giovedì 31 agosto 2017

Gita in Friuli - Trieste e Castello di Miramare

3 giugno: Trieste e Castello di Miramare.

Trieste, fulcro della regione storico-geografica della Venezia Giulia, fa da ponte tra Europa occidentale e centro-meridionale. Il suo porto, oggi il più grande e importante d'Italia ed uno degli snodi marittimi più importanti d'Europa, fu il principale sbocco marittimo dell'Impero Asburgico, che nel 1719 gli riconobbe lo status di porto franco. Tutt'oggi il porto rimane di fondamentale importanza per il transito di merci internazionali.

Il porto franco venne mantenuto, con il nome di Porto Libero di Trieste, anche nel trattato di pace fra l'Italia e le potenze alleate del 1947 con il quale veniva istituito il Territorio Libero di Trieste, e più oltre anche nel 1954, quando il Governo Militare Alleato cedette l'amministrazione civile all'Italia in virtù del Memorandum di Londra. Oggi è uno snodo internazionale per i flussi di scambio terra-mare tra i mercati dell'Europa centro-orientale e l'Asia. Ininterrottamente dal 2013 Trieste è il primo porto in Italia in termini di volume complessivo di merci in transito, con più di 56 milioni di tonnellate.

Tralascio la lunga e travagliata storia della città per ricordare solo che con legge costituzionale del 31 gennaio 1963, entrata in vigore il 16 febbraio 1963, viene formata la regione Friuli Venezia Giulia di cui Trieste diviene capoluogo.


La nostra visita inizia con un giro in pullman, passando per il Porto vecchio, nel cuore della città, ora in pesante degrado in attesa di finanziamenti per riqualificarlo. Il legame tra città e porto, legati in un unico processo di sviluppo urbano e storico, diventano evidenti nella zona del Porto Vecchio, con un patrimonio architettonico di grande valore storico e artistico. 

Un macchinario possente, per decenni senza eguali nel Mediterraneo: costruito nel 1913 nello Stabilimento Tecnico Triestino al Cantiere San Marco, il pontone galleggiante Ursus è dotato di un braccio di sollevamento fino a 350 tonnellate per un'altezza di 70 metri. Oggi si discute della possibilità che diventi un sito di interesse turistico.

Il Colle di San Giusto – il nome del Santo patrono di Trieste – è senza dubbio il simbolo per antonomasia della comunità e della storia cittadina: sulle sue pendici era cresciuta la città romana – vi sorgevano la basilica e il foro – e intorno ad esso si abbarbicava la città medievale. Qui i triestini eressero la propria cattedrale e qui venne costruito il solido quattrocentesco castello, simbolo del potere asburgico. Assurto a simbolo della città «irredenta» nella propaganda interventista e poi bellica, dalla torre campanaria della cattedrale di San Giusto il 30 ottobre 1918 sventolò un tricolore che, al suono delle campane risparmiate dalle requisizioni, celebrava la fine della lunga e gloriosa storia del governo asburgico della città. 

La Cattedrale di San Giusto è il principale edificio religioso cattolico della città. Come riporta la maggior parte degli storici triestini, l'aspetto attuale della cattedrale deriva dall'unificazione delle due preesistenti chiese di Santa Maria e di quella dedicata al martire san Giusto, che vennero inglobate sotto uno stesso tetto dal vescovo Roberto Pedrazzani da Robecco tra gli anni 1302 e 1320, per provvedere la città di una cattedrale imponente.
L'austera facciata della chiesa è arricchita da un enorme rosone di pietra carsica, elaborato sul posto da maestri scalpellini ingaggiati a Soncino. Alla chiesa è addossato il basso campanile, sulla cui parete si trova la statua di San Giusto.


Sia il campanile che la facciata della chiesa sono generosamente coperti con reperti del periodo romano, con i quali si intendeva ingentilire la pesantezza della costruzione. Il portale d'entrata fu per esempio ricavato da un antico monumento funebre








Sopra l’ingresso della torre campanaria, in un’edicola gotica ad arco, è posta la statua del patrono San Giusto che guarda la facciata della cattedrale e regge nella mano destra la palma del martirio, mentre nell'altra il modello della città. Si suppone che l'opera sia datata tra il X e l'XI secolo e attribuita a una bottega di Venzone però sembra che la testa del santo patrono sia più un'opera di periodo romanico e aggiunta forse posteriormente in sostituzione della testa originale danneggiata dal tempo.

Un po' di storia...

Giusto visse ai tempi degli imperatori Diocleziano e Massimiano e fu martirizzato nel 303. Quando giunse l’ordine di convincere i cristiani ad abiurare la loro fede, Giusto si rifiutò e fu tra i primi a essere imprigionato. Il prefetto Manazio lo sottopose ad atroci tormenti, senza riuscire a piegarne la volontà. Decise allora di ucciderlo per annegamento, in modo che il corpo non potesse essere recuperato e venerato come martire. Giusto  fu gettato in mare, legato a pesi che lo trascinarono subito in fondo. La tradizione triestina conservò memoria del luogo del martirio: le acque del golfo di Trieste al largo dell'odierno promontorio di Sant'Andrea.

Il corpo di Giusto, inspiegabilmente sciolto dalle corde e dai pesi di cui era stato gravato, fu portato dalle onde sull'odierna Riva Grumula. Premonito da un sogno, il sacerdote (presbitero) Sebastiano avvertì altri fedeli e insieme essi cercarono il cadavere. Trovatolo sulla spiaggia, lo seppellirono in luogo nascosto poco distante dal mare. Nel quinto secolo, su un’altura si costruisce una basilica cristiana, dove c’era stato un tempio dedicato alle antiche divinità. E lì viene poi trasferito il corpo del martire, che darà il suo nome all’altura: Colle di San Giusto.

Torniamo al campanile, che ospita un complesso di cinque grosse campane. Alla più grossa di queste campane è dedicato La campana di San Giusto, brano musicale patriottico scritto da Giovanni Drovetti e musicato da Colombino Arona nel 1915 e cantato molti decenni dopo dal celebre tenore Luciano Pavarotti.

Le campane di San Giusto furono più volte lesionate dai fulmini e rifuse, fino al 1953 quando furono inaugurate tre nuove campane di rame e stagno e decorate da Carlo Sbisà, famoso artista triestino. Si racconta che nel 1508 i veneziani durante la conquista di Trieste rubarono la campana più grande chiamata “el Campanon” e quando la campana fu caricata su un bastimento nei pressi del Faro della Lanterna, scivolò in mare e i marinai che passavano di là durante i temporali udivano il dolce suono della campana sommersa.....


L'interno della cattedrale è a cinque navate: le due di sinistra appartenevano alla basilica romanica dell'Assunta, quelle di destra al tempietto medievale di S.Giusto. Non ci sono molti dati sulla decorazione interna della chiesa. I mosaici bizantini rivestono l'abside sinistra e risalgono agli inizi del 1100: la Madre di Dio tra gli arcangeli Gabriele e Michele e gli Apostoli nel giardino mistico. 

Nell'abside destra invece spicca il Pantocrator (rappresentazione di Gesù tipica dell'arte bizantina) benedicente, affiancato dai santi Giusto e Servolo. Le fattezze del Cristo, slanciato, severo e nobile, collocano la stesura di questo mosaico al XIII secolo, ad opera di mosaicisti bizantini. Sotto i mosaici, entro piccole arcate, intorno al 1230 furono eseguiti gli affreschi con la passione di S.Giusto.
Nell'interno di una cappella laterale sono contenuti molti manufatti sacri, fra cui il Tesoro, celato dietro un'enorme grata di fattura barocca, che contiene tuttora molti oggetti di inestimabile valore, sebbene nel 1984 sia stato saccheggiato. Esistono pareri controversi su molti di questi oggetti, essendo difficile la loro collocazione storica. Addirittura per il simbolo della città, cioè l'alabarda di san Sergio, patrono secondario, non è possibile definire un'origine certa né l'esatta epoca di forgiatura. 

Accanto alla cattedrale c'è una colonna veneziana del 1560 alla cui sommità nel 1844 furono messi il melone con i 13 spicchi, uno per ogni Casada della nobiltà medievale triestina e l'alabarda che secondo un'antica tradizione, cadde dal cielo su Trieste il giorno del martirio di S. Sergio, patrono assieme a San Giusto di Trieste.
 

Tra gli interventi urbanistici del Ventennio spicca certamente la sistemazione del Parco della Rimembranza sul colle di San Giusto. Venne iniziata con la creazione della larga Via Capitolina, una strada panoramica che sale dolcemente attorno al colle fino a raggiungere la cattedrale.

Tutto il versante del colle tra questa strada e il castello venne consacrato alla memoria dei "caduti in tutte le guerre" e disseminato da grezzi cippi di pietra carsica con i nomi di combattenti noti e ignoti.


Poco prima del piazzale in cima al Colle di San Giusto, si trova anche la grande statua in onore dei caduti nella Prima Guerra Mondiale. Inaugurata nel 1935 alla presenza dello stesso Re Vittorio Emanuele III e di diversi gerarchi fascisti, il monumento fu progettato dallo scultore triestino Attilio Selva mentre Enrico del Nebbio, architetto già del celebre Foro Italico e del Palazzo della Farnesina, realizzò la base marmorea. 

Il monumento raffigura con stile classico cinque uomini in una drammatica scena di guerra. Tre di loro sorreggono un loro compagno ferito mentre la quinta figura copre loro le spalle con lo scudo. Nel complesso, l'opera è alta più di cinque metri, le statue sono in ghisa mentre la base è in pietra bianca d'Istria.

Il Santuario a Maria Madre e Regina è una chiesa cattolica a 330 metri sul monte Grisa. La struttura triangolare evoca la lettera M come simbolo della Vergine Maria; la costruzione avvenne tra il 1963 e il 1965, l’inaugurazione il 22 maggio 1966. Il santuario è caratterizzato da un’imponente struttura in cemento armato, con la presenza di due chiese sovrapposte. 

La costruzione, particolarissima, è realizzata tramite l'utilizzo di forme triangolari (motivo per il quale la chiesa è nota, tra i triestini, anche con il nome, forse poco rispettoso, di "formaggino"). Per la particolare ubicazione, la chiesa è visibilissima da buona parte della città e la sera, unico fabbricato illuminato sulla collina, non può decisamente passare inosservata.

Scendiamo dal colle e vediamo i resti del teatro romano, al limitare della città vecchia. La costruzione del I secolo a.C. fu in seguito ampliata. A quell'epoca il teatro si trovava fuori dalle mura cittadine e in riva al mare. Sulle gradinate, costruite anche sfruttando la pendenza del colle, venivano ospitati dai 3.500 ai 6.000 spettatori. 

Arriviamo al porto nuovo. La storia del porto di Trieste ha inizio nel XVIII secolo a seguito dell'emanazione della patente di porto franco da parte dell'imperatore asburgico Carlo VI, uno status che si è conservato fino ad oggi. Vediamo l'imponente stazione marittima.

Il porto di Trieste possiede un moderno terminal passeggeri che ha più che raddoppiato il suo traffico fra il 2010 e il 2013 e che nell'ambito della diminuzione del passaggio delle grandi navi a Venezia si propone alle compagnie crocieristiche come porto passeggeri di riferimento per l'Alto Adriatico con collegamenti sia via terra che via mare con la città lagunare. 



Passeggiando con la guida riceviamo alcune informazioni.

La Barcolana è una storica regata velica internazionale che si tiene ogni anno nel Golfo di Trieste nella seconda domenica di ottobre. È nota per essere una delle regate più affollate del mondo, con il record ottenuto nell'edizione 2001 quanto risultarono iscritte 1968 imbarcazioni. La particolare formula che la contraddistingue la rende un evento unico nel panorama velico internazionale: su una singola linea di partenza infatti si ritrovano a gareggiare fianco a fianco velisti professionisti e semplici appassionati, su imbarcazioni di varie dimensioni che vengono suddivise in categorie a seconda della lunghezza fuori tutto.

L’imponente edificio di mattoni rossi che fa mostra di sé sulle Rive ha scritto sulla facciata “Salone degli Incanti” ed è un centro espositivo di arte moderna e contemporanea, ma per i triestini è, e sarà sempre, la Pescheria Grande. Fu eretta nel 1913 dall’architetto Giorgio Polli, al posto del vecchio mercato del pesce, in stile liberty però la torre campanaria e la sua forma le valsero il nome di “Basilica de Santa Maria del Guato” (guato = chiozzo, pesce comune) da parte dei triestini. Divenne presto un enorme mercato, molto frequentato e caotico con i suoi caratteristici banconi di marmo bianco. 

Alcune fra le maggiori compagnie di assicurazione vennero fondate a Trieste a partire dal periodo Asburgico: Assicurazioni Generali (1831), SASA Assicurazioni (1923 - in seguito incorporata nel gruppo UnipolSai), Lloyd Adriatico (1936) e Riunione Adriatica di Sicurtà (RAS) (1838). Le ultime due oggi sono incorporate nel gruppo tedesco Allianz. Tuttora la direzione generale di Assicurazioni Generali e quella della compagnia assicuratrice telefonica online Genertel hanno sede a Trieste, così come Allianz S.p.A., che nella città conta la sede legale e operativa.


Il nuovo punto vendita di Eataly è stato ricavato dall’Antico Magazzino Vini, edificio storico con suggestivo affaccio sul Porto, costruito nel 1902 per lo stoccaggio delle botti in arrivo dall’Istria e dalla Dalmazia.

La illycaffè S.p.A. è un'azienda specializzata nella produzione di caffè, con sede e stabilimento di produzione a Trieste. È stata fondata a Trieste nel 1933 da Francesco Illy che avvia un'attività imprenditoriale nel settore del cacao e del caffè per poi decidere di dedicarsi esclusivamente al "nero", come viene chiamato a Trieste il caffè espresso al bar. 
E ovviamente non poteva mancare: la bora è un vento di provenienza nord/nord-orientale, che soffia con particolare intensità specialmente verso l'Alto e Medio Adriatico. A causa delle grandi differenze di temperature che si instaurano tra l'altopiano del Carso, molto più freddo, e il litorale, sensibilmente più caldo, si rinforza notevolmente, divenendo furioso e turbolento, con raffiche che possono superare la soglia dei 150–160 km/h. La sua caratteristica è di essere un vento "discontinuo", ovvero di manifestarsi con raffiche più forti, intervallate dalle raffiche meno intense. Soffia specialmente in inverno, ed è denominata "bora scura" con cielo coperto o con pioggia o neve. Il termine deriva da Borea, personificazione del vento del nord nella mitologia greca.

Un antico detto dei vecchi della Venezia Giulia, soprattutto fiumani e triestini, recita: "la Bora nasce a Segna, si sposa a Fiume e muore a Trieste". Un altro detto tipicamente triestino dice: "la Bora nassi in Dalmazia, la se scadena a Trieste e la mori a Venezia" (la bora nasce in Dalmazia, si scatena a Trieste e muore a Venezia).


Arriviamo a Piazza Unità d'Italia (durante il periodo austriaco era chiamata Piazza Grande, in seguito fu nota anche come piazza Francesco Giuseppe) che è la piazza principale di Trieste. Si trova ai piedi del colle di San Giusto. Di pianta rettangolare, la piazza si apre da un lato sul Golfo di Trieste ed è circondata da numerosi palazzi ed edifici pubblici. 

La piazza è stata rimodellata più volte nel corso dei secoli. L'aspetto attuale deriva dalla ristrutturazione completa degli anni 2001-2005, quando tutti i palazzi sono stati restaurati; la pavimentazione in asfalto è stata sostituita con blocchi in pietra arenaria.

La piazza è uno spazio completamente aperto sul mare, attorniato da edifici e con il municipio posto come base frontale, con il conseguente abbattimento delle mura e degli edifici che allora chiudevano la piazza dal lato mare. Sul posto designato per far sorgere il palazzo Comunale sorgevano diverse casette, una loggia ed alcuni edifici.

Il palazzo del municipio è sovrastato dalla torre campanaria sulla quale sono installati due mori, chiamati dai triestini Micheze e Jacheze, che dal 1876 scandiscono il trascorrere del tempo ogni quarto d'ora, nonché la campana civica con l'alabarda cittadina. Le due figure che oggi rintoccano sul municipio non sono le statue originali, esposte attualmente al castello di San Giusto dopo il restauro cui sono state sottoposte nel 2006 a causa dell'intenso logoramento, ma fedeli copie identiche alle precedenti.



Dal balcone centrale del municipio il 18 settembre 1938 Benito Mussolini, parlando alla gente in piazza Unità, annunciò la promulgazione delle leggi razziali fasciste in Italia, rivolte prevalentemente, ma non solo, contro le persone di religione ebraica. Furono abrogate nel gennaio 1944. Targa nella piazza.

Tra il 1751 e il 1754 nell'allora piazza Grande si decise la costruzione di una fontana che doveva rappresentare Trieste come la città favorita dalla fortuna grazie all'istituzione del porto franco da parte di Carlo VI e delle politiche di sviluppo di Maria Teresa d'Austria. Il mondo è rappresentato da quattro statue allegoriche che richiamano i tratti delle persone che vivevano nei continenti allora conosciuti (Europa, Asia, Africa e America). L'acqua sgorgava da quattro figure allegoriche di fiumi, sempre ad indicare i continenti. La rappresentazione del Nilo ha il volto velato, le sorgenti infatti allora erano sconosciute. Sulla sommità della fontana sovrasta una figura femminile alata e a braccia aperte che rappresenta Trieste. Adagiata sulle rocce del Carso la statua è circondata da pacchi, balle di cotone e cordame, come immagine simbolica di una città che accoglieva i commercianti provenienti da tutto il mondo e, in maggior misura, dall'area orientale.


A pochi metri a destra della fontana dei Quattro Continenti una colonna in pietra bianca sorregge la statua di Carlo VI d'Asburgo. Tra tutte le modifiche a cui la piazza ha assistito nel corso dei secoli, questo elemento è presente e costante fin dal 1728, anno in cui fu deciso di erigere la statua in occasione della visita dell'imperatore a Trieste. La statua raffigura l'Imperatore in piedi che osserva il vecchio nucleo cittadino (verso piazza della Borsa) e indica il mare, con il porto franco da lui istituito. Data la fretta dovuta all'imminenza della visita, la statua fu provvisoriamente realizzata in legno e dorata, e sostituita quindi nel 1756 dall'attuale in pietra.


Nel 1740 affondò nel porto di Trieste, vicino alla riva, la nave San Carlo. Invece di rimuovere il relitto, si decise di utilizzarlo come base per un nuovo molo, che venne costruito tra il 1743 ed il 1751 e fu intitolato appunto a San Carlo. Allora il molo misurava solamente 95 metri ed era unito a terra tramite un piccolo ponte di legno. Nel 1778 venne allungato di 19 metri e nel 1860-1861 di altri 132 metri, raggiungendo così l'attuale lunghezza di 246 metri. Anche il ponte venne eliminato, congiungendo il molo direttamente alla terraferma.


Il 3 novembre del 1918, alla fine della prima guerra mondiale, la prima nave della Marina Italiana ad entrare nel porto di Trieste e ad attraccare al molo San Carlo fu il cacciatorpediniere Audace. In ricordo di ciò nel marzo del 1922 venne cambiato nome al molo, chiamandolo molo Audace. All'estremità del molo nel 1925 venne eretta una rosa dei venti in bronzo, con al centro un'epigrafe che ricorda l'approdo e sul fianco la dicitura "Fusa nel bronzo nemico III novembre MCMXXV". La rosa, sorretta da una colonna in pietra bianca, sostituì una precedente rosa dei venti tutta in pietra.



Proseguiamo la visita e vediamo la Berlitz School, di via San Nicolò, la scuola in cui James Joyce insegnò inglese. Importantissima è la sua affinità-amicizia con Ettore Schmitz alias Italo Svevo, “scrittore negletto” secondo le stesse parole di Joyce,

che lo conosce nel 1907 quando Svevo deve imparare l’inglese per gestire la fabbrica di Londra della ditta di vernici Veneziani. Svevo è considerato uno dei modelli di Leopold Bloom, soprattutto negli aspetti più propriamente ebraici.

Umberto Saba nacque a Trieste, all'epoca parte dell'Impero austro-ungarico, il 9 marzo del 1883, figlio di Ugo Edoardo Poli, un agente di commercio appartenente ad una nobile famiglia veneziana, e di Felicita Rachele Cohen, un'ebrea triestina. Sarà in onore delle radici ebraiche materne, che il poeta sceglierà lo pseudonimo di Saba (in ebraico la parola significa "nonno").

« Per me al mondo non v'ha un più caro e fido
luogo di questo. Dove mai più solo
mi sento e in buona compagnia che al molo
San Carlo, e più mi piace l'onda e il lido? »
(Umberto Saba, Il molo, vv.1-4)

Dopo la fine della prima guerra mondiale rilevò la libreria antiquaria Mayländer, in società con Giorgio Fano; ne rimase ben presto unico proprietario, dal momento che Fano gli cedette la sua quota, e la ribattezzò Libreria antica e moderna.

Il tempio serbo-ortodosso della Santissima Trinità e di San Spiridione è la chiesa della comunità serbo-ortodossa di Trieste. Il complesso architettonico riflette un gusto bizantino e si caratterizza per un cupola più alta dei quattro campanili, per le calotte emisferiche azzurre e per le ampie decorazioni a mosaico che abbelliscono le pareti esterne.

La chiesa di Sant'Antonio Taumaturgo (chiamata comunemente chiesa di Sant'Antonio Nuovo), è il principale edificio religioso del Borgo Teresiano e del centro di Trieste.  La facciata dell'edificio è caratterizzata da sei colonne ioniche. La chiesa è situata nell'omonima piazza, a ridosso del Canale Grande.

 
Il Canal Grande di Trieste è un canale navigabile che si trova nel cuore del Borgo Teresiano, in pieno centro della città, a metà strada circa tra la stazione ferroviaria e piazza Unità d'Italia, con imboccatura dal bacino di San Giorgio del Porto Vecchio. Fu realizzato nel 1754-1756 dal veneziano Matteo Pirona, scavando ulteriormente il collettore principale delle saline, quando queste vennero interrate per permettere lo sviluppo urbanistico della città all'esterno delle mura. È stato costruito affinché le imbarcazioni potessero giungere direttamente sino al centro della città per scaricare e caricare le loro merci.


Il Ponte Rosso, a metà canale, fu costruito in legno nel 1756, appena ultimata la costruzione del canale. Era allora l'unico ponte esistente, in quanto gli altri ponti vennero costruiti in epoca successiva. Fu rifatto ampliandolo una decina d'anni dopo e rifatto ancora, questa volta in ferro, nel 1832. Sul Ponte Rosso si trova la statua dello scrittore irlandese James Joyce.

Pausa pranzo e poi, sfidando un sole audace come il molo, nel primo pomeriggio del 3 giugno, ho accettato l'invito della guida e ho percorso il molo, fotografando l'unico altro turista che ha affrontato con me il caldo africano.
Nel pomeriggio, visita al Castello di Miramare. Qui un blog completo.




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 Prima di proseguire è doveroso un piccolo inciso storico. 

Il 3 settembre del 1943 l’Italia aveva firmato un armistizio, cioè un documento “preliminare” di resa, annunciato pubblicamente l’8 settembre. Per considerare del tutto conclusa la guerra era necessario firmare un trattato di pace complessivo che riguardasse tutti i paesi coinvolti. I ministri degli Esteri e i capi di governo dei vari stati si incontrarono in una serie di conferenze tra il 1945 e il 1946. I ministri degli Esteri (o più spesso, i funzionari dei loro ministeri) delle potenze vincitrici principali – Francia, Regno Unito, Stati Uniti e Unione Sovietica – preparavano dei documenti su ogni questione aperta. Le varie parti peroravano la propria causa, si raggiungeva un accordo e solo a quel punto la questione veniva chiusa. Quella italo-jugoslava era uno dei temi più complessi. Non c’era soltanto il problema delle complicate divisioni etniche e linguistiche da rispettare, ma anche il fatto che Italia e Jugoslavia erano ai due lati della divisione tra mondo occidentale e blocco comunista. 


Il trattato di Parigi firmato il 10 febbraio 1947 tra lo Stato italiano e le potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, mise formalmente fine alle ostilità: rese Trieste città-stato indipendente sotto la protezione delle Nazioni Unite con il nome di "Territorio libero di Trieste" (TLT), che era diviso in due zone. 

la Zona A di 222,5 km² e circa 310 000 abitanti (di cui, secondo stime alleate, 63 000 sloveni) partiva da San Giovanni di Duino, comprendeva la città di Trieste e terminava presso Muggia ed era amministrata dal governo militare alleato;

la Zona B (capoluogo Capodistria) comprendente la parte nord-occidentale dell'Istria, di 515,5 km² e circa 68 000 abitanti (51 000 italiani, 8 000 sloveni e 9 000 croati secondo le stime della Commissione Quadripartita delle Nazioni Unite), amministrata dall'esercito jugoslavo; la Zona B era, a propria volta, divisa in due parti: i distretti di Capodistria e di Buie, separati dal torrente Dragogna, che segnava il confine tra le repubbliche jugoslave di Croazia e Slovenia.
 
Il ritorno di Trieste all'Italia (o riunificazione di Trieste all'Italia) avvenne in seguito agli accordi sottoscritti il 5 ottobre 1954 fra i governi d'Italia, del Regno Unito, degli Stati Uniti d'America e della Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia con il Memorandum di Londra e concernente lo status del Territorio Libero di Trieste; in particolare si stabiliva il passaggio di sovranità della Zona A dall'amministrazione militare alleata all'amministrazione civile italiana (con alcune correzioni territoriali a favore della Jugoslavia con l'operazione Giardinaggio) e quindi passavano all'Italia i seguenti comuni della zona A: Duino, Aurisina, Sgonico, Monrupino, Trieste, Muggia, San Dorligo della Valle.

Il 26 ottobre 1954 Trieste ritornò italiana.

Il Maestro Carlo Concina e il poeta Bixio Cherubini composero Vola Colomba, un brano musicale vincitore del Festival di Sanremo del 1952 nell'interpretazione di Nilla Pizzi. La canzone, che ebbe un enorme successo, venne composta quando Trieste era ancora sotto occupazione alleata, minacciata dalle mire espansionistiche di Tito e trattava proprio del ritorno di Trieste all'Italia. Bene evidenti nel testo sono riferimenti al capoluogo della Venezia Giulia: "... inginocchiato a San Giusto" (la basilica cattedrale di San Giusto, principale edificio religioso cattolico della città di Trieste, sulla sommità dell'omonimo colle che domina la città); "noi lasciavamo il cantiere" (Trieste era sede di cantieri navali); "il mio vecio" (il padre nel dialetto veneto).

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Il castello di Miramare (in tedesco Schloss Miramar) fu una residenza della corte Asburgica: il complesso venne costruito nell'omonima frazione di Trieste per volere di Massimiliano d'Asburgo-Lorena, arciduca d'Austria e imperatore del Messico, per farne la propria dimora da condividere con la moglie Carlotta del Belgio. I lavori cominciarono il 1º marzo 1856. Miramare è la forma italianizzata dell'originale Miramar, derivante dallo spagnolo "mirar el mar", in quanto Massimiliano d'Asburgo nel visitare il promontorio che lo ospita, fu ispirato dal ricordo di castelli spagnoli affacciati sulle coste dell'oceano Atlantico.

Il castello è circondato da un parco di circa 22 ettari caratterizzato da una grande varietà di piante, molte delle quali scelte dallo stesso arciduca durante i suoi viaggi attorno al mondo, che compì come ammiraglio della marina militare austriaca. Prima del 1856 la zona del parco era spoglia, con solo alcuni arbusti e cespugli spinosi. Oggi, invece, vi è un gruppo di diverse specie di alberi che sono, per la maggior parte, di origine non europea o comunque che non sono nativi della zona. Entro un periodo di dieci anni sono stati aggiunti cedri del Libano, del nord Africa e dell'Himalaya e sono stati piantati abeti e abeti rossi provenienti dalla Spagna, cipressi da California e Messico, varie specie di pino dall'Asia e dall'America e alcuni esemplari esotici, come la sequoia gigante e il ginkgo biloba. 


Nel parco si trova anche il castelletto, un edificio di dimensioni minori che fu la residenza per i due sposi durante la costruzione del castello stesso ma che divenne di fatto una prigione per Carlotta, quando perse la ragione dopo l'uccisione del marito in Messico. 

All'interno, il castello è suddiviso in numerose stanze. Il piano terra era destinato a residenza dell'Imperatore Massimiliano I e della consorte Carlotta, mentre quello superiore venne in periodo successivo adibito a residenza del Duca Amedeo d'Aosta, che vi abitò per circa sette anni e modificò alcune stanze secondo lo stile dell'epoca. Con la decadenza dalla carica di governatore del Regno Lombardo-Veneto, nel 1859, Massimiliano si trasferì con Carlotta a Miramare, alloggiando dapprima nel castelletto e, a partire dal Natale del 1860, nell'edificio principale

Lo studio di Massimiliano d’Asburgo è noto con il nome di “Sala Novara”, in quanto riproduce il quadrato di poppa della nave Novara, utilizzata dall’arciduca nei suoi spostamenti come contrammiraglio della flotta austriaca. 

Tutte le camere sono ben conservate e mantengono gli arredi originali compresi di ornamenti, mobili e oggetti risalenti alla metà del XIX secolo. Particolarmente degni di nota sono la sala della musica dove Carlotta si esercitava nel suono del fortepiano. 

Molto suggestiva la cappella privata, rivestita in cedro del Libano, che viene utilizzata per la prima volta proprio durante la notte di Natale del 1860. Nei cassettoni al soffitto sono raffigurati la Madonna e i cinque Santi protettori degli Asburgo. I pesanti tendaggi in broccato rosso riportano l'aquila e la corona, stemma imperiale del Messico e l'ananas. I tre cuscini ai piedi dell'altare sono stati ricamati da Carlotta. 

Il vero tesoro del piano terra, però, è la biblioteca. Una collezione di più di 7000 volumi, acquistati da Massimiliano I e la consorte e che rivelano i loro gusti letterari. Libri di botanica, arte e storia rendono suggestive le numerose librerie con la loro rilegatura, sorvegliati dai busti di marmo di Omero, Dante, Shakespeare e Goethe. 

Al primo piano, al centro del ballatoio, incassata nel pavimento, una vasca circolare con il fondo in cristallo rende visibile il piano sottostante e quattro draghi in bronzo da cui zampilla acqua. 




La Sala del Trono doveva costituire l’ambiente più importante del primo piano di rappresentanza, che in realtà venne concluso solamente nel 1871, quattro anni dopo la morte di Massimiliano. Impreziosita dalla tappezzeria rossa recante l’aquila messicana e il motto Equidad en la Justicia, la sala esibisce, tra le altre cose, il ritratto di Massimiliano vestito da imperatore del Messico. 
 
Massimiliano soggiornò stabilmente a Miramare, finché il 14 aprile 1864 salpò insieme alla moglie alla volta del Messico, a bordo della fregata Novara. Carlotta riguadagnò Trieste nel 1866, ma il consorte fu fucilato a Querétaro nel giugno successivo. Carlotta cominciò a dare segni di insanità mentale e fu fatta rinchiudere nel castelletto. Poco dopo ritornò nel natìo Belgio. 

Nel 1867, alla morte di Massimiliano e dopo la partenza per il Belgio di Carlotta, il Castello accoglie per brevi periodi la famiglia Asburgo. Tra il 1869 e il 1896 sono testimoniati almeno quattordici soggiorni di Sissi, l’imperatrice Elisabetta d’Austria consorte di Francesco Giuseppe, che dimorerà anch’egli nel Castello nel settembre del 1882. 
 
Durante la prima guerra mondiale, la mobilia e le opere d’arte del Castello vengono trasferite a Vienna; Al termine del conflitto tutto il comprensorio di Miramare passa sotto l’amministrazione italiana e tra il 1925 e il 1926 l'Austria restituisce, in base a precisi accordi con l'Italia, gli arredi completi affinché il Castello sia trasformato in un museo.

Al tempo di Massimiliano d’Asburgo il Castello di Miramare era raggiungibile via terra, dal Viale dei Lecci, ma l’accesso privilegiato avveniva approdando al Porticciolo, connotato dalla presenza del moletto e da una serie di aiuole geometricamente articolate. Due rampe di scale conducono ancora oggi al piazzale d’onore antistante il Castello.

In cima al molo, ancora nella collocazione voluta da Massimiliano d’Asburgo, si trova una sfinge di età tolemaica risalente al II secolo a. C: scolpita in granito rosa, è un prezioso reperto facente parte della collezione egizia riunita da Massimiliano.
A detta della nostra guida, non andare a toccare la sfinge durante la visita al castello avrebbe portato sfortuna: che ci si creda o no, io ci sono andata :-)







Qui si chiude la nostra terza e penultima giornata di gita. Rientriamo a Lignano e ci prepariamo alla visita dei luoghi della Grande Guerra, prima del rientro a casa. La cronaca continua in altra pagina.