce dei fiumi Lambro
e Mingardo. Vi è ubicata la stazione meteorologica di Capo Palinuro che vedremo, durante il giro in barca, attraverso una fenditura della roccia creata dall'erosione del vento, chiamata Finestrella o Architiello.
Il suo territorio rientra nella frazione Palinuro del comune di
Centola.
È
un'importante località turistica, celebre per le bellezze
paesaggistiche legate al mare e al suo entroterra e per le
reminiscenze storico letterarie legate al suo nome. Durante l'epoca
greca il promontorio era già conosciuto dai naviganti per la
pericolosità delle sue insidiose correnti, tanto da essere chiamato
Capo spartivento. Designarono anche con il nome di una sirena,
simbolo di acque infide, Molpè ossia la leggiadra, il fiume che
scorre alle pendici del capo Palinuro.
Virgilio,
nell'Eneide, dà una sua interpretazione dei fatti narrando di
Palinuro, timoniere di Enea, che cade in mare tradito dal sonno e,
giunto a riva, viene assalito e ucciso dai Lucani, indigeni del
luogo. Veniva così soddisfatta la richiesta di Nettuno, dio del
mare, che nel momento stesso in cui accordava a Venere il proprio
aiuto per condurre in salvo la flotta di Enea sulle coste campane,
aveva preteso per sé in cambio una vittima.
Sui
Lucani si scagliò però una maledizione e per liberarsene, dopo aver
consultato un oracolo, costruirono un altare ove sacrificarono una
capra. Il luogo prese il nome di Torre del Capro, poi cambiato in
Caprioli. L’altare passò alla storia come cenotafio di Palinuro e
da allora il promontorio fu chiamato Capo Palinuro.
Il
promontorio, che ha una suggestiva forma a pentedattilo, è
costituito da rocce calcaree che scendono a strapiombo sul mare per
oltre 50 metri e nelle quali le acque hanno scavato numerose
profonde gole e ben 32 grotte, paradiso dei sub: una tra tutte la
grotta azzurra, chiamata così per gli spettacolari giochi di luce e
colore delle sue acque.
Le
pareti del promontorio ospitano un raro e importante endemismo della
flora mediterranea del versante tirrenico meridionale, la primula di
Palinuro (Primula palinuri), unico esempio conosciuto di primula in
ambiente non montano.
Per
il nostro gruppo era prevista un’escursione a bordo di un “gozzo”,
con partenza dal lido Da Alessandro (ombrelloni gialli), situato
sulla spiaggetta del porto di Palinuro, per circumnavigare le cinque
dita del promontorio e ammirare la costa e le numerose grotte.
Dopo il pranzo al sacco siamo quindi partiti. Descrivere
la meraviglia provata non è possibile, posso solo provarci, con corredo di foto non sempre mie, perché il mare non era
dei più tranquilli e si saltava abbastanza sulle onde.
Altro itinerario più dettagliato.
Usciamo
dal porto,
passiamo la Punta del fortino,
su cui si staglia una
fortificazione diroccata e vediamo Punta Quaglia, approdo per le quaglie in migrazione.
La
grotta azzurra, che è la cavità più estesa e più nota di tutto il
complesso di grotte di Capo Palinuro, si apre sul fianco
settentrionale di Punta Quaglia, con un’entrata alta 6
metri e larga 10. La grotta ha anche un secondo ingresso, accessibile solo in immersione.
Deve il suo nome e il suo fascino allo spettacolare
effetto prodotto dall'azzurro che, provenendo apparentemente dal
fondale marino, illumina l'intero ambiente. Questo spettacolare effetto è dovuto alla luce del sole
che proviene da un sifone dell'ingresso subacqueo che sbuca sul lato opposto della
punta.
La
grotta Azzurra si caratterizza inoltre per la
presenza di sorgenti idrotermali di tipo sulfureo,
di stalattiti e stalagmiti e colate
alabastrine. Particolarmente suggestive sono la
conformazione calcarea che ricorda la testa di un delfino
e le formazioni sulle pareti assai simili a delle conchiglie.
Colate alabastrine nella grotta.
Delfino.
L’insenatura tra
Punta della Quaglia e Punta Iacco si chiama Cala del Ribatto e non
del Salvatore come indicano alcune cartine. Il nome è dato dalle
onde che battono e ribattono lungo la parete di roccia durante le
mareggiate. Inoltre il nome Iacco è in realtà Ianco, cioè bianco,
perché in quella zona la roccia ha delle grosse striature
biancastre. La Cala del Salvatore si trova tra Punta Ianco e Punta
Spartivento.
Alcune foto scattate tra un salto e l'altro del nostro gozzo.
Una simile a questa mia era indicata in rete come l'ingresso della luce per la grotta azzurra (che però dovrebbe essere sotto acqua). Mah.
Aggiungo un'altra cartina dettagliata.
Come
si può vedere dalla cartina, sul promontorio compreso tra Punta
della Quaglia e Punta Ianco è situato il faro di Capo Palinuro.
Controllato dalla Marina Militare il faro, attivato nel 1870 e
tuttora funzionante, è una struttura a torre alta 14 metri su un
edificio a due piani bianco. E’ il più alto d’Italia, punto di
riferimento per la navigazione del Mediterraneo, e offre un’ottima
visuale: quando il cielo è sereno si possono vedere l’isola di
Stromboli, le coste calabresi e l’isola di Capri. Si vede anche la
stazione meteorologica di Palinuro, di cui parlerò a breve.
Altro particolare: doppiata Punta Spartivento si vede il Volto della
Strega, una parete rocciosa con tre incavi che formano un
volto simile al celebre Urlo di Munch. (Dettaglio)
Si entra poi nella Cala della Lanterna, dove si incontrano due grotte particolari: la Grotta delle Cammarelle o d’Argento, e la Grotta del Sangue.
che sorveglia la Cala del Buondormire, una delle spiagge più belle della costa, chiamata così per via dei pescatori che, arrivati sulla spiaggia, ne approfittavano per riposarsi, data la buona ventilazione e la presenza molto discreta del Sole.
La Cala può essere raggiunta quasi esclusivamente via mare: solo i clienti del King’s Residence Hotel, struttura che sovrasta la Baia, possono accedervi tramite una lunga scalinata.
Famosa per i colori incredibili, con acqua cristallina color smeraldo e sabbia finissima e chiara, è circondata dalle rocce a strapiombo e stratificate tipiche del Cilento. Separata solo da qualche sperone di roccia comincia subito un'altra spiaggia.
Alcune immagini della costa,
di una fessura che cela l'ennesima grotta
e di una sorta di curiosa arrampicata.
La
Grotta
d'Argento prende
il nome da un’intensa colorazione
argentata che
si riflette sull'acqua, fenomeno generato dall’incontro dell'acqua
marina, di forte tonalità azzurra, con la più densa acqua
sulfurea.
La grotta si caratterizza infatti per la presenza di almeno due
sorgenti sulfuree connesse
a profonde spaccature. All'interno
si possono osservare numerosi drappeggi
calcarei,
stalattiti
e
stalagmiti:
caratteristiche sono le formazioni calcaree a forma di Madonnina
e
di dito
e
le eleganti colonne
calcaree della
parete interna.
La
Grotta del Sangue deve il suo nome al colore rosso
delle pareti interne (ossido di ferro) che, riflettendosi sul mare, lo colora di una
sfumatura rossastra molto suggestiva. Di particolare interesse
all’interno sono le formazioni calcaree,
tra queste una sorprendente forma simile ad una conchiglia e appena
sopra il livello del mare un’altra formazione che ricorda la testa
di un coccodrillo.
Si
arriva a Punta Mammone: nel
dialetto locale mammone sta per elefante, e la punta
ne prende il nome per via della rassomiglianza con il mammifero
proboscidato.
Apro
una parentesi per citare la stazione
meteorologica di Capo Palinuro che
fa da
riferimento per il Servizio Meteorologico dell'Aeronautica Militare
per
la
fascia costiera del Cilento. La
sua storia è legata a quella del Regio Semaforo, la cui esistenza è
accertata fin dal 1838 presso la Torre Saracena, antica struttura di
avvistamento costiero che venne demolita dopo il 1885 per permettere
la costruzione del più funzionale impianto semaforico, entrato in
funzione a partire dal 1890, nel luogo in cui precedentemente sorgeva
la storica torre costiera di avvistamento.
L'attuale
osservatorio meteorologico ha sede presso il semaforo
tardo-ottocentesco, il cui corpo di fabbrica culmina presso la parte
centrale con una caratteristica torre a sezione ottagonale. La
stazione meteorologica iniziò la sua attività a partire dal 18
novembre 1935, come documentato da un'iscrizione posta su una pietra;
i primi dati archiviati, tuttavia, risalgono al 1º settembre 1936.
Oltrepassando
Punta Mammone si entra
nella Cala Fetente. Il fenomeno
idrotermale che segna il carattere di tutte le
cavità marine di Capo Palinuro trova nella Grotta
Sulfurea la sue espressione più marcata. Il fondale della
grotta e le cavità interne sprigionano vapori
sulfurei di grossa intensità, da cui appunto il nome di Cala Fetente. Nell'immagine, l'ingresso a doppia arcata della Grotta Sulfurea.
Si
arriva poi alla Grotta dei Monaci sul cui fondo, su una roccia
sporgente dall’acqua, si nota un complesso di stalagmiti color
marrone che somiglia in modo impressionante a un gruppo di monaci in
preghiera.
L’Architiello,
detto anche Finestrella, è un’apertura nella roccia creata
dall’erosione del vento attraverso cui si può vedere la
stazione meteorologica di Palinuro. Mentre si naviga in barca,
superata
la Grotta dei Monaci,
basta
girarsi
verso la Finestrella per
intravedere, incorniciato dalla roccia, l’edificio della stazione
meteorologica.
La Finestrella vista dall'altra parte, dettaglio.
La quinta punta del
promontorio è la più piccola; è chiamata Punta Galera,
perché nei fondali sono stati ritrovati i resti di una nave romana.
La sovrasta il rudere di una delle tante torri saracene, che erano
usate per avvistamenti e controlli sul mare. La loro caratteristica
era quella di essere poste ognuna a vista dell’altra, così fino al
basso Tirreno. Si calcola che un messaggio, per arrivare a
destinazione da Reggio Calabria fino all’Alto Cilento, impiegasse
circa 4 ore.
Superiamo la Grotta
delle Ciavole (cornacchie)
e scorgiamo lo Scoglio del Coniglio, sormontato da un fitto bosco,
Dettaglio.
che sorveglia la Cala del Buondormire, una delle spiagge più belle della costa, chiamata così per via dei pescatori che, arrivati sulla spiaggia, ne approfittavano per riposarsi, data la buona ventilazione e la presenza molto discreta del Sole.
La Cala può essere raggiunta quasi esclusivamente via mare: solo i clienti del King’s Residence Hotel, struttura che sovrasta la Baia, possono accedervi tramite una lunga scalinata.
Famosa per i colori incredibili, con acqua cristallina color smeraldo e sabbia finissima e chiara, è circondata dalle rocce a strapiombo e stratificate tipiche del Cilento. Separata solo da qualche sperone di roccia comincia subito un'altra spiaggia.
La
spiaggia
della Marinella è formata da 4 piccole cale a mezzaluna, in una
delle quali sfocia il fiume
Lambro.
In
epoche precedenti ospitava il porto della Molpa
i cui resti sono ancora visibili ai piedi del colle. La spiaggia
offre una
sabbia fine
e dorata,
con un mare limpido e pulito, dalle tonalità azzurre che sfumano al
verde. La
scogliera della Molpa con le sue grotte protegge l’insenatura e la
rende ancora più suggestiva.
Dettaglio.
Alcune immagini della costa,
di una fessura che cela l'ennesima grotta
e di una sorta di curiosa arrampicata.
A
ridosso della foce del Lambro, la Spiaggia della Marinella conduce
alla Grotta
Preistorica,
risalente all’epoca quaternaria, che
conserva
materiali fossili
sedimentati
nelle pareti: testimoniano un'assidua frequentazione dell'uomo
primitivo nel bacino del Mediterraneo. I
fossili
nella grotta sono stati per molti secoli creduti umani e
per questo motivo è conosciuta come Grotta delle Ossa, mentre
si è poi scoperto che gli uomini che l’hanno abitata vi
avevano
depositato per millenni i
resti
delle prede. Successivamente
il terreno e l’acqua penetrati nella caverna hanno cementato il
tutto sotto forma di una spessa parete calcarea.
Proseguendo si può
ammirare Cala Lunga, una piccola spiaggia posta
sotto le rocce: si vede a destra
la spiaggia dell’Arco
Naturale, che nel 1987 ha conosciuto il suo
momento più buio venendo completamente sommersa dal mare, con
l’acqua che passava fin sotto l’Arco, causa
principale del crollo parziale che ha subito.
Da allora fu avviato un
progetto di recupero tramite l’installazione di frangiflutti posti
a circa 50 metri dalla riva, che ha consentito il
recupero totale della spiaggia di questa scultura della natura alla foce del Mingardo.
Si chiude qui questa intensa giornata, ma la cronaca continua.