9 giugno: intera giornata al villaggio con uscita serale per vedere Agropoli illuminata.
In
seguito alle incursioni dei Vandali nel V secolo il borgo,
difficilmente difendibile, venne abbandonato dagli abitanti, che si
trasferirono sul vicino promontorio. Tra il 535 e il 553, con la
guerra greco-gotica i Bizantini vi collocarono una roccaforte, che
prese il nome di Acropolis
("città alta"). Alla fine del VI secolo vi si rifugiò il
vescovo di Paestum per sfuggire ai Longobardi. Con l'arrivo di
profughi bizantini dalla Lucania Agropoli si ingrandì e divenne sede
di un vescovato.
L'abitato
è sormontato dal centro antico, che conserva gran
parte delle mura e il portale seicentesco. La porta
ha due aperture; sulla destra della principale ce n'è una secondaria, ad arco ribassato, aperta agli inizi del XX secolo; tra
le aperture è visibile una feritoia per la difesa.
La
porta è sormontata da cinque merli, due dei quali sostengono
altrettante palle di pietra. Al di sopra della porta principale si
nota lo stemma marmoreo dei Duchi Delli Monti Sanfelice, ultimi
possessori feudali della città (lo stemma originariamente decorava
l'ingresso del Castello). La porta è parte integrante della cinta
muraria, costruita in pietra locale e composta da due bracci, uno
meridionale e uno settentrionale che si imperniano sul Castello e si
concludono sullo strapiombo della "Rupe", difesa naturale
dagli invasori.
Il
borgo antico è raggiungibile a piedi percorrendo la caratteristica
salita degli "scaloni", per secoli unica via d'accesso al
borgo e oggi uno dei pochi esempi di salita a gradoni, caratterizzati
da gradinate larghe e basse, sopravvissuti alle esigenze del traffico
veicolare, che altrove ne hanno determinato il livellamento. Per la
popolazione locale residente sul promontorio storico vi è una strada
secondaria retrostante, carrabile, e per un tratto, quello finale, a
traffico limitato. Il
parapetto sul ciglio della rupe, che è muro di protezione degli
scaloni, è ornato da merli con estremità sferica che richiamano i
merli della porta e una croce di ferro indicante l'anno 1909.
Oltrepassata
la porta ci si imbatte subito sulla sinistra nella Chiesa Madre dei
SS Pietro e Paolo, di origini antiche: nel 593 una lettera di papa
Gregorio Magno documenta nel borgo la presenza del presule pestano e
si connette nella dedica alla tradizione dell'approdo di San Paolo in
una località agropolese e a S. Pietro, pescatore come molti degli
abitanti del borgo antico.
Siamo
andati dopo cena a visitare Agropoli, per coglierne la bellezza delle
luci dall’alto del promontorio, ma così non abbiamo avuto molto tempo a
disposizione. Qualche veloce fotografia al porto,
qui il porto in versione diurna,
qualche occhiata ai negozietti e si è fatta l’ora del rientro. Un vero peccato non aver potuto apprezzare il tanto decantato litorale.
10 giugno: visita di Pompei e partenza verso l'ultimo pernotto, Nola.
Le caratteristiche dei fenomeni che interessarono Pompei e Stabia furono differenti rispetto ad Ercolano: le prime furono sommerse da una pioggia di pomici, cenere e lapilli che, salvo un intervallo di alcune ore (trappola mortale per tanti che rientrarono alla ricerca di persone care e oggetti preziosi), cadde ininterrotta. Ercolano invece non fu investita nella prima fase, ma quasi dodici ore dopo e la natura dei fenomeni che la interessarono fu molto diversa. Infatti il gigantesco pino di materiali eruttivi prese a collassare e, per effetto del vento, un'infernale mistura di gas roventi, ceneri e vapore acqueo (il cosiddetto flusso piroclastico) investì l'area di Ercolano. Coloro che si trovavano all'aperto ebbero forse miglior sorte, vaporizzati all'istante, di chi trovandosi al riparo ha lasciato tracce di una morte che, pur rapida, ebbe caratteristiche tremende. Foto di Ercolano di Mentnafunangann.
Il 5 febbraio del 1863 mentre si sgombrava un vicolo, il direttore degli scavi, Fiorelli, venne avvertito dagli operai che avevano incontrato una cavità, in fondo alla quale si scorgevano delle ossa. Ispirato da un tratto di genio, Fiorelli fece stemperare del gesso, che venne versato in quella cavità e in altre due vicine. Dopo aver atteso che il gesso fosse asciutto, venne tolta con precauzione la crosta di pomici e di cenere indurita. Eliminati questi involucri, vennero fuori quattro cadaveri. Con l’invenzione del metodo dei calchi oggi possiamo scorgere le espressioni dei volti, le pieghe dei vestiti, le posizioni contorte in cui i Pompeiani furono sorpresi dalla furia del Vesuvio, ma anche sagome di porte, di armadi, di radici di piante, di animali.
Prima di giungere all'arena sono posti, lungo lo stesso asse, due spoliarii, utilizzati uno per portare via i combattenti feriti, l'altro, con arco trionfale, per l'accesso dei gladiatori; l'arena vera e propria è in terra battuta e contrariamente ad altri edifici dello stesso genere non presenta un'area sotterranea. Sul terreno si notano dei buchi quadrati dove erano infissi dei pali.
L'intera circonferenza dell'arena è delimitata da un parapetto, alto circa due metri, che era decorato con affreschi, oggi andati perduti, che raffiguravano duelli tra gladiatori.
qui il porto in versione diurna,
qualche occhiata ai negozietti e si è fatta l’ora del rientro. Un vero peccato non aver potuto apprezzare il tanto decantato litorale.
10 giugno: visita di Pompei e partenza verso l'ultimo pernotto, Nola.
Pompei
è
una città dell'evo antico la cui storia ha origine dal IX secolo
a.C. per terminare nel 79 d.C., quando, a seguito dell'eruzione del
Vesuvio, viene ricoperta sotto una coltre di ceneri e lapilli alta
circa sei metri. Gli scavi della città, iniziati nel 1748, hanno
riportato alla luce un sito archeologico entrato a far parte della
lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO nel 1997.
I
primi insediamenti stabili risalgono solo intorno all'VIII secolo
a.C., ad opera degli Osci: questi fondano cinque villaggi nella zona,
i quali, intorno al VI secolo a.C., si riuniscono in un solo
agglomerato, cinto di mura e a controllo di un importante asse
viario; iniziano anche i primi scambi commerciali via mare, con la
costruzione di un piccolo porto situato nei pressi della foce del
fiume Sarno.
Il
5 febbraio del 62 un violento terremoto, di intensità pari al V-VI
grado della scala Mercalli, con epicentro nella vicina Stabiae,
colpisce anche Pompei e la piana circostante provocando numerosi
danni e crolli. Non sono stati completati ancora i lavori di
ristrutturazione, quando la mattina del 24 agosto o comunque in un
periodo compreso tra agosto e novembre del 79, una violenta eruzione
del Vesuvio pone definitivamente fine alla vita di Pompei.
Nello
scavo dell'area vesuviana, sigillati dai lapilli, sono stati
ritrovati resti di frutta secca tipicamente autunnale; si era
completata la raccolta della canapa da semina che si effettuava
solitamente a settembre; la vendemmia effettuata solitamente nel
periodo di settembre e ottobre era da tempo terminata e il mosto era
stato sigillato nelle anfore; dunque
l'eruzione avvenne, se si considera attendibile questo elemento
d'indagine, in un periodo successivo al
24 agosto, data che si dava invece per certa.
Anche nel caso di una vendemmia anticipata, i giorni intercorsi tra
la raccolta, la pigiatura e la prima fermentazione consentono di
spostare la data avanti con una certa sicurezza.
Ricostruzione virtuale di Pompei prima dell'eruzione tratta da qui.
Ricostruzione virtuale di Pompei prima dell'eruzione tratta da qui.
Le caratteristiche dei fenomeni che interessarono Pompei e Stabia furono differenti rispetto ad Ercolano: le prime furono sommerse da una pioggia di pomici, cenere e lapilli che, salvo un intervallo di alcune ore (trappola mortale per tanti che rientrarono alla ricerca di persone care e oggetti preziosi), cadde ininterrotta. Ercolano invece non fu investita nella prima fase, ma quasi dodici ore dopo e la natura dei fenomeni che la interessarono fu molto diversa. Infatti il gigantesco pino di materiali eruttivi prese a collassare e, per effetto del vento, un'infernale mistura di gas roventi, ceneri e vapore acqueo (il cosiddetto flusso piroclastico) investì l'area di Ercolano. Coloro che si trovavano all'aperto ebbero forse miglior sorte, vaporizzati all'istante, di chi trovandosi al riparo ha lasciato tracce di una morte che, pur rapida, ebbe caratteristiche tremende. Foto di Ercolano di Mentnafunangann.
I
primi scavi nella zona dell'antica Pompei si sono svolti nel 1748, a
seguito della scoperta di Ercolano, per volere della dinastia
borbonica: i primi ritrovamenti avvengono nella zona dell'Anfiteatro,
anche se gli esploratori sono convinti di essere sulle tracce
dell'antica Stabia; si capirà di essere a Pompei solo nel 1763
quando viene ritrovata un'epigrafe sulla quale viene chiaramente
fatto riferimento alla Res Publica
Pompeianorum. Sono infine archeologi come Giuseppe Fiorelli,
Vittorio Spinazzola ed Amedeo Maiuri a riportare alla luce la città
nella sua quasi totale interezza. Nel 2012 parte il Grande Progetto
Pompei, che mira al restauro e alla messa in sicurezza del sito.
Il 5 febbraio del 1863 mentre si sgombrava un vicolo, il direttore degli scavi, Fiorelli, venne avvertito dagli operai che avevano incontrato una cavità, in fondo alla quale si scorgevano delle ossa. Ispirato da un tratto di genio, Fiorelli fece stemperare del gesso, che venne versato in quella cavità e in altre due vicine. Dopo aver atteso che il gesso fosse asciutto, venne tolta con precauzione la crosta di pomici e di cenere indurita. Eliminati questi involucri, vennero fuori quattro cadaveri. Con l’invenzione del metodo dei calchi oggi possiamo scorgere le espressioni dei volti, le pieghe dei vestiti, le posizioni contorte in cui i Pompeiani furono sorpresi dalla furia del Vesuvio, ma anche sagome di porte, di armadi, di radici di piante, di animali.
Osservare la ventina di calchi disposti
in una sala prima dell’ingresso all’area degli scavi lascia un
segno profondo: il dolore e il terrore che si notano nelle
espressioni di quelle creature permette di capire la
tragedia che li colpì.
L'anfiteatro
romano di Pompei è
di epoca romana e, nel suo genere, il meglio conservato, nonché uno
dei più antichi al mondo. Era utilizzato per giochi circensi e
combattimenti tra i gladiatori ma non vi si svolgevano lotte tra
belve e gladiatori. Sorge
nella parte sud-est dell'antica Pompei e questa scelta fu dettata da
due motivi: il primo, in quanto la zona era poco abitata e quindi di
minore intralcio alla vita quotidiana della città, considerando il
gran numero di persone che visionava gli spettacoli; il secondo, fu
una scelta economica, in quanto la struttura venne addossata alla
cinta muraria, ormai in disuso, utilizzando un terrapieno
preesistente e costruendone uno nuovo sul lato rimasto scoperto,
utilizzando il terreno di risulta dello scavo. In tal modo la
struttura è posta a circa sei metri di profondità ed assume una
forma ellittica; ha inoltre una lunghezza di centotrentacinque metri
e una larghezza di centoquattro metri, per una capienza di ventimila
spettatori.
Esternamente
si presenta in due ordini: la parte inferiore è ad archi ciechi, in
pietra, sotto i quali durante gli spettacoli i mercanti vendevano le
loro mercanzie, mentre l'ordine superiore presenta archi a tutto
sesto; tra i due ordini è posto un ambulacro e per permettere agli
spettatori di raggiungere le gradinate più alte furono costruite due
grandi scalinate.
L'accesso
all'anfiteatro avveniva tramite una galleria, chiamata anche crypta,
che possedeva quattro ingressi, due dei quali davano direttamente
sull'arena:
si pensa inoltre che un passaggio fosse esclusivamente
riservato ai magistrati, che godevano di palchi d'onore, divisi dal
resto della platea da uno scomparto in muratura.
Prima di giungere all'arena sono posti, lungo lo stesso asse, due spoliarii, utilizzati uno per portare via i combattenti feriti, l'altro, con arco trionfale, per l'accesso dei gladiatori; l'arena vera e propria è in terra battuta e contrariamente ad altri edifici dello stesso genere non presenta un'area sotterranea. Sul terreno si notano dei buchi quadrati dove erano infissi dei pali.
L'intera circonferenza dell'arena è delimitata da un parapetto, alto circa due metri, che era decorato con affreschi, oggi andati perduti, che raffiguravano duelli tra gladiatori.
L'area
archeologica di Pompei si estende per circa sessantasei ettari dei
quali circa quarantacinque sono stati scavati. La suddivisione della
città in regiones (quartieri) e insulae (isolati) è stata fatta da
G. Fiorelli nel 1858, per esigenze di studio e orientamento. Le
denominazioni delle case, quando non ne è noto il proprietario, sono
state coniate dagli scavatori in base a particolari ritrovamenti o
altre circostanze.
Nelle
strade di Pompei si notano
spesso blocchi di pietra che
collegano i due lati,
disposti a una quota alta rispetto alla via. Pur
lasciando
lo
spazio
sufficiente per il transito dei carri permettevano
a chi andava a piedi di non bagnarsi o sporcarsi le calzature.
Percorriamo
Via dell’Abbondanza, (foto storica) corrispondente al decumano di Pompei romana,
che collega il foro all’anfiteatro attraversando tutta la città.
Il nome deriva da un bassorilievo che orna una fontana posta in
prossimità del Foro, ed è una delle strade più famose di Pompei
per il susseguirsi di impianti pubblici, botteghe e residenze.
La
casa di Flavius Amandio
è un esempio di piccola casa per il ceto medio pompeiano; costruita interamente con blocchetti in lava vesuviana e calcare del Sarno, si sviluppa su due
livelli, con il superiore dotato di un balcone affacciato su
Via dell’Abbondanza.
I vani scala
avevano anche altre funzioni, come quello aperto sulla strada che
conservava una decina di pettini da tessitore, circostanza che ha
fatto pensare alla funzione di bottega tessile.
La vasca di raccolta dell'acqua piovana,(impluvium), presenta un bel
mosaico come pavimento.
Le
pareti sono dipinte a
riquadri con
fondo rosso. Mancano i cubicula (stanze da letto) e lo spazio
dell’atrio è ricavato da tre ambienti dell’adiacente casa di
Paquio Proculo, le cui porte originali si riconoscono ancora perché
trasformate in armadi.
I
thermopolia erano luoghi di
ristoro in cui si servivano bevande e cibi caldi a un prezzo
conveniente. Spesso le abitazioni e le botteghe di artigiani e
commercianti erano formate da un solo locale che affacciava sulla
strada. Non erano fornite di cucina per cui a pranzo si mangiava
spesso fuori, in uno dei tanti thermopolia. Solo nella parte scavata
di Pompei ne sono stati trovati 89. La struttura tipica è semplice:
un locale aperto sulla strada, con bancone in muratura, decorato di
lastre marmoree o in terracotta, in cui sono incassati i dolia
(giare) per contenere i cibi pronti da consumare.
Su via
dell’Abbondanza si trova il Thermopolium
di Asellina, per la mescita di bevande calde e fredde, cibi
cotti ma fornito anche di stanze al piano superiore per consumare
rapporti sessuali. Nel corso delle operazioni di scavo tutte le
suppellettili sono state ritrovate al proprio posto: c’erano anfore
per il vino, un imbuto, una lucerna di forma fallica che illuminava
il banco e teneva lontano il malocchio e persino una pentola ancora
sul fornello.
Negli
scavi sono state trovate ben diciotto lavanderie anche se la meglio
conservata e sicuramente la più famosa è la fullonica (lavanderia)
di Stephanus, un’antica locanda ristrutturata nella quale gli
schiavi preparavano le tele di lana e di lino per le tinture e,
successivamente, per la pulitura e risciacquo. Al piano terra aveva
luogo la lavorazione vera e propria mentre al piano superiore era
situata l'abitazione e l'area destinata all'asciugatura dei panni. Il
procedimento di follatura consiste in tre fasi principali:
sgrassatura, risciacquatura, rifinitura.
Nel
cortile sono presenti diverse vasche dove i fullones pigiavano i
panni con i piedi e non doveva essere un bel lavoro visto che
l'ammoniaca necessaria alla sgrassatura veniva fornita dall'urina
umana e dalla soda. Le lavanderie si procuravano il "prezioso"
liquido sistemando nei dintorni delle anfore dove i passanti potevano
liberarsi. I Vespasiani devono il loro nome
all'imperatore che decise di lucrare anche sull’urina raccolta dai
fullones, tassandoli per occupazione di suolo pubblico.
Dopo
che i vestiti erano stati stati sgrassati si passava al risciacquo.
Questo avveniva con acqua fresca in un complesso di grandi vasche
collegate tra loro: l'acqua fresca entrava da un lato dell'impianto e
usciva dall'altro. I vestiti seguivano la direzione opposta all'acqua
e andavano dall'acqua più sporca a quella più pulita.
L'ultima fase dell'intero processo consisteva in vari trattamenti a seconda della natura del negozio e delle esigenze della clientela. Il vestito veniva spazzolato e tosato, talvolta trattato con zolfo. Infine i vestiti venivano anche riposti in presse a vite per eliminare l'acqua in eccesso.
L'ultima fase dell'intero processo consisteva in vari trattamenti a seconda della natura del negozio e delle esigenze della clientela. Il vestito veniva spazzolato e tosato, talvolta trattato con zolfo. Infine i vestiti venivano anche riposti in presse a vite per eliminare l'acqua in eccesso.
Da via dell’Abbondanza andiamo alle Terme Stabiane.
L'importanza di tali edifici è evidente a Pompei, dove si
trovano ben quattro impianti pubblici all'interno della città e uno fuori Porta Marina, le Terme Suburbane.
Alle terme si andava non solo
per fare il bagno, ma anche per incontrare amici, conversare, cercare
appoggi politici. Gli stabilimenti offrivano bagni caldi, piscine,
saune, palestre e spazi porticati, locali per il massaggio e la
toeletta.
Le
Terme Stabiane, così denominate in quanto poste all'incrocio tra Via
dell'Abbondanza e Via Stabiana, furono costruite intorno al IV-III
secolo a.C., in una zona che probabilmente si trovava in periferia
prima dell'estensione della città. L'edificio subì un notevole
ampliamento nel II secolo a.C. e continui restauri negli anni
successivi. La
struttura si presenta con al centro la palestra porticata a base
trapezoidale: le colonne, originariamente dalla forma più esile,
furono pesantemente stuccate dopo il sisma del 62.
L’apodyterium
era la prima stanza nella quale si accedeva: uno “spogliatoio”
costituito da un muretto lungo tutto il perimetro, una sorta di
panca; sopra questa una serie di incavi che fungevano da “armadietti” dove i bagnanti riponevano la
tunica e gli effetti personali.
Nella
zona orientale sono disposti, divisi per uomini e donne, gli ambienti: il frigidarium (bagno freddo), il tepidarium
(sala tiepida per prepararsi allo sbalzo dal freddo al caldo)
e calidarium (bagno
caldo, foto).
In quest’ultima sala la pavimentazione era sostenuta da piccole pile di mattoni, in modo che la zona restasse vuota per far circolare l'aria calda che raggiungeva allo stesso modo le intercapedini poste lungo i muri. Le terme erano dotate anche di una sala per le fornaci.
A Pompei nella Regio VII, 12, 18, si trova il Lupanare, l'unico bordello sorto con questa specifica funzione: gli altri, circa una trentina, erano di una sola stanzetta, spesso ricavati sul retro o al piano superiore di una bottega. Al piano terra ci sono cinque stanze, come al superiore, e una latrina.
In quest’ultima sala la pavimentazione era sostenuta da piccole pile di mattoni, in modo che la zona restasse vuota per far circolare l'aria calda che raggiungeva allo stesso modo le intercapedini poste lungo i muri. Le terme erano dotate anche di una sala per le fornaci.
A Pompei nella Regio VII, 12, 18, si trova il Lupanare, l'unico bordello sorto con questa specifica funzione: gli altri, circa una trentina, erano di una sola stanzetta, spesso ricavati sul retro o al piano superiore di una bottega. Al piano terra ci sono cinque stanze, come al superiore, e una latrina.
I
due tenutari, Victor e Africanus, avevano sfruttato al massimo lo
spazio dedicato alle camere: un letto rialzato in muratura sul quale
era posto un corto e resistente materasso. L'ambiente era spesso
sporco e affumicato dal fumo delle lanterne.
Sui
muri sono rimaste le impronte delle scarpe dei clienti che
sbrigativamente soddisfacevano le loro necessità. L'unico
ornamento erano le pitture murali erotiche (con raffigurate le
specialità delle ragazze) a decorazione dell'ingresso e delle porte.
Nelle camere delle prostitute si poteva accedere direttamente dalla
strada oppure, quando erano situate al primo piano, tramite una scala
esterna. Talvolta solo una tenda separava la stanza dalla strada.
Le
prostitute erano schiave, di solito greche e orientali. Il prezzo
andava dai 2 agli 8 assi (la porzione di vino ne costava 1, una
pagnotta 2), ma il ricavato, trattandosi di donne senza personalità
giuridica, andava al padrone o al tenutario (lenone) del bordello. Insomma, niente di nuovo.
Il
bordello era spesso segnalato all'esterno da insegne molto esplicite
e la strada per raggiungerlo era indicata da falli incisi sia
sull’acciottolato
sia sulle pareti.
Il
Foro
di Pompei era
la principale piazza della città e rappresentava il centro politico,
economico e religioso nel quale si svolgevano manifestazioni,
contrattazioni di ordine commerciale e dibattiti; è, nel suo genere,
uno dei meglio conservati delle antiche città italiche. Fu
costruito intorno al IV secolo a.C., in epoca sannita, nei pressi di
un importante nodo viario, con strade che andavano verso Neapolis,
Nola e Stabiae: si trattava di una piccola area scoperta intorno alla
quale si aprivano numerose botteghe, costruite per lo più in lava e
tufo e cementate con argilla. A seguito della conquista di Pompei da
parte dei romani, il Foro fu completamente ricostruito e ampliato, in
particolar modo nel II secolo a.C.: furono abbattute sia le botteghe,
sia un muro perimetrale con il vicino tempio di Apollo e, sfruttando
la bassa densità abitativa della zona, intorno al perimetro della
piazza furono costruiti edifici di ordine politico e religioso.
Importanti
lavori di restauro si ebbero poi durante l'epoca augustea, tra la
fine del I secolo a.C. e l'inizio del I secolo, quando fu rifatta con
lastre di travertino la pavimentazione che era in tufo, costruito il
porticato, restaurato il Macellum e costruito un tempio dedicato
all'imperatore. La piazza ha una forma rettangolare e misura 143
metri di lunghezza per 38 di larghezza; era interdetta ai carri e
ancora oggi si notano dei blocchi, che chiameremmo dissuasori, che
consentivano l’accesso ai soli pedoni.
Alcune foto prima di andare avanti...
Il
Centauro,
una delle 30 statue in bronzo dello scultore polacco Igor
Mitoraj morto
a Parigi il 6 ottobre 2014, autore anche del Dedalo
tra
le rovine del santuario di Venere che ho scelto come foto di apertura
per la cronaca su Pompei.
I
Granai si estendono sul lato occidentale del Foro con otto aperture
separate da pilastri in laterizio e svolgevano la funzione di mercato
della frutta e verdura (Foro Olitorio). L’edificio fu costruito dopo il terremoto del 62 d.C. e il fatto che non vi sia stata trovata traccia di intonaco ha fatto ritenere che la struttura non fosse stata ancora finita al momento dell'eruzione. Oggi sono il più importante
magazzino archeologico della città e ospitano più di novemila
reperti provenienti dagli scavi condotti a Pompei e nel suo
territorio dalla fine dell’800.
Custodiscono il vasellame in
terracotta che veniva impiegato per svolgere le attività quotidiane,
come pentole e fornelli per la cottura, brocche e bottiglie, anfore,
i grandi contenitori utilizzati per trasportare olio, vino e salse di
pesce da tutto il Mediterraneo. Sono esposte inoltre tavole in marmo
e vasche per fontane che adornavano gli ingressi delle case e alcuni
calchi in gesso di un albero, una porta,
un cane,
un bambino (foto postata quando ho parlato della tecnica dei calchi) e un
adulto. A questo proposito, in seguito agli esami eseguiti, il
calco del maschio adulto rannicchiato e piegato in avanti, con
addosso stivali e un mantello, proveniente dalla Palestra grande accanto
all’Anfiteatro, lascia intendere una morte per asfissia. È
possibile notare la mano che porta la tunica verso il viso, in segno
di protezione dai gas. La tac, inoltre, ha fornito l'età dell'uomo: 50 anni. La
maggior parte dei pompeiani venne uccisa dalla nube ardente (oltre
trecento gradi) che provocò in pochi secondi uno choc termico
letale. Non tutti, però, trovarono la morte in quel modo. Molti
altri, ad esempio, rimasero uccisi durante il crollo dei tetti degli
edifici o per asfissia.
Proseguiamo...
Il tempio di Apollo è uno dei templi più antichi della città, nonché, per molti anni, quello più frequentato. La costruzione risalirebbe all'VIII o VII secolo a.C., come testimoniano alcuni reperti e si sarebbe trattato per lo più di un'area aperta dove sorgevano alcuni altari. Un primo edificio venne costruito nel VI secolo a.C., con il tetto ricoperto da terrecotte decorate; durante l'età sannitica fu completamente ricostruito. Il tempio vero e proprio è situato sul fondo del cortile e una scalinata dà l'accesso al podio.
Proseguiamo...
Il tempio di Apollo è uno dei templi più antichi della città, nonché, per molti anni, quello più frequentato. La costruzione risalirebbe all'VIII o VII secolo a.C., come testimoniano alcuni reperti e si sarebbe trattato per lo più di un'area aperta dove sorgevano alcuni altari. Un primo edificio venne costruito nel VI secolo a.C., con il tetto ricoperto da terrecotte decorate; durante l'età sannitica fu completamente ricostruito. Il tempio vero e proprio è situato sul fondo del cortile e una scalinata dà l'accesso al podio.
Nello
spazio ricavato dalla chiusura di due dei pilastri del recinto del
Tempio di Apollo è posizionata la mensa ponderaria. All'interno di
due lastre di calcare sono ricavati dei bacini di diverse dimensioni,
forati sul fondo, che definiscono gli standard per le misure di
capacità. Costruiti in età sannitica, come indicano le iscrizioni
osche, furono modificati in età romana per adattarli alle nuove
unità di misura, probabilmente in età augustea, secondo i nomi dei
magistrati incisi sulla fronte di una delle lastre.
La Basilica era un edificio pubblico di epoca romana: era utilizzata come tribunale e per contrattazioni commerciali. Fu edificata durante il II secolo a.C., in particolare nel periodo compreso tra il 130 ed il 120 a.C.
La costruzione del tempio di Venere, in posizione panoramica sulla pianura circostante e sul golfo di Napoli, risale al periodo immediatamente dopo la fondazione di Pompei come colonia romana. Per la sua costruzione, tra Porta Marina e la Basilica, fu necessario abbattere numerose case, eccetto alcune lungo il pendio meridionale utilizzate dai sacerdoti. Subì notevoli danni a seguito del terremoto di Pompei del 62, ma anziché chiuderlo per permettere il restauro si decise la costruzione di una piccola edicola votiva in modo da continuare a svolgere le normali attività durante i lavori. Tuttavia nel 79, prima del termine del restauro, fu sepolto dall'eruzione del Vesuvio; esplorato durante l'epoca borbonica, era già stato completamente depredato precedentemente di tutti gli arredi marmorei.
Il tempio era costituito da un podio lungo circa ventinove metri e largo circa quindici, realizzato in cemento e lava: un muro in basalto fungeva probabilmente da parete esterna della cella. Tutto il tempio era decorato in marmo, di cui rimangono pochissime tracce, tra cui i resti di un architrave, colonne e un frontone; anche della pavimentazione restano pochi residui, trafugata per il suo alto valore già dopo il terremoto del 62.
Porta Marina, ad Ovest, tra le sette porte di Pompei è la più imponente, insieme a porta Ercolano. Si chiama così perché la strada che ne usciva conduceva al mare. È a due fornici di seguito riuniti in una grande volta a botte in opera cementizia. Il circuito murario oggi visibile, impostato nel VI sec. a.C., quando la città già occupava l'intera collina, è lungo oltre 3.200 m: in genere è una cortina muraria, protetta all'esterno da un fossato e all'interno da un terrapieno per il cammino di ronda. Dodici torri, numerose a Nord, dove il suolo pianeggiante rendeva Pompei più vulnerabile, assicuravano la difesa. L'entrata definitiva di Pompei nell'orbita romana diminuì l'importanza delle mura, talora riusate o distrutte per far posto a case e terme. Dalla porta ha inizio Via Marina che incontra a sinistra l’ingresso a una bottega; sul lato opposto il tempio di Venere è separato dalla strada da un alto muro innalzato dopo il terremoto del 62.
La Basilica era un edificio pubblico di epoca romana: era utilizzata come tribunale e per contrattazioni commerciali. Fu edificata durante il II secolo a.C., in particolare nel periodo compreso tra il 130 ed il 120 a.C.
La costruzione del tempio di Venere, in posizione panoramica sulla pianura circostante e sul golfo di Napoli, risale al periodo immediatamente dopo la fondazione di Pompei come colonia romana. Per la sua costruzione, tra Porta Marina e la Basilica, fu necessario abbattere numerose case, eccetto alcune lungo il pendio meridionale utilizzate dai sacerdoti. Subì notevoli danni a seguito del terremoto di Pompei del 62, ma anziché chiuderlo per permettere il restauro si decise la costruzione di una piccola edicola votiva in modo da continuare a svolgere le normali attività durante i lavori. Tuttavia nel 79, prima del termine del restauro, fu sepolto dall'eruzione del Vesuvio; esplorato durante l'epoca borbonica, era già stato completamente depredato precedentemente di tutti gli arredi marmorei.
Il tempio era costituito da un podio lungo circa ventinove metri e largo circa quindici, realizzato in cemento e lava: un muro in basalto fungeva probabilmente da parete esterna della cella. Tutto il tempio era decorato in marmo, di cui rimangono pochissime tracce, tra cui i resti di un architrave, colonne e un frontone; anche della pavimentazione restano pochi residui, trafugata per il suo alto valore già dopo il terremoto del 62.
Porta Marina, ad Ovest, tra le sette porte di Pompei è la più imponente, insieme a porta Ercolano. Si chiama così perché la strada che ne usciva conduceva al mare. È a due fornici di seguito riuniti in una grande volta a botte in opera cementizia. Il circuito murario oggi visibile, impostato nel VI sec. a.C., quando la città già occupava l'intera collina, è lungo oltre 3.200 m: in genere è una cortina muraria, protetta all'esterno da un fossato e all'interno da un terrapieno per il cammino di ronda. Dodici torri, numerose a Nord, dove il suolo pianeggiante rendeva Pompei più vulnerabile, assicuravano la difesa. L'entrata definitiva di Pompei nell'orbita romana diminuì l'importanza delle mura, talora riusate o distrutte per far posto a case e terme. Dalla porta ha inizio Via Marina che incontra a sinistra l’ingresso a una bottega; sul lato opposto il tempio di Venere è separato dalla strada da un alto muro innalzato dopo il terremoto del 62.
E’
da questa porta che usciamo, terminata la nostra visita, e ci
mettiamo in viaggio verso Nola, dove pernotteremo. La cronaca continua.
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