La
reggia
di Caserta è
la residenza reale più
grande al mondo per
volume; i proprietari storici sono stati i Borbone
di
Napoli, oltre a un breve periodo in cui fu abitata dai Murat.
Nel
1997 è stata dichiarata dall'UNESCO,
insieme con
e il complesso di San Leucio, patrimonio dell'umanità.
Il
Palazzo reale di Caserta fu voluto dal Re di Napoli Carlo
di Borbone: desideroso di dare una degna sede di
rappresentanza al governo della capitale Napoli e al suo reame volle
una reggia tale da reggere il confronto con quella di Versailles.
Egli decise di costruirla verso l'entroterra, nell'area casertana:
un luogo più sicuro e tuttavia non troppo distante da Napoli.
Il
sovrano si rivolse all'architetto Luigi
Vanvitelli, a quel tempo impegnato nei
lavori di restauro della basilica di Loreto per conto dello Stato
Pontificio. Carlo di Borbone ottenne dal Papa di poter incaricare
l'artista e nel frattempo acquistò l'area necessaria, dove sorgeva
il palazzo cinquecentesco degli Acquaviva. Il progetto
doveva comprendere, oltre al palazzo, il parco e la
sistemazione dell'area urbana circostante, con l'approvvigionamento
da un nuovo acquedotto (Acquedotto Carolino).
Vanvitelli
giunse a Caserta nel 1751 e diede inizio subito alla progettazione
del palazzo: il 22 novembre di quell'anno l'architetto sottopose al
re di Napoli il progetto definitivo per l'approvazione. Due mesi
dopo, il 20 gennaio 1752, genetliaco del re, nel corso di una solenne
cerimonia alla presenza della famiglia reale con squadroni di
cavalleggeri e di dragoni che segnavano il perimetro dell'edificio,
fu posta la prima pietra. Tale momento viene ricordato dall'affresco
di Gennaro Maldarelli che campeggia nella volta della Sala del Trono. I
lavori durarono complessivamente diversi anni e alcuni dettagli
rimasero incompiuti. Nel 1759, infatti, Carlo di Borbone era salito
al trono di Spagna (con il nome di Carlo
III) e aveva lasciato Napoli per Madrid. I
sovrani che gli succedettero, a parte Gioacchino Murat che
all'abbellimento della reggia diede un certo contributo, non
condivisero lo stesso entusiasmo di Carlo di Borbone per la
realizzazione della Reggia. Il 1º marzo 1773 morì Vanvitelli al
quale successe il figlio Carlo: questi, anch'egli valido architetto,
era però meno estroso e caparbio del padre, al punto che trovò
notevoli difficoltà a compiere l'opera secondo il progetto paterno.
Nel
1860, dopo alterne e burrascose vicende,
l'intero regno venne incorporato nel neonato Regno d'Italia
e il palazzo venne utilizzato occasionalmente da
alcuni membri di casa Savoia sino a quando Vittorio Emanuele
III non lo cedette allo stato italiano nel 1919. Una
chicca: nel 1861 funzionari sabaudi
censirono quanto contenuto nella Reggia; il
bidet fu così inventariato: “strano oggetto a forma di chitarra”.
La
reggia, definita l'ultima grande realizzazione del Barocco
italiano, fu terminata nel 1845 (sebbene
fosse già abitata nel 1780), risultando un
grandioso complesso di 1200 stanze e 1742 finestre. Nel lato
meridionale il palazzo è lungo 249 metri, alto 37,83 e
consta di 5 piani, decorato con dodici
colonne. Il palazzo ricopre un'area di circa 47.000 m²;
dispone di 1026 fumaroli e 34 scale. Oltre alla costruzione
perimetrale rettangolare il palazzo ha, all'interno del rettangolo,
due corpi di fabbricato che s'intersecano a croce e formano quattro
vasti cortili interni di oltre 3.800 m² ciascuno. La
Reggia è preceduta dall'ampia piazza ellittica Carlo III abbellita
da aiuole e delimitata a Est e a Ovest da due ampie costruzioni che
ripetono l'andamento del colonnato della basilica di San Pietro in
Roma (vedi foto sopra). Dal cancello centrale del Palazzo Reale si entra nel vasto
atrio da cui inizia la lunga galleria a tre navate: le navate
laterali si aprono sui quattro cortili, quella centrale, destinata
alle carrozze, è detta "il cannocchiale" per la visione
che offre dell'asse centrale del parco con le sue cascate.
Uno dei cortili interni.
Oltre la soglia dell'entrata principale alla reggia si apre un vasto vestibolo ottagonale del diametro di 15,22 metri, adorno di venti colonne doriche. A destra e a sinistra si inseriscono i passaggi che portano ai cortili interni, mentre frontalmente un triplice porticato immette al centro topografico della reggia. In fondo, un terzo vestibolo dà adito al parco. Su un lato del vestibolo ottagonale si apre il magnifico scalone reale a doppia rampa, un autentico capolavoro di architettura tardo barocca, largo 18,50 metri alto 14,50 metri e dotato di 117 gradini, immortalato in numerose pellicole cinematografiche.
Ai margini del primo pianerottolo della scalinata si trovano due leoni in marmo di Pietro Solari e Paolo Persico, mentre il soffitto, caratterizzato da una doppia volta ellittica, fu affrescato da Girolamo Starace-Franchis con Le quattro Stagioni e La reggia di Apollo;
sulla parete centrale è addossata una statua di Carlo di Borbone, opera di Tommaso Solari, affiancata da La verità e Il merito, realizzate rispettivamente da Andrea Violani e Gaetano Salomone.
Foto di Gabriele Roberti
La doppia rampa si conclude in un vestibolo a pianta ottagonale, illuminato da quattro grandi finestroni, posto al centro dell'intera costruzione.
Uno dei cortili interni.
Oltre la soglia dell'entrata principale alla reggia si apre un vasto vestibolo ottagonale del diametro di 15,22 metri, adorno di venti colonne doriche. A destra e a sinistra si inseriscono i passaggi che portano ai cortili interni, mentre frontalmente un triplice porticato immette al centro topografico della reggia. In fondo, un terzo vestibolo dà adito al parco. Su un lato del vestibolo ottagonale si apre il magnifico scalone reale a doppia rampa, un autentico capolavoro di architettura tardo barocca, largo 18,50 metri alto 14,50 metri e dotato di 117 gradini, immortalato in numerose pellicole cinematografiche.
Ai margini del primo pianerottolo della scalinata si trovano due leoni in marmo di Pietro Solari e Paolo Persico, mentre il soffitto, caratterizzato da una doppia volta ellittica, fu affrescato da Girolamo Starace-Franchis con Le quattro Stagioni e La reggia di Apollo;
sulla parete centrale è addossata una statua di Carlo di Borbone, opera di Tommaso Solari, affiancata da La verità e Il merito, realizzate rispettivamente da Andrea Violani e Gaetano Salomone.
Foto di Gabriele Roberti
La doppia rampa si conclude in un vestibolo a pianta ottagonale, illuminato da quattro grandi finestroni, posto al centro dell'intera costruzione.
Di fronte si trova l'accesso alla grande Cappella
Palatina, ispirata a quella della Reggia di Versailles, uno spazio
definito da un'elegante teoria di colonne binate che sostengono una
volta a botte. Fu inaugurata il Natale del 1784 nel corso della messa
di mezzanotte celebrata in presenza del re Ferdinando IV.
La
tribuna reale è decorata da semicolonne e vi si accede tramite
una scala a chiocciola.
Le sedie poste nella cappella, che si notano in questa mia foto, sono a mio avviso orrende.
Nell'abside è posta una grande pittura di Giuseppe Bonito del 1789 raffigurante l'Immacolata Concezione.Questa è
l'unica tela superstite tra quelle originariamente commissionate per
la chiesa, tutte perdute, con gli organi e gli arredi sacri, in
seguito ai bombardamenti anglo-americani del 27 settembre 1943 che
colpirono la città di Caserta.
Al
piano terreno, nella nicchia che fronteggia lo Scalone, si trova la
scultura di un Ercole in riposo, alto una volta e mezzo il naturale.
Alla
sinistra del vestibolo si accede agli appartamenti veri e propri. Dal
momento che mi risulta difficile in poche parole commentare la
grandiosità della Reggia e poiché si trovano tantissimi siti che
già ne parlano (un link è in cima alla pagina) mi limiterò a
qualche descrizione e qualche foto.
La Sala del
Trono rappresenta l'ambiente più ricco e suggestivo degli
appartamenti reali: era il luogo dove il re riceveva ambasciatori e
delegazioni ufficiali, in cui si amministrava la giustizia del
sovrano e si tenevano i fastosi balli di corte. Una sala lunga 36
metri e larga 13,50, ricchissima di dorature e pitture, che fu
terminata nel 1845.
Intorno alle pareti sui cornicioni si trova
una serie di 46 medaglioni dorati con l'effigie di tutti i sovrani di
Napoli, da Ruggero d'Altavilla a Ferdinando II di Borbone (tranne
Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat), poi un'altra serie con gli
stemmi e i nomi di tutte le 12 province del regno.
Su un pannello in
stucco dorato si notano le sigle FII e MT che indicano Ferdinando II
e la moglie Maria Teresa.
La volta a botte è illuminata da finestre
semicircolari e, come detto precedentemente, affrescata da Gennaro
Maldarelli (1844) con La cerimonia della posa della prima pietra.
Sul fondo della sala, sotto un altorilievo dorato, si trova il trono, posto su un piccolo piano rialzato.
E’ in legno intagliato, con
braccioli a forma di leoni alati, dietro i quali si vedono figure di
sirene.
La
Sala del Consiglio si trova subito dopo la Sala del Trono. Completata
nell’ottocento, presenta tra le altre cose un pregevole tavolo con
medaglioni in porcellana, sul quale è posta una preziosa ceramica di
Sevres.
Si
arriva quindi alle Retrostanze ottocentesche, dove sono custodite
“cose mai viste”, cioè reperti preziosi e unici, come due mobili
musicali contenenti organi a cilindro, e i modellini delle giostre
che Leopoldo di Borbone aveva fatto costruire per i giardini della
Favorita, residenza prediletta dalla regina Maria Carolina d’Asburgo
Lorena, moglie di Ferdinando IV di Borbone.
Nella
sala successiva sono esposte due culle: la prima, opera di artigiani
napoletani, donata nel 1869 a Margherita di Savoia per la nascita del
primogenito Vittorio Emanuele, in seguito Vittorio Emanuele III.
La
seconda, sempre di artigiani napoletani, donata nel 1934 alla regina
Maria Josè del Belgio e a Umberto II di Savoia per la nascita della
primogenita Maria Pia di Savoia, poi riutilizzata dal fratello
Vittorio Emanuele IV di Savoia nel 1936.
La
Biblioteca Palatina fu voluta dalla regina Maria Carolina
d’Asburgo-Lorena, moglie di Ferdinando IV di Borbone, e realizzata
in poco più di tre anni alla fine del Settecento. Per la decorazione
delle pareti fu chiamato a corte un artista tedesco, Heinrich
Friederich Füger. La
biblioteca si
compone di cinque ambienti: due anticamere cui seguono le tre sale
che contengono
la raccolta libraria in
pregiati mobili in noce e mogano.
Ci
sono oltre
quattordicimila volumi, tra i più significativi della cultura
europea; molte sono le opere in tedesco e
tra questi un voluminoso dizionario, utilizzato dalla regina, che pur
conosceva molte lingue, per farsi meglio comprendere.
La volta della Prima Sala della Biblioteca è affrescata con un Planisfero circondato dai segni zodiacali e dai venti, opera di Filippo Pascale su disegno di Carlo Vanvitelli.
La decorazione dell'affresco è ispirata ai reperti degli scavi realizzati a Pompei ed Ercolano in quegli anni. I grandi armadi-libreria sono coronati da copie di vasi antichi, definiti "all'etrusca", realizzati nel Settecento dalla Fabbrica Giustiniani.
Nella Seconda Sala agli scaffali in legno di noce si affiancano una
scrivania in mogano e una poltroncina che si trasformava in scaletta,
utile per consultare i volumi dei ripiani più alti. La sala era
destinata allo svago della regina austriaca, che leggeva libri di
meditazione ma anche letteratura d'evasione, libriccini stampati in
tedesco, in caratteri gotici, che forse la riportavano a
quell'intimità della corte asburgica da cui proveniva. Molte sono le
acquisizioni volute da Carolina e Gioacchino Murat, riconoscibili
dalla presenza dei monogrammi "C" o "J"
sormontati dalla corona di Napoli.
Al centro della Terza Sala sono collocati un barometro e un cannocchiale in ottone, dell’ottico e astronomo inglese John Dollond (1706-1761) e una coppia di globi – uno terrestre e l’altro celeste – di legno dipinto, realizzati dal geografo francese Didier Robert de Vaugondy (1723-1786).
In questa sala è sistemato anche uno scaffale detto "la piramide", per la forma caratteristica simile ad una piramide ottagonale.
Dalla
Terza Sala della Biblioteca si entra nella Sala Ellittica, ampio
ambiente privo di decorazioni dove
è allestito il Presepe
Reale. La tradizione del presepe natalizio venne inaugurata da Carlo
di Borbone e poi ripresa dai suoi successori: è soprattutto
Francesco I, vero appassionato delle figure presepiali, che si
rivelerà un grande collezionista di pastori. Nell'archivio storico
della reggia si ha testimonianza di come la realizzazione del
presepio ogni Natale coinvolgesse non solo artisti e artigiani di
corte, ma anche le principesse e le dame di Corte, abilissime nel
confezionamento degli abiti delle figure.
La struttura di base, detta
“Lo scoglio”, è realizzata in sughero e occupa una superficie
di 40 metri quadri; su questa sono collocate le 1200 figure secondo
rigide regole e nel rispetto delle scene canoniche. Le più
importanti sono realizzate interamente in terracotta, mentre quelle
minori sono composte di un'anima di stoppa, sorretta da un fil di
ferro, con solo la testa, le mani e i piedi in terracotta. Quello che
si può vedere oggi esposto nella Sala Ellittica è una ricostruzione
del 1988 del maestoso presepe del 1844 voluto da Ferdinando II:
l'originale andò perduto
a seguito del furto subito nel 1985.
Oltre alle scene tradizionali
della Natività
con l'Adorazione
dei Magi
si possono vedere altre scene, come il Pascolo
delle bufale,
la Sosta
alla fontana,
il Mercato
e la Taverna
Napoletana
con figure di musici e avventori, utili ai fini della ricostruzione
della vita quotidiana dell'epoca. Notevole è l'utilizzo di
minuterie, tipiche del presepe napoletano settecentesco.
Le stanze dei re erano dotate di bagno: quello di Francesco II è piccolo ma arredato con una vasca in granito, fornita di due rubinetti, circondata da un arco dorato. Completa l’arredamento una toilette in stile impero in marmo bianco di Carrara, con specchiera e sedile imbottito.
La
vasca di Maria Carolina è in marmo bianco, anch’essa dotata di due
rubinetti. Sulle pareti spiccano due dipinti, Le tre Grazie e La
nascita di Venere. Poco distante dalla vasca il bidet, di cui ho già
parlato e in un angolo la seduta, con coperchio in bronzo. Sembra che
la particolare posizione degli specchi permettesse alla regina di
vedere dalla vasca chiunque si stesse avvicinando.
Per
un certo periodo Gioacchino Murat soggiornò alla reggia: l’arredo
delle sue stanze proviene dalla Reggia di Portici, che fu dimora di
Murat e della moglie Carolina Bonaparte. Posto l’immagine del letto
in mogano, con l’immancabile baldacchino
e
quella dello scrittoio dove fa bella mostra l’orologio a piramide
in stile impero, dei primi dell’Ottocento.
Quasi
ogni sala della Reggia ha un orologio, alcuni sono solenni e
monumentali, altri piccoli e semplici, altri ancora inseriti in
macchine meccaniche più complesse (come quelle nell’organo
musicale). Gli orologi della Reggia non sono dei semplici misuratori
del tempo ma indispensabili ornamenti da salotto, secondo la moda
settecentesca. Fanno parte della raccolta la celebre coppia di
Gabbiette che allietavano le ore trascorse da Maria Carolina nel suo
boudoir: dono della Regina di Francia, Maria Antonietta, alla sorella
Maria Carolina, Regina di Napoli.
Finita
la visita della Reggia siamo andati a vedere il parco:
il tempo a nostra disposizione era molto limitato, dovendo poi
intraprendere il lungo viaggio di rientro. Ci siamo serviti di un
comodo servizio di navetta per
percorrere i tre chilometri che separano la Reggia dalla grande
cascata che chiude il parco, anche se così facendo purtroppo abbiamo
potuto ammirare solo frettolosamente la grande coreografia
dei giochi d'acqua.
Il Parco della Reggia si estende per 3 chilometri di lunghezza, con
sviluppo sud-nord, su 120 ettari di superficie. In corrispondenza del
centro della facciata posteriore del palazzo si dipartono due lunghi
viali paralleli fra i quali si interpongono una serie di suggestive
fontane che, partendo dal limitare settentrionale del giardino
all'italiana, collegano a questo il giardino all'inglese. Si
incontrano nell’ordine: la Fontana Margherita, la Vasca e Fontana
dei Delfini, la Vasca e Fontana di Eolo, la Vasca e Fontana di
Cerere, Cascatelle e Fontana di Venere e Adone, la Fontana di Diana e
Atteone, sovrastata dalla Grande
Cascata.
La
Fontana Margherita, o del Canestro, è la prima che si incontra lungo
il percorso del parco. E' costituita da una vasca bassa circolare con
un unico alto zampillo centrale, delimitata da un gioco di aiuole
fiorite, situata all'estremità del parterre
prospiciente il palazzo. Con
essa ha inizio il Canalone, la lunga via d'acqua con la
fontana omonima.
La Fontana dei Delfini, opera di Gaetano Salomone, è una vasca lunga 470 metri per una larghezza di 27 e una profondità di 3. Prende il nome dalla figura di un mostro marino con la testa e il corpo di un delfino, affiancato da due delfini più piccoli, dalle cui bocche proviene l'acqua che l'alimenta.
La Fontana dei Delfini, opera di Gaetano Salomone, è una vasca lunga 470 metri per una larghezza di 27 e una profondità di 3. Prende il nome dalla figura di un mostro marino con la testa e il corpo di un delfino, affiancato da due delfini più piccoli, dalle cui bocche proviene l'acqua che l'alimenta.
La
seguente Fontana
di Eolo
rappresenta il dio che suscita la furia dei venti per fare
allontanare Enea dall’Italia secondo il desiderio di Giunone. È
adorna di ventotto statue alate
di venti a fronte delle cinquantaquattro previste dal progetto
originale; è una delle opere incompiute del parco. Il
progetto prevedeva un grande gruppo scultoreo di Eolo e Giunone su un
carro trainato da pavoni. Un
emiciclo a porticato
chiude superiormente la vasca alimentata da una cascata.
Più
avanti, la Fontana di Cerere,
opera in marmo di Carrara di Gaetano Salomone, va a formare sette
cascatelle ed è ornata di delfini e tritoni, Nereidi, statue dei
fiumi Oreto e Simeto, tutte sprizzanti alti getti d'acqua. Completa
la fontana una statua di Cerere che mostra un medaglione con la
Trinacria.
La
Fontana di Venere e Adone fu
realizzata tra il 1770 e il 1780 da Gaetano Salomone su un lungo
prato dove dodici piccole cascate formano altrettanti laghetti.
Il grandioso gruppo marmoreo mostra Venere inginocchiata che prende
per mano l’amato per scongiurarlo di essere prudente nella caccia
mentre Adone la rassicura, ignaro della fine che lo aspetta. Su uno
scoglio, a sinistra, il cinghiale che lo ucciderà.
In
fondo al parco c’è la grande Fontana di Diana e Atteone, ultimata
con l’inaugurazione del 7 giugno 1769. Nella vasca, a destra, Diana
circondata dalle ninfe sta per immergersi nelle acque mentre sulla
sinistra Atteone, che aveva osato guardare Diana nella sua nudità, è
già in parte trasformato in cervo e intorno a lui si agitano i cani
che lo sbraneranno.
La Fontana è dominata dalla cascata che
scaturisce dall'altezza di 80 metri da una grotta artificiale del Monte Briano, progettato come Belvedere dal momento che, da quel punto di osservazione, si ha una vista che spazia con l'effetto cannocchiale da Caserta fino a Napoli.
Foto tratta da www.reggiadicasertaunofficial.it/it/parco/fontane/
Un
tempo alimentato dall'acquedotto
Carolino,
oggi tutto il gioco d'acqua del parco è fornito di un impianto
di ricircolo mediante
pompe, per evitare sprechi.
Completano
l’enorme struttura della Reggia e del Parco i due giardini, quello
all’italiana con la Pescheria e l’edificio della Castelluccia, e
quello all’inglese, voluto dalla regina Maria Carolina, già
ricordata da me a proposito della Biblioteca Palatina. Non abbiamo
avuto modo di visitarli perché ci aspettava un veloce pranzo e un
lungo viaggio di rientro. Si conclude qui la cronaca, mentre come al
solito nelle considerazioni personali ci saranno alcuni ulteriori
dettagli.
Ciao e alla prossima.
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